sabato 31 gennaio 2015

Noi cambieremo il mondo. Di Stefano Viaggio. Quinta parte

                                                            Margarethe

(1936)

Quando c'è un lutto in casa si parla a bassa voce.

Non gli era capitato di riflettere su questo aspetto della morte. Nemmeno quando i suoi genitori erano passati, come si dice, "a miglior vita". Si evita di accendere la radio e la televisione. Anche quando Clotilde se n'è andata non si è accorto del silenzio, è morta anche lei all'ospedale e viveva sola. Dopo l'orazione funebre, i compagni del Borgo Vecchio avevano abbassato le bandiere sulla bara della compagna Calosso. 1966.Tiziana parla al telefono con qualcuno che si scusa per la sua assenza al funerale oppure...E la vita deve continuare.

La storia. Com'è cominciata la storia? Da una tomba. Quando si entra nella storia? Oggi, al cimitero, tutte le tombe del cimitero. E le tombe del mondo. Ci vuole mezz'ora per tornare al cimitero. Nel pomeriggio. Ci andrò. 

Tiziana fra poco apparecchierà la tavola e Giorgio tornerà dall'ufficio, e nel silenzio, nello scambio di frasi brevi, nelle parole in cui c'è  ricordo e voglia di dimenticare, Giovanni saprà con certezza che la vita deve continuare.


Una sera, erano passati pochi giorni dall'arrivo del messaggio dall'Italia che salvava  Giovanni Riva dal sospetto di essere un agente provocatore, Costantina disse a Giovanni:
-Voglio farti conoscere un'amica.-
Dal cortile su cui s'affacciava la casa dei Ferri passarono in un altro cortile lastricato di pietra, più angusto e meno soleggiato a causa dell'altezza dei vecchi edifici. Entrarono in un portone e salirono due rampe di scale semibuie che a Giovanni ricordarono la casa di Clotilde. Costantina bussò tre volte ad una porta che non recava alcun nome. Apparve una donna sui trent'anni, i capelli color del grano raccolti in trecce sottili sulle nuca, ben tirati sulle tempie. I suoi occhi azzurri osservarono Giovanni.
-Buona sera Margarethe.-disse Costantina e presentò Giovanni.
-Lui è un compagno italiano, è qui con noi da pochi giorni.-
Margarethe rispose buona sera in tedesco  e le donne si scambiarono un bacio.
Parlarono fra loro mischiando italiano, tedesco e francese. Giovanni ricordava qualche parola di tedesco, provò a tradurre a Costantina una frase di Margarethe.
Margarethe chiese a Giovanni se aveva visitato la Germania.
-No. Un po' di tedesco me l'ha insegnato una cugina di mia madre, vive a Monaco di Baviera.-
-E' italiana sua cugina?-
-Si. E' sposata con un commerciante di Monaco.-
-E vive a Monaco sua cugina?-
-Credo di si.-
-Ho capito.-
Avevano parlato in tedesco, Giovanni si era sforzato di trovare le parole giuste.
-Lei parla bene la mia lingua.-disse Margarethe in italiano, guardò Costantina e aggiunse.
-E' stata sveglia tutta la notte.-
Le donne avevano occupato le uniche due sedie della cucina. Margarethe indicò a Giovanni un piccolo sgabello.
-Si sieda, la prego.-
Ci fu un momento di silenzio, Giovanni non capiva a chi si riferiva la frase rivolta a Costantina.
-Ho una figlia malata.-disse Margarethe-Purtroppo nel mio paese accadono cose brutte.-
-Anche nel mio.-rispose Giovanni.
-Anche nel suo paese si scacciano i bambini dalle scuole?-
Giovanni guardò Costantina, lei fece un gesto che voleva dire "racconta dell'Italia".
-Il marito di Margarethe è ebreo.-disse.
-No. In Italia non sono arrivati a questo punto. Ma ammirano il fascismo tedesco.-
Giovanni ricordava i discorsi di suo zio sui nazionalsocialisti.
-E suo marito...-
-Mio marito è in Germania, non ho più notizie.-
-Mi racconti di suo marito. Di sua figlia.-
Margarethe sorrise, giunse le mani sulla tavola, intrecciò le dita e guardò Costantina. La donna italiana rispose con un cenno col capo, Margarethe cominciò a raccontare la sua storia.
Quando Giovanni scese le scale buie e si trovò di nuovo nel cortile angusto e oppresso dai palazzi, sapeva di essere cambiato. La scelta compiuta nei giorni dell'esilio fra le montagne valdostane e poi a Parigi e ancora nella dimensione di semiprigionia in casa Ferri, gli era sembrata enorme, spropositata alle sue forze. Ma ora, guardandosi intorno, mentre seguiva Costantina che cercava di evitare le pietre sconnesse del selciato e le pozzanghere lasciate da un violento acquazzone, gli sembrò leggera come una piuma.
Costantina si volse a guardarlo, il chiarore di un vecchio lampione illuminava la sua figura di donna già avanti negli anni. Conservava solo nei capelli il ricordo di una bellissima giovinezza.
-Studente.-disse-Tu ora puoi capire il perché della nostra diffidenza. Non abbiamo scelta. Devi smettere di pensare se hai fatto bene o male a venire qui. Se ti pesa o siamo insopportabili. Se hai paura, prendi un treno e vattene a casa tua, ma se non vuoi essere solo un ragazzo scapestrato che torna dalla mamma, rifletti su quello che hai sentito da Margarethe e comprendi il partito. Questa è una lotta, e chi la combatte deve essere convinto e puro. E' contro le bestie che combattiamo. Tu questo lo capisci, non è vero?-
Giovanni attese, mosse un passo, si volse a guardare il vecchio palazzo in cui Margarethe abitava con sua figlia e si accorse che Costantina aveva gli occhi volti a un orizzonte lontano.
E questo gli ricordò Clotilde.

Cosa ho in comune con questa donna?

E trovò una risposta.

Niente e tutto. Va bene.

-Costantina.-disse--Non chiamarmi più studente. Solo Giovanni.-
Lei sembrò sollevata, come se il macigno delle sue parole venisse rimosso dal breve tratto di strada che dovevano compiere per tornare a casa.
                             
Margarethe a vent'anni aveva conosciuto Jacob. Comunista, ebreo e fotografo, Jacob era stato chiamato a Dresda dal sindacato dei tipografi. Un venerdì sera, al termine della prima settimana di lavoro, gli attivisti del sindacato rosso dei tipografi lo invitarono ad una festa danzante. Al ballo ci andò anche Margarethe, maestra, venuta a Dresda per far visita alla sua amica Lise. Margarethe viveva e insegnava in un villaggio  distante pochi chilometri dalla città. Lise conosceva un giovane attivista dei sindacati rossi, Marcus. Le invitò alla festa dei tipografi e quella sera Margarethe ballò due volte con l'amico di Lise, poi sedette al tavolo con davanti una bibita ghiacciata. C'era molta gente  e molta allegria a quella festa danzante, un grande striscione con la scritta "evviva i tipografi proletari" dominava la pista. Quando Marcus riaccompagnò Lise da Margarethe si accorse che a pochi passi dal loro tavolo si aggirava  il fotografo di Lubecca. Scattava fotografie con una piccola macchina e la gente si lasciava ritrarre volentieri. Jacob coglieva l'occasione per provare una nuova pellicola e una macchina con un obbiettivo assai luminoso in cui aveva investito tutti i suoi risparmi. E una festa come quella, illuminata soltanto dalla luce artificiale dei lampioni del parco, era un buon banco di prova. Marcus lo tirò per un braccio e lo presentò alle due ragazze; Jacob e Margarethe fecero un ballo e poi un altro. Jacob all'apparenza poteva sembrare un tipo riservato, ma  scioglieva la lingua se trovava la persona giusta e la situazione interessante. Margarethe era affascinata dal processo fotografico e dal giovanotto che conosceva i nuovi balli americani. Jacob quella sera portò Margarethe nella sua camera d'albergo dove aveva organizzato un piccolo laboratorio di fortuna per stampare il reportage sul lavoro e l'organizzazione sindacale  dei tipografi. Inserì una lastra nello chassis e proiettò l'immagine negativa, stampò per Margarethe un paesaggio campestre. Si diedero un bacio e Jacob apprezzò il fatto che la maestrina non gli concedesse niente di più. Si scambiarono altri baci e promesse. Quando Jacob terminò il suo lavoro a Dresda, decise di passare a trovare Margarethe prima di tornare a Lubecca, aveva con se l'ingrandimento di una lastra esposta sul mare del Nord. Due mesi dopo Margarethe scrisse a Jacob: aspettava un bambino. Jacob la sposò la settimana seguente, sette mesi dopo nacque Grete. Jacob aveva trovato lavoro a Dresda presso una casa produttrice di manifesti pubblicitari e continuava a fotografare, quasi sempre gratis, per le organizzazioni operaie. Era il 1928.
Una sera, era l'anno 1932, Jacob tornò a casa pallido.
-Hanno ucciso un mio amico.-
Margarethe stava per uscire, teneva lezioni alla scuola serale organizzata dai sindacati rossi. Aveva appena messo a letto Grete. Si accorse che Jacob tremava.
-Non era un compagno. Era solo un ebreo.-
Jacob s'era lasciato cadere su una sedia e fissava il pavimento di piastrelle.
-Ho paura per voi. Vinceranno.-
Era la prima volta che Margarethe sentiva suo marito parlare in quel modo.
Ricordava i discorsi di Jacob sul vero obbiettivo dei nazionalsocialisti: spianare la strada alla reazione guidata dal partito socialdemocratico.
-Sono balle quelle sulla socialdemocrazia. I nazisti sono la vera anima della Germania, i disoccupati vanno dietro a loro. Non immagini nemmeno quanti operai ci sono alle loro parate e salutano come i fascisti.-
Si udiva qualcuno cantare. Margarethe si accostò alla finestra e guardò nella strada.
Il camion dei nazionalsocialisti s'era fermato sotto un lampione e due giovanotti in divisa erano scesi a pisciare. Erano SA e cantavano una canzone che sull'aria di una marcetta militare diceva: "uomo tedesco, donna tedesca, sarete liberi quando al mondo non ci saranno più i giudei che strangolano la tua dolce bambina...lo giuriamo...uccideremo i giudei...".
Anche Jacob l’aveva raggiunta, sentì le dita di sua moglie che gli stringevano forte il braccio. Il camion ripartì e la canzone si spense nella notte.
-Il partito deve armare gli operai.-disse Margarethe.
-Siamo in mano a gente senza cervello.-mormorò Jacob-Brandler aveva ragione, bisognava costruire un largo fronte antifascista. Siamo stupidi, stupidi! Il mio amico è stato ammazzato perché aveva difeso una cameriera ebrea che un nazista aveva chiamato puttana. Erano in quattro contro uno e la gente quando gli hanno sbattuto la testa per  terra, ha applaudito. Cosa stanno diventando i tedeschi? La polizia non è intervenuta.-
Da quella sera passarono ancora sei mesi.
-Andrete via dalla Germania, qui tutto e perduto. Io vi raggiungo più tardi.-disse un giorno Jacob.
                            
La voce di Margarethe s’era mantenuta calma mentre raccontava la sua storia al ragazzo italiano.
Si era udito un rumore proveniente da una stanzetta attigua alla cucina.
-Vado io.-aveva detto Costantina ed era tornata tenendo per mano una bambina bionda come sua madre che si aiutava a camminare sostenendosi con una gruccia. La sua gamba destra era tenuta rigida da due stecche di legno. Sua madre le aveva detto qualche parola in tedesco e la bambina si era rivolta a Giovanni in francese.
-Buona sera signore. Io sono Grete, lei è il benvenuto nella nostra casa.-
Giovanni e Grete si erano stretti la mano.
Margarethe aveva continuato il suo racconto.
Due giorni dopo la decisione di Jacob, il direttore della scuola di Grete riunì la scolaresca prima che le lezioni avessero inizio e disse che i bambini ebrei erano la vergogna della scuola. Li aveva paragonati ai pidocchi e per questo dovevano essere allontanati. Quel signore s'era messo sul petto il distintivo con la croce uncinata. La signorina Lotte, che era cattolica, nell'udire quelle parole rivolte a bambini di nemmeno dieci anni toccò il crocifisso che le pendeva sul petto e  posò entrambe le mani sulle spalle di due bambini ebrei. Erano figli di un calzolaio e Margarethe spesso si fermava per scambiare due chiacchiere con lui quando nella bella stagione metteva il suo banchetto sul marciapiede, davanti alla bottega.
Mezz'ora più tardi un gruppo di genitori in divisa nazionalsocialista si presentarono davanti alla scuola e cominciarono ad insultare i figli degli ebrei. Il direttore li aveva lasciati nel giardino dopo aver detto che bambini ariani ed ebrei non potevano più stare nelle stesse classi. Lotte si era messa davanti ai bambini e aveva urlato a quella gente:
-Vergognatevi! Dio vi punirà!-
La maestrina Lotte era una donna piccola e magra, aveva superato i cinquant'anni. Non fu difficile per un grosso panettiere  gettarla a terra. Lotte si ferì sul viso e urlò, ma le sue grida furono coperte da un rullo di tamburi. Erano un gruppo di ragazzi più grandi, venuti allo spettacolo armati di bastoni. Una donna che passava davanti alla scuola riconobbe Grete fra i bambini ebrei messi alla gogna. Era una buona vicina, si chiamava Ilde. Margarethe  giunse troppo tardi: i ragazzi s'erano scagliati sui bambini e li avevano colpiti, Lotte aveva tentato di difenderli ma era svenuta, colpita alla tempia. Grete fu calpestata dallo scarpone chiodato di un liceale. La stessa sera Jacob decise che era giunta l'ora di mettere in salvo la sua famiglia; fuggirono in campagna, da amici che non avrebbero mai tradito. All'ospedale i medici giudicarono la frattura alla gamba di Grete guaribile con mesi di riposo e rieducazione. La bambina  rischiava di rimanere zoppa.
Jacob disse a Margarethe:
-Tornerò con tutto il necessario.-
S'era presentato una settimana dopo con i passaporti per Grete e sua madre. Consegnò a Margarethe il denaro per curare la bambina in un ospedale francese e le lasciò  un indirizzo di Parigi, avuto tramite il Soccorso Rosso Internazionale.
-Vi raggiungerò presto.-aveva detto a Margarethe.
Lei e la bambina erano partite e Jacob non aveva potuto nemmeno accompagnarle al treno. Era già un militante comunista nella clandestinità. Margarethe aveva fatto in tempo ad avvisare sua madre.

Il compagno aggiustò gli occhiali sul naso, si strinsero la mano.
-Come va il tuo graffio?-
Sotto la fasciatura Giovanni sentiva pulsare la ferita che stentava a guarire.
-Migliora.-rispose.
Il compagno accennò ad una sedia, accanto alla vecchia stufa.
-Sediamoci alla luce, il sole oggi è bello caldo.-
Il compagno aveva posato un libro sul davanzale della finestra, i caratteri della copertina erano in cirillico.
-Cosa ti piace di questa città?-chiese il compagno.
-Tutto.-rispose Giovanni.
-Conosci la storia della Comune?-
-Sono stato a visitare il Muro dei Federati. Era l'anniversario.-
-C'ero anch'io. Ti ho visto. Hanno costruito questa città sul sangue del proletariato, ne hanno uccisi a migliaia. Parigi trasuda sangue. Tutto è imbrattato di sangue, musei, quadri, statue, caffè, persino le belle donne.-
Giovanni si volse ad osservare il cielo di Parigi, azzurro. I tetti d'ardesia scintillavano di luce, il vento dell'Atlantico aveva portato via le nubi e dalla strada sottostante giungeva il grande e intenso rumore della città.
-Quando avremo il potere apriremo i musei al popolo, i palazzi, le banche.-disse.
Il compagno prese il libro posato sul davanzale e lo mostrò a Giovanni.
-Conosci il russo?-
Giovanni osservò la copertina e scosse il capo.
-Male. E' fondamentale.-
Giovanni annuì.
-Qui c'è scritto che il compito degli intellettuali è quello di creare una nuova arte per nuove intelligenze. Non più libri, poesie, romanzi a servizio del capitale e del fascismo. Questo è accaduto in Italia quando i poeti e gli scribacchini hanno gridato ai quattro venti evviva la guerra! E i cafoni l'hanno fatta e sono morti come le mosche. La borghesia ha bisogno di città come Parigi. Consola.-
Giovanni guardò il compagno, aveva forse vent'anni più di lui.

Da quanto non rivede sua madre? Aveva una fidanzata che forse s'è sposata con un altro. Ha figli? Una casa? Tra vent'anni sarò come lui.

-Da come ti sei comportato sembra che tu voglia combattere.-disse il compagno.
-Domenica non dovevamo farci sorprendere.-
-Certo. E' già accaduto altre volte. In Italia, nel venti, nel ventidue e anche dopo. Commettiamo errori di ingenuità. Dobbiamo diventare cattivi.-
Giovanni rivide la faccia del Camelot du Roy.
-I socialdemocratici allora...-disse.
-Te la senti di andare in Spagna?-

In Spagna c'è una guerra. Si muore.

Parigi. Avrebbe abbandonato Parigi per andare in un'altra terra che ora bruciava. La ragazza sul palco che gli aveva ricordato Agnese. Lei, quella con le trecce, lo salutava mentre partiva per il fronte dell'Estremadura. Si vide con il fucile in spalla.

Cosa si prova a uccidere un uomo?

La ragazza con le trecce si avvicinava al camion e Giovanni avrebbe voluto gridare: "aspetta, c'è ancora tempo per andare dove nessuno ci può vedere. Io morirò...Addio Parigi."
-Si.-rispose Giovanni.-Si. Se il partito ha bisogno di me per combattere il fascismo ci andrò, come  fanno gli altri.-
-Puoi tornare senza un braccio, una gamba. E' una guerra. Io la conosco la guerra.-
-In Spagna non faremo passare il fascismo.-
Il compagno si sollevò in piedi, spalancò la finestra e  guardò fuori.
-Si. Non faremo passare il fascismo in Spagna, ne abbiamo abbastanza. Ti diremo noi quando andare. Per ora goditi la tua Parigi che ti piace tanto. Lavorerai ai comitati di solidarietà con i compagni spagnoli. C'è bisogno di gente che sappia parlare, spiegare il perché è importante vincere in Spagna. E quando sarà il momento partirai.-
Giovanni colse un tremito nella voce del compagno, un suono incerto che per un momento tradì la fermezza di quelle parole.
                             
Sarà stato perché Giovanni aveva vissuto in Valle d'Aosta prima di arrivare a Parigi e in una canonica che si affacciava su una balconata naturale davanti alla valle in cui era nato, ma Perruchon, lo spilungone che aveva sorvegliato Giovanni e lo aveva messo a spalar carbone, era diventato grande amico dello "studente".
-Sono stufo di carbone e pulire cessi. Vengo anch'io in Spagna.-disse Perruchon.
Quel pomeriggio passeggiavano dalle parti di Notre Dame. Giovanni aveva voluto curiosare ancora fra le bancarelle: cercava un'edizione a buon mercato di un romanzo di Flaubert che ancora non aveva letto, "L'educazione sentimentale". Quando finito di leggere "Madame Bovary", gli erano venuti in mente certi personaggi della sua città che frequentavano Villa Riva, le signore, i giovanotti con i capelli unti di brillantina.

Sguardi, frusciare di vestiti, dita che si toccano, sudori improvvisi e gli occhi si abbassano, fiamme di desiderio...

Mentre Giovanni frugava fra i libri ben ordinati su un banchetto, Perruchon osservava la cattedrale. La gente andava e veniva, in molti erano venuti a godersi il fresco sul fiume dopo una giornata afosa. Giovanni abbandonò la ricerca e tornò dal suo amico. Fecero qualche passo senza parlare.
-E' una grande chiesa.- disse Perruchon e con un cenno del capo indicò Notre Dame.-In Spagna le bruciano.-
Giovanni era entrato più volte a visitare Notre Dame. Guardò Perruchon.
-Anche in Italia bruceremo le chiese, quando verrà il momento.-disse Perruchon-Nella mia valle comandano i preti. Anche tanti anni fa, quando s'è trattato di far la voce grossa con il governo del re. Sempre i preti alla testa dei montanari. Sono i padroni delle terre migliori, e fanno da maestri. I padroni del cervello. Le bruceremo le chiese, Giovanni?-

Quanto tempo ci vorrà per demolire Notre Dame?

-Vuoi dire tutte le chiese? Forse certe chiese, ma quelle più importanti...-
-Lo so. Ci sono cose bellissime dentro le chiese, l'arte, le statue. Ma ascolta: quando ero bambino guardavo le montagne della mia valle, mi sembrava di poterle toccare e sentivo dentro di me qualche cosa. Non è che mi venissero proprio le lacrime, ma era come se stessero lì, pronte a scender giù. Mi capisci? Ora io guardo le chiese, sono alte, le guglie sembrano quelle del Monte Bianco, e non sento niente. Perché?-
-E ti dispiace di non sentire niente quando guardi una chiesa?-
-Mia madre era di chiesa e anche mio padre, non poteva essere altrimenti. Tutti al mio villaggio erano di chiesa, anche se poi i peccati li facevano lo stesso e i figli che venivano al mondo senza  saper bene chi fosse il vero padre, erano i primi a pascolar le bestie. C'è sempre stata però una gran paura del prete, ora io penso che quando sarà il momento dovremo fare grandi cose. Anche lassù, nella mia valle. E se ci penso mi spavento. Dovrò parlare con loro e dire di aprire il cervello  che per troppo tempo è stato incatenato con i rosari. Tu verrai a darmi una mano?-

Chissà se Agnese è tornata al suo villaggio?

-Certo che verrò. Non sono mai salito nella tua vallata.-

Quanti anni passeranno prima di tornare a casa? Agnese avrà fatto dei figli, vivrà nel suo villaggio e io passerò di lì e la vedrò. Lei non mi riconoscerà, ma invece io...

-La strada della mia valle sale come se l'avesse costruita il demonio per far patire gli uomini.-
Due ragazze passarono accanto a loro. Avevano belle gambe, una si voltò a guardare Perruchon, accennò un sorriso.
Lui diede un colpetto di gomito a Giovanni.
-Vieni. Ti piace quella?-
Giovanni esitava.

Correr così, dietro alle donne?

-Aspetta.-
Perruchon s'era già mosso e lui dovette seguirlo. Perruchon lo prese sottobraccio e s'avvicinarono alle  ragazze che ridevano fra loro.
-Tu sei un intellettuale. Le tue origini borghesi ti danno impaccio. E' facile. Lascia fare a me. E' come quando verrà il giorno in cui faremo fuori  preti e  capitalisti. Nelle chiese ci mettiamo a dormire la povera gente e con l'amore libero non ci sarà bisogno di confessare i peccati. Come la Russia. Vieni, che queste hanno capito.-
La ferita si fece sentire. Perruchon disse qualcosa alla più giovane, lei rispose con una frase che Giovanni non comprese bene. Perruchon se lo tirava dietro.

Agnese. Dov'è Agnese? Grete. Debbo sapere se la bambina dorme di notte, dopo quello che ha visto nel giardino. Margarethe. Le dirò che vado in Spagna a far la guerra.

Salivano le scale della pensioncina. Le due ragazze ridevano, Perruchon parlava con loro, rideva anche lui.
-Non pensare troppo.-disse a Giovanni-Vedi. E' stato un giochetto.-
Giovanni si ritrovò nella stanzetta, quella s'era seduta sul letto con le gambe accavallate e le gonne sollevate, lo chiamava e lui non si decideva a far quello che bisogna fare. Aveva paura: era la prima volta che stava con una donna per far l'amore.

Costantina aveva messo a letto i figli, Giovanni l'attendeva in cucina, Pietro era fuori a lavorare. Arrotondava qualche franco perché era un buon idraulico.
Costantina venne in cucina e sedette davanti a Giovanni.
Cavò dalla tasca del grembiule una busta e la mise sul tavolo.
-Mi hanno portato questa.-
Giovanni riconobbe la calligrafia di sua madre.
La busta non aveva francobollo.
-Come l'hai avuta?-
Costantina non rispose.
Giovanni tremava. L'idea che la sua famiglia potesse raggiungerlo a Parigi gli era passata per la testa più volte, come pure quella di piantar tutto e tornare a casa. Pensò agli amici francesi dei Riva. Come avevano fatto a entrare in contatto con gli italiani antifascisti? E chi erano? Vecchie conoscenze del nonno e nemmeno tanto amate per via di quella signora.
-Pietro e i compagni non sanno niente. E' meglio...-
Giovanni estrasse il foglio dalla busta. Per il momento non voleva leggere la lettera, non sapeva nemmeno se doveva leggerla. Avrebbe voluto star solo per mettersi a piangere.
-Nessuno ti dirà di non rispondere. Non sei il primo che se ne va di casa. Sapessi quante madri, mogli e sorelle, perfino amanti, hanno scritto. Leggila. Non essere sciocco. E' tua madre.-
Giovanni cominciò a leggere. Costantina disse che doveva aiutare una vicina e lo lasciò con la sua lettera.
Lo svegliò una leggera scossa sulla spalla, aprì gli occhi e vide di nuovo Costantina davanti a lui. Come la notte di pochi giorni prima, quando la ferita non lo lasciava dormire, tutto gli sembrò assurdo e lontano.

Mi chiede di tornare a casa. Cosa sai del mondo mamma? Io me ne vado in Spagna.

-Non è bello far soffrire le mamme.-disse Costantina-Vedrai che la troviamo la maniera di stabilire un contatto.-
Giovanni pensò che presto sarebbe partito per andare a trovare le ragazze dalle trecce brune che portavano le munizioni agli operai sulle barricate. Agnese, scriveva Elena, aveva trovato un altro lavoro, in un'osteria sulla strada per le montagne. Era stata lei a voler andar via dalla Villa.
-Il partito mi ha chiesto di partire per la Spagna.-
-Lo dirai a tua madre?-
Giovanni scosse il capo. Avrebbe voluto scrivere una lettera lunghissima e raccontare tutto. Sin dal giorno in cui aveva visto Clotilde, in casa di Marco Veneziani.
Scrisse una lettera molto breve. Disse che stava bene e che aveva trovato un lavoro, non aveva bisogno di niente e per il momento non poteva tornare in Italia. Chiese perdono.
                                                     
-Infezione?-
-Brucia?-
-Un poco.-
-Ho fatto pratica in Germania, e con Grete...-
Margarethe svolse la benda. C'era pus sotto attorno alla ferita.
-Sei stato da un medico?-
-E' un compagno. Costantina...-
Margarethe scosse il capo insofferente.
-Se non vuoi finire all'ospedale bisogna pulire tutto. Debbo farti male.-
Giovanni strinse i denti quando Margarethe cominciò a lavorare attorno al taglio, puliva e disinfettava, applicava una pomata nera che bruciava. Era un tubo con l'etichetta scritta in tedesco. Giovanni si abbandonava alle sue cure nella piccola cucina ordinata.
Quando Margarethe terminò la fasciatura Giovanni le offrì una sigaretta. Fumarono in silenzio per qualche secondo.
-Margarethe, parto per la Spagna. Non so ancora quando...-
Margarethe con un gesto improvviso gli posò il palmo della mano sulla bocca.
-Non dire niente.-
Tolse la mano e Giovanni si accorse che aveva gli occhi umidi. Parlavano sottovoce, Grete dormiva nella piccola stanza. Era tutta lì quella casa, una cucina, un gabinetto e una cameretta dove c'era solo un letto, per Margarehe e sua figlia. Quella sera Giovanni aveva portato a Grete un orsacchiotto. L'aveva acquistato dalle parti del Pantheon e aveva speso metà della sua paga settimanale. A Grete si erano accesi gli occhi quando aveva scoperto quello che Giovanni nascondeva dietro la schiena.

Quanti bambini vedrò, feriti come Grete? Quanti ne vedrò bruciati, morti nelle strade. Non più fotografie sulle riviste. Vedrò la morte con i miei occhi. E anch'io ucciderò. Dobbiamo farlo, prima che loro ci facciano a pezzi. Prima che se ne parli tra cent'anni di socialismo e dignità dell'uomo.

Non gli importava di esser rimasto con pochi soldi in tasca.
Mentre si dirigeva verso la casa di Margarethe la ferita aveva  fatto risvegliare in lui il volto del ragazzo che l'aveva colpito. Non aveva esitato il fascista.

Come sarà la faccia del primo che mi verrà davanti?

L'avrebbe ucciso. Tutti si preparavano a uccidere qualcun altro. Anche a Parigi la morte e la violenza erano nell'aria. Due giorni prima un gruppo di Camelot aveva disturbato la proiezione di un film sulla Spagna in lotta e loro li avevano cacciati dal cinema. Perruchon ne aveva preso uno a calci nel culo, fin sulla strada.
-E' passato un compagno a trovarmi. Jacob è morto due mesi fa. Anche il compagno andava in Spagna e se non avessi Grete...Lui faceva il medico in Germania. Non mi ha detto come è morto Jacob. Non ha voluto.-
Giovanni pose la sua mano sinistra su quelle di Margarethe, rimasero così. Avrebbe voluto dirle che quella notizia lo addolorava, ma non riusciva a parlare. Pensava che avrebbe dovuto andar via e lasciare Margarethe ai suoi pensieri, rifugiarsi in un cinema. Attendere. Aspettare che venisse al più presto l'ora in cui gli avrebbero detto, "prepara lo zaino col quale hai attraversato quel deserto di neve e parti per una guerra che è anche tua".
Margarethe fece un gesto e Giovanni si trovò fra le sue braccia, lei si protendeva al di sopra della tavola e lo teneva a se, lo obbligava a curvarsi in una posizione innaturale. Margarethe non piangeva, Giovanni sentiva il suo respiro contro la guancia, sentiva le mani di lei che gli accarezzavano le spalle, e poi i fianchi.
-Ti prego...-disse.
Giovanni la baciò sulla bocca.
-Anche tu andrai via.-mormorò Margarethe-Ci sarà la guerra e altri se ne andranno. Non sopporto più di star sola.-
Osservò quel volto di donna del nord. Da tempo Margarethe sapeva del suo interesse per lei. E lei esitava, per rispetto a Jacob, ma se pensava a Giovanni il seno le si gonfiava. Lei ora aveva chiuso gli occhi e attendeva. Giovanni era incantato dalla bocca lievemente socchiusa che chiedeva un altro bacio.
                             
Divennero amanti e non si preoccuparono di nasconderlo ai compagni. Per la strada camminavano tenendosi per mano e si baciavano quando ne avevano voglia, consapevoli degli sguardi di chi notava la donna sui trent'anni stretta a un giovanotto di appena venti. Ma a Parigi tutto era permesso. Giovanni non ricordava di aver mai visto in Italia un uomo e una donna baciarsi alla fermata di un tram. E faticavano a nascondere tutto questo agli occhi di Grete; Giovanni quasi ogni sera andava a trovare Margarethe e se la bambina si addormentava, facevano l'amore in silenzio. Spesso distesi sul pavimento. A volte, dopo aver cenato, uscivano con Grete, Giovanni se la prendeva sulle spalle e correva nel cortile, Grete rideva e urlava. Questo gioco si ripeteva anche nella piccola cucina e Margarethe per il chiasso doveva tapparsi le orecchie. Li rimproverava. Diceva che i vicini avrebbero protestato, ma non accadde niente.
Un giorno Pietro disse a Giovanni:
-Come farai con Margarethe? Lo sai che in guerra si muore?-
Giovanni attendeva un discorso del genere da parte di un compagno.
-Viviamo alla giornata. Se porterò a casa la pelle si vedrà.-
-Non avrai mica cambiato idea?-
Pietro aveva assunto l'aria sospettosa dei primi tempi.
-Margarethe non me lo perdonerebbe. Suo marito l'hanno ammazzato i fascisti, te lo sei scordato?-rispose Giovanni.

E se invece mi perdonasse?

Pochi giorni dopo il partito avvertì Giovanni che la settimana successiva doveva andare a Marsiglia.
Costantina prese in disparte Margarethe e le disse:
-Portami Grete, come stanno gli altri può stare anche lei. Attenta a non rimanerci incinta.-
La donna tedesca abbracciò l'italiana. Costantina si confuse, recitava male il ruolo di anziana che da consigli.
Vissero insieme gli ultimi giorni che Giovanni trascorse a Parigi. Facevano l'amore, divoravano il cibo e ascoltavano la radio, musica e notizie dal fronte spagnolo. La Repubblica resisteva, ma i generali avanzavano ovunque, il popolo combatteva e i morti erano migliaia.
"...si registrano purtroppo esecuzioni di massa. Dopo l'occupazione della città gli antifascisti e i repubblicani sono stati passati per le armi..."
Giovanni spense la radio.
-Vieni, usciamo.-disse a Margarethe, era sdraiata sul letto, nuda. Lo guardava mentre si vestiva in fretta.
-Cosa vuoi fare?-gli chiese.
-Vestiti e vedrai.-
Margarethe lo seguì in strada e Giovanni le mostrò i manifesti affissi sui muri di un palazzo, nei pressi della stazione ferroviaria.
Salutavano la resistenza dell'Alcazar e chiedevano che la Francia riconoscesse il governo del Caudillo che liberava la Spagna dagli assassini di preti. Erano le stesse parole scritte sui giornali francesi nemici del Fronte Popolare. Giovanni, Margarethe e tutti i compagni sapevano che molti francesi la pensavano così.
Front Crapular c'era scritto su un manifesto.
-Se vincono in Spagna vinceranno anche in Francia. Hitler è il loro paladino.-disse Giovanni. Cominciarono a strappare quei manifesti, con impegno e sistematicità. Ci misero un quarto d'ora e nessuno venne a disturbarli.
L'ultima notte che trascorsero insieme Margarethe disse:
-Non pensare più a me.-
-No.-rispose Giovanni-Ti penserò in ogni ora, in ogni momento e quando tutto finirà vivremo insieme. Te lo prometto.-
Lei se lo strinse al petto. Non riusciva a piangere.
-Non voglio che tu muoia.-gli disse in un orecchio.
-Tornerò da te.-
-Non voglio che tu muoia. Non voglio.-
                                                            
                                                     fine della quinta parte


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