Margarethe
(1936)
Quando c'è un lutto in casa si parla a bassa voce.
Non gli era capitato di
riflettere su questo aspetto della morte. Nemmeno quando i suoi genitori erano
passati, come si dice, "a miglior vita". Si evita di accendere la
radio e la televisione. Anche quando Clotilde se n'è andata non si è accorto
del silenzio, è morta anche lei all'ospedale e viveva sola. Dopo l'orazione
funebre, i compagni del Borgo Vecchio avevano abbassato le bandiere sulla bara
della compagna Calosso. 1966.Tiziana parla al telefono con
qualcuno che si scusa per la sua assenza al funerale oppure...E la vita deve
continuare.
La storia. Com'è cominciata la storia? Da una tomba. Quando si entra nella
storia? Oggi, al cimitero, tutte le tombe del cimitero. E le tombe del mondo.
Ci vuole mezz'ora per tornare al cimitero. Nel pomeriggio. Ci andrò.
Tiziana fra poco apparecchierà la
tavola e Giorgio tornerà dall'ufficio, e nel silenzio, nello scambio di frasi
brevi, nelle parole in cui c'è ricordo e
voglia di dimenticare, Giovanni saprà con certezza che la vita deve continuare.
Una sera, erano passati pochi
giorni dall'arrivo del messaggio dall'Italia che salvava Giovanni Riva dal sospetto di essere un
agente provocatore, Costantina disse a Giovanni:
-Voglio farti conoscere un'amica.-
Dal cortile su cui s'affacciava
la casa dei Ferri passarono in un altro cortile lastricato di pietra, più
angusto e meno soleggiato a causa dell'altezza dei vecchi edifici. Entrarono in
un portone e salirono due rampe di scale semibuie che a Giovanni ricordarono la
casa di Clotilde. Costantina bussò tre volte ad una porta che non recava alcun
nome. Apparve una donna sui trent'anni, i capelli color del grano raccolti in
trecce sottili sulle nuca, ben tirati sulle tempie. I suoi occhi azzurri
osservarono Giovanni.
-Buona sera Margarethe.-disse
Costantina e presentò Giovanni.
-Lui è un compagno italiano, è
qui con noi da pochi giorni.-
Margarethe rispose buona sera in
tedesco e le donne si scambiarono un
bacio.
Parlarono fra loro mischiando
italiano, tedesco e francese. Giovanni ricordava qualche parola di tedesco,
provò a tradurre a Costantina una frase di Margarethe.
Margarethe chiese a Giovanni se
aveva visitato la Germania.
-No. Un po' di tedesco me l'ha
insegnato una cugina di mia madre, vive a Monaco di Baviera.-
-E' italiana sua cugina?-
-Si. E' sposata con un
commerciante di Monaco.-
-E vive a Monaco sua cugina?-
-Credo di si.-
-Ho capito.-
Avevano parlato in tedesco,
Giovanni si era sforzato di trovare le parole giuste.
-Lei parla bene la mia
lingua.-disse Margarethe in italiano, guardò Costantina e aggiunse.
-E' stata sveglia tutta la
notte.-
Le donne avevano occupato le
uniche due sedie della cucina. Margarethe indicò a Giovanni un piccolo
sgabello.
-Si sieda, la prego.-
Ci fu un momento di silenzio,
Giovanni non capiva a chi si riferiva la frase rivolta a Costantina.
-Ho una figlia malata.-disse
Margarethe-Purtroppo nel mio paese accadono cose brutte.-
-Anche nel mio.-rispose Giovanni.
-Anche nel suo paese si scacciano
i bambini dalle scuole?-
Giovanni guardò Costantina, lei
fece un gesto che voleva dire "racconta dell'Italia".
-Il marito di Margarethe è
ebreo.-disse.
-No. In Italia non sono arrivati
a questo punto. Ma ammirano il fascismo tedesco.-
Giovanni ricordava i discorsi di
suo zio sui nazionalsocialisti.
-E suo marito...-
-Mio marito è in Germania, non ho
più notizie.-
-Mi racconti di suo marito. Di
sua figlia.-
Margarethe sorrise, giunse le
mani sulla tavola, intrecciò le dita e guardò Costantina. La donna italiana
rispose con un cenno col capo, Margarethe cominciò a raccontare la sua storia.
Quando Giovanni scese le scale
buie e si trovò di nuovo nel cortile angusto e oppresso dai palazzi, sapeva di
essere cambiato. La scelta compiuta nei giorni dell'esilio fra le montagne
valdostane e poi a Parigi e ancora nella dimensione di semiprigionia in casa
Ferri, gli era sembrata enorme, spropositata alle sue forze. Ma ora,
guardandosi intorno, mentre seguiva Costantina che cercava di evitare le pietre
sconnesse del selciato e le pozzanghere lasciate da un violento acquazzone, gli
sembrò leggera come una piuma.
Costantina si volse a guardarlo,
il chiarore di un vecchio lampione illuminava la sua figura di donna già avanti
negli anni. Conservava solo nei capelli il ricordo di una bellissima
giovinezza.
-Studente.-disse-Tu ora puoi
capire il perché della nostra diffidenza. Non abbiamo scelta. Devi smettere di
pensare se hai fatto bene o male a venire qui. Se ti pesa o siamo
insopportabili. Se hai paura, prendi un treno e vattene a casa tua, ma se non
vuoi essere solo un ragazzo scapestrato che torna dalla mamma, rifletti su
quello che hai sentito da Margarethe e comprendi il partito. Questa è una
lotta, e chi la combatte deve essere convinto e puro. E' contro le bestie che
combattiamo. Tu questo lo capisci, non è vero?-
Giovanni attese, mosse un passo,
si volse a guardare il vecchio palazzo in cui Margarethe abitava con sua figlia
e si accorse che Costantina aveva gli occhi volti a un orizzonte lontano.
E questo gli ricordò Clotilde.
Cosa ho in comune con questa donna?
E trovò una risposta.
Niente e tutto. Va bene.
-Costantina.-disse--Non chiamarmi
più studente. Solo Giovanni.-
Lei sembrò sollevata, come se il
macigno delle sue parole venisse rimosso dal breve tratto di strada che
dovevano compiere per tornare a casa.
Margarethe a vent'anni aveva
conosciuto Jacob. Comunista, ebreo e fotografo, Jacob era stato chiamato a
Dresda dal sindacato dei tipografi. Un venerdì sera, al termine della prima
settimana di lavoro, gli attivisti del sindacato rosso dei tipografi lo
invitarono ad una festa danzante. Al ballo ci andò anche Margarethe, maestra,
venuta a Dresda per far visita alla sua amica Lise. Margarethe viveva e
insegnava in un villaggio distante pochi
chilometri dalla città. Lise conosceva un giovane attivista dei sindacati
rossi, Marcus. Le invitò alla festa dei tipografi e quella sera Margarethe
ballò due volte con l'amico di Lise, poi sedette al tavolo con davanti una
bibita ghiacciata. C'era molta gente e
molta allegria a quella festa danzante, un grande striscione con la scritta
"evviva i tipografi proletari" dominava la pista. Quando Marcus
riaccompagnò Lise da Margarethe si accorse che a pochi passi dal loro tavolo si
aggirava il fotografo di Lubecca.
Scattava fotografie con una piccola macchina e la gente si lasciava ritrarre
volentieri. Jacob coglieva l'occasione per provare una nuova pellicola e una
macchina con un obbiettivo assai luminoso in cui aveva investito tutti i suoi
risparmi. E una festa come quella, illuminata soltanto dalla luce artificiale
dei lampioni del parco, era un buon banco di prova. Marcus lo tirò per un
braccio e lo presentò alle due ragazze; Jacob e Margarethe fecero un ballo e
poi un altro. Jacob all'apparenza poteva sembrare un tipo riservato, ma scioglieva la lingua se trovava la persona
giusta e la situazione interessante. Margarethe era affascinata dal processo
fotografico e dal giovanotto che conosceva i nuovi balli americani. Jacob
quella sera portò Margarethe nella sua camera d'albergo dove aveva organizzato
un piccolo laboratorio di fortuna per stampare il reportage sul lavoro e
l'organizzazione sindacale dei
tipografi. Inserì una lastra nello chassis e proiettò l'immagine negativa, stampò
per Margarethe un paesaggio campestre. Si diedero un bacio e Jacob apprezzò il
fatto che la maestrina non gli concedesse niente di più. Si scambiarono altri
baci e promesse. Quando Jacob terminò il suo lavoro a Dresda, decise di passare
a trovare Margarethe prima di tornare a Lubecca, aveva con se l'ingrandimento
di una lastra esposta sul mare del Nord. Due mesi dopo Margarethe scrisse a
Jacob: aspettava un bambino. Jacob la sposò la settimana seguente, sette mesi
dopo nacque Grete. Jacob aveva trovato lavoro a Dresda presso una casa
produttrice di manifesti pubblicitari e continuava a fotografare, quasi sempre
gratis, per le organizzazioni operaie. Era il 1928.
Una sera, era l'anno 1932, Jacob
tornò a casa pallido.
-Hanno ucciso un mio amico.-
Margarethe stava per uscire,
teneva lezioni alla scuola serale organizzata dai sindacati rossi. Aveva appena
messo a letto Grete. Si accorse che Jacob tremava.
-Non era un compagno. Era solo un
ebreo.-
Jacob s'era lasciato cadere su
una sedia e fissava il pavimento di piastrelle.
-Ho paura per voi. Vinceranno.-
Era la prima volta che Margarethe
sentiva suo marito parlare in quel modo.
Ricordava i discorsi di Jacob sul
vero obbiettivo dei nazionalsocialisti: spianare la strada alla reazione
guidata dal partito socialdemocratico.
-Sono balle quelle sulla
socialdemocrazia. I nazisti sono la vera anima della Germania, i disoccupati
vanno dietro a loro. Non immagini nemmeno quanti operai ci sono alle loro
parate e salutano come i fascisti.-
Si udiva qualcuno cantare. Margarethe
si accostò alla finestra e guardò nella strada.
Il camion dei nazionalsocialisti
s'era fermato sotto un lampione e due giovanotti in divisa erano scesi a
pisciare. Erano SA e cantavano una canzone che sull'aria di una marcetta
militare diceva: "uomo tedesco, donna tedesca, sarete liberi quando al
mondo non ci saranno più i giudei che strangolano la tua dolce bambina...lo
giuriamo...uccideremo i giudei...".
Anche Jacob l’aveva raggiunta,
sentì le dita di sua moglie che gli stringevano forte il braccio. Il camion
ripartì e la canzone si spense nella notte.
-Il partito deve armare gli
operai.-disse Margarethe.
-Siamo in mano a gente senza
cervello.-mormorò Jacob-Brandler aveva ragione, bisognava costruire un largo
fronte antifascista. Siamo stupidi, stupidi! Il mio amico è stato ammazzato
perché aveva difeso una cameriera ebrea che un nazista aveva chiamato puttana.
Erano in quattro contro uno e la gente quando gli hanno sbattuto la testa
per terra, ha applaudito. Cosa stanno
diventando i tedeschi? La polizia non è intervenuta.-
Da quella sera passarono ancora
sei mesi.
-Andrete via dalla Germania, qui
tutto e perduto. Io vi raggiungo più tardi.-disse un giorno Jacob.
La voce di Margarethe s’era
mantenuta calma mentre raccontava la sua storia al ragazzo italiano.
Si era udito un rumore
proveniente da una stanzetta attigua alla cucina.
-Vado io.-aveva detto Costantina
ed era tornata tenendo per mano una bambina bionda come sua madre che si
aiutava a camminare sostenendosi con una gruccia. La sua gamba destra era
tenuta rigida da due stecche di legno. Sua madre le aveva detto qualche parola
in tedesco e la bambina si era rivolta a Giovanni in francese.
-Buona sera signore. Io sono
Grete, lei è il benvenuto nella nostra casa.-
Giovanni e Grete si erano stretti
la mano.
Margarethe aveva continuato il
suo racconto.
Due giorni dopo la decisione di
Jacob, il direttore della scuola di Grete riunì la scolaresca prima che le
lezioni avessero inizio e disse che i bambini ebrei erano la vergogna della
scuola. Li aveva paragonati ai pidocchi e per questo dovevano essere
allontanati. Quel signore s'era messo sul petto il distintivo con la croce
uncinata. La signorina Lotte, che era cattolica, nell'udire quelle parole
rivolte a bambini di nemmeno dieci anni toccò il crocifisso che le pendeva sul
petto e posò entrambe le mani sulle
spalle di due bambini ebrei. Erano figli di un calzolaio e Margarethe spesso si
fermava per scambiare due chiacchiere con lui quando nella bella stagione
metteva il suo banchetto sul marciapiede, davanti alla bottega.
Mezz'ora più tardi un gruppo di
genitori in divisa nazionalsocialista si presentarono davanti alla scuola e
cominciarono ad insultare i figli degli ebrei. Il direttore li aveva lasciati
nel giardino dopo aver detto che bambini ariani ed ebrei non potevano più stare
nelle stesse classi. Lotte si era messa davanti ai bambini e aveva urlato a
quella gente:
-Vergognatevi! Dio vi punirà!-
La maestrina Lotte era una donna
piccola e magra, aveva superato i cinquant'anni. Non fu difficile per un grosso
panettiere gettarla a terra. Lotte si
ferì sul viso e urlò, ma le sue grida furono coperte da un rullo di tamburi.
Erano un gruppo di ragazzi più grandi, venuti allo spettacolo armati di
bastoni. Una donna che passava davanti alla scuola riconobbe Grete fra i
bambini ebrei messi alla gogna. Era una buona vicina, si chiamava Ilde.
Margarethe giunse troppo tardi: i
ragazzi s'erano scagliati sui bambini e li avevano colpiti, Lotte aveva tentato
di difenderli ma era svenuta, colpita alla tempia. Grete fu calpestata dallo
scarpone chiodato di un liceale. La stessa sera Jacob decise che era giunta
l'ora di mettere in salvo la sua famiglia; fuggirono in campagna, da amici che
non avrebbero mai tradito. All'ospedale i medici giudicarono la frattura alla
gamba di Grete guaribile con mesi di riposo e rieducazione. La bambina rischiava di rimanere zoppa.
Jacob disse a Margarethe:
-Tornerò con tutto il
necessario.-
S'era presentato una settimana
dopo con i passaporti per Grete e sua madre. Consegnò a Margarethe il denaro
per curare la bambina in un ospedale francese e le lasciò un indirizzo di Parigi, avuto tramite il
Soccorso Rosso Internazionale.
-Vi raggiungerò presto.-aveva
detto a Margarethe.
Lei e la bambina erano partite e
Jacob non aveva potuto nemmeno accompagnarle al treno. Era già un militante
comunista nella clandestinità. Margarethe aveva fatto in tempo ad avvisare sua
madre.
Il compagno aggiustò gli occhiali
sul naso, si strinsero la mano.
-Come va il tuo graffio?-
Sotto la fasciatura Giovanni
sentiva pulsare la ferita che stentava a guarire.
-Migliora.-rispose.
Il compagno accennò ad una sedia,
accanto alla vecchia stufa.
-Sediamoci alla luce, il sole
oggi è bello caldo.-
Il compagno aveva posato un libro
sul davanzale della finestra, i caratteri della copertina erano in cirillico.
-Cosa ti piace di questa
città?-chiese il compagno.
-Tutto.-rispose Giovanni.
-Conosci la storia della Comune?-
-Sono stato a visitare il Muro
dei Federati. Era l'anniversario.-
-C'ero anch'io. Ti ho visto.
Hanno costruito questa città sul sangue del proletariato, ne hanno uccisi a
migliaia. Parigi trasuda sangue. Tutto è imbrattato di sangue, musei, quadri,
statue, caffè, persino le belle donne.-
Giovanni si volse ad osservare il
cielo di Parigi, azzurro. I tetti d'ardesia scintillavano di luce, il vento
dell'Atlantico aveva portato via le nubi e dalla strada sottostante giungeva il
grande e intenso rumore della città.
-Quando avremo il potere apriremo
i musei al popolo, i palazzi, le banche.-disse.
Il compagno prese il libro posato
sul davanzale e lo mostrò a Giovanni.
-Conosci il russo?-
Giovanni osservò la copertina e
scosse il capo.
-Male. E' fondamentale.-
Giovanni annuì.
-Qui c'è scritto che il compito
degli intellettuali è quello di creare una nuova arte per nuove intelligenze.
Non più libri, poesie, romanzi a servizio del capitale e del fascismo. Questo è
accaduto in Italia quando i poeti e gli scribacchini hanno gridato ai quattro
venti evviva la guerra! E i cafoni l'hanno fatta e sono morti come le mosche.
La borghesia ha bisogno di città come Parigi. Consola.-
Giovanni guardò il compagno,
aveva forse vent'anni più di lui.
Da quanto non rivede sua madre? Aveva una fidanzata che forse s'è sposata
con un altro. Ha figli? Una casa? Tra vent'anni sarò come lui.
-Da come ti sei comportato sembra
che tu voglia combattere.-disse il compagno.
-Domenica non dovevamo farci
sorprendere.-
-Certo. E' già accaduto altre
volte. In Italia, nel venti, nel ventidue e anche dopo. Commettiamo errori di
ingenuità. Dobbiamo diventare cattivi.-
Giovanni rivide la faccia del
Camelot du Roy.
-I socialdemocratici
allora...-disse.
-Te la senti di andare in
Spagna?-
In Spagna c'è una guerra. Si muore.
Parigi. Avrebbe abbandonato
Parigi per andare in un'altra terra che ora bruciava. La ragazza sul palco che
gli aveva ricordato Agnese. Lei, quella con le trecce, lo salutava mentre
partiva per il fronte dell'Estremadura. Si vide con il fucile in spalla.
Cosa si prova a uccidere un uomo?
La ragazza con le trecce si
avvicinava al camion e Giovanni avrebbe voluto gridare: "aspetta, c'è
ancora tempo per andare dove nessuno ci può vedere. Io morirò...Addio
Parigi."
-Si.-rispose Giovanni.-Si. Se il
partito ha bisogno di me per combattere il fascismo ci andrò, come fanno gli altri.-
-Puoi tornare senza un braccio,
una gamba. E' una guerra. Io la conosco la guerra.-
-In Spagna non faremo passare il
fascismo.-
Il compagno si sollevò in piedi,
spalancò la finestra e guardò fuori.
-Si. Non faremo passare il fascismo
in Spagna, ne abbiamo abbastanza. Ti diremo noi quando andare. Per ora goditi
la tua Parigi che ti piace tanto. Lavorerai ai comitati di solidarietà con i
compagni spagnoli. C'è bisogno di gente che sappia parlare, spiegare il perché
è importante vincere in Spagna. E quando sarà il momento partirai.-
Giovanni colse un tremito nella
voce del compagno, un suono incerto che per un momento tradì la fermezza di
quelle parole.
Sarà stato perché Giovanni aveva
vissuto in Valle d'Aosta prima di arrivare a Parigi e in una canonica che si
affacciava su una balconata naturale davanti alla valle in cui era nato, ma
Perruchon, lo spilungone che aveva sorvegliato Giovanni e lo aveva messo a
spalar carbone, era diventato grande amico dello "studente".
-Sono stufo di carbone e pulire
cessi. Vengo anch'io in Spagna.-disse Perruchon.
Quel pomeriggio passeggiavano
dalle parti di Notre Dame. Giovanni aveva voluto curiosare ancora fra le
bancarelle: cercava un'edizione a buon mercato di un romanzo
di Flaubert che ancora non aveva letto, "L'educazione sentimentale".
Quando finito di leggere "Madame Bovary", gli erano venuti in mente
certi personaggi della sua città che frequentavano Villa Riva, le signore, i
giovanotti con i capelli unti di brillantina.
Sguardi, frusciare di vestiti, dita che si toccano, sudori improvvisi e gli
occhi si abbassano, fiamme di desiderio...
Mentre Giovanni frugava fra i
libri ben ordinati su un banchetto, Perruchon osservava la cattedrale. La gente
andava e veniva, in molti erano venuti a godersi il fresco sul fiume dopo una
giornata afosa. Giovanni abbandonò la ricerca e tornò dal suo amico. Fecero
qualche passo senza parlare.
-E' una grande chiesa.- disse
Perruchon e con un cenno del capo indicò Notre Dame.-In Spagna le bruciano.-
Giovanni era entrato più volte a
visitare Notre Dame. Guardò Perruchon.
-Anche in Italia bruceremo le
chiese, quando verrà il momento.-disse Perruchon-Nella mia valle comandano i
preti. Anche tanti anni fa, quando s'è trattato di far la voce grossa con il
governo del re. Sempre i preti alla testa dei montanari. Sono i padroni delle
terre migliori, e fanno da maestri. I padroni del cervello. Le bruceremo le
chiese, Giovanni?-
Quanto tempo ci vorrà per demolire Notre Dame?
-Vuoi dire tutte le chiese? Forse
certe chiese, ma quelle più importanti...-
-Lo so. Ci sono cose bellissime
dentro le chiese, l'arte, le statue. Ma ascolta: quando ero bambino guardavo le
montagne della mia valle, mi sembrava di poterle toccare e sentivo dentro di me
qualche cosa. Non è che mi venissero proprio le lacrime, ma era come se
stessero lì, pronte a scender giù. Mi capisci? Ora io guardo le chiese, sono
alte, le guglie sembrano quelle del Monte Bianco, e non sento niente. Perché?-
-E ti dispiace di non sentire
niente quando guardi una chiesa?-
-Mia madre era di chiesa e anche
mio padre, non poteva essere altrimenti. Tutti al mio villaggio erano di
chiesa, anche se poi i peccati li facevano lo stesso e i figli che venivano al
mondo senza saper bene chi fosse il vero
padre, erano i primi a pascolar le bestie. C'è sempre stata però una gran paura
del prete, ora io penso che quando sarà il momento dovremo fare grandi cose.
Anche lassù, nella mia valle. E se ci penso mi spavento. Dovrò parlare con loro
e dire di aprire il cervello che per
troppo tempo è stato incatenato con i rosari. Tu verrai a darmi una mano?-
Chissà se Agnese è tornata al suo villaggio?
-Certo che verrò. Non sono mai
salito nella tua vallata.-
Quanti anni passeranno prima di tornare a casa? Agnese avrà fatto dei
figli, vivrà nel suo villaggio e io passerò di lì e la vedrò. Lei non mi
riconoscerà, ma invece io...
-La strada della mia valle sale
come se l'avesse costruita il demonio per far patire gli uomini.-
Due ragazze passarono accanto a
loro. Avevano belle gambe, una si voltò a guardare Perruchon, accennò un
sorriso.
Lui diede un colpetto di gomito a
Giovanni.
-Vieni. Ti piace quella?-
Giovanni esitava.
Correr così, dietro alle donne?
-Aspetta.-
Perruchon s'era già mosso e lui
dovette seguirlo. Perruchon lo prese sottobraccio e s'avvicinarono alle ragazze che ridevano fra loro.
-Tu sei un intellettuale. Le tue
origini borghesi ti danno impaccio. E' facile. Lascia fare a me. E' come quando
verrà il giorno in cui faremo fuori preti e
capitalisti. Nelle chiese ci mettiamo a dormire la povera gente e con
l'amore libero non ci sarà bisogno di confessare i peccati. Come la Russia. Vieni , che
queste hanno capito.-
La ferita si fece sentire.
Perruchon disse qualcosa alla più giovane, lei rispose con una frase che
Giovanni non comprese bene. Perruchon se lo tirava dietro.
Agnese. Dov'è Agnese? Grete. Debbo sapere se la bambina dorme di notte,
dopo quello che ha visto nel giardino. Margarethe. Le dirò che vado in Spagna a
far la guerra.
Salivano le scale della
pensioncina. Le due ragazze ridevano, Perruchon parlava con loro, rideva anche
lui.
-Non pensare troppo.-disse a
Giovanni-Vedi. E' stato un giochetto.-
Giovanni si ritrovò nella
stanzetta, quella s'era seduta sul letto con le gambe accavallate e le gonne
sollevate, lo chiamava e lui non si decideva a far quello che bisogna fare.
Aveva paura: era la prima volta che stava con una donna per far l'amore.
Costantina aveva messo a letto i
figli, Giovanni l'attendeva in cucina, Pietro era fuori a lavorare. Arrotondava
qualche franco perché era un buon idraulico.
Costantina venne in cucina e
sedette davanti a Giovanni.
Cavò dalla tasca del grembiule
una busta e la mise sul tavolo.
-Mi hanno portato questa.-
Giovanni riconobbe la calligrafia
di sua madre.
La busta non aveva francobollo.
-Come l'hai avuta?-
Costantina non rispose.
Giovanni tremava. L'idea che la
sua famiglia potesse raggiungerlo a Parigi gli era passata per la testa più
volte, come pure quella di piantar tutto e tornare a casa. Pensò agli amici
francesi dei Riva. Come avevano fatto a entrare in contatto con gli italiani
antifascisti? E chi erano? Vecchie conoscenze del nonno e nemmeno tanto amate
per via di quella signora.
-Pietro e i compagni non sanno
niente. E' meglio...-
Giovanni estrasse il foglio dalla
busta. Per il momento non voleva leggere la lettera, non sapeva nemmeno se
doveva leggerla. Avrebbe voluto star solo per mettersi a piangere.
-Nessuno ti dirà di non
rispondere. Non sei il primo che se ne va di casa. Sapessi quante madri, mogli
e sorelle, perfino amanti, hanno scritto. Leggila. Non essere sciocco. E' tua
madre.-
Giovanni cominciò a leggere.
Costantina disse che doveva aiutare una vicina e lo lasciò con la sua lettera.
Lo svegliò una leggera scossa
sulla spalla, aprì gli occhi e vide di nuovo Costantina davanti a lui. Come la
notte di pochi giorni prima, quando la ferita non lo lasciava dormire, tutto
gli sembrò assurdo e lontano.
Mi chiede di tornare a casa. Cosa sai del mondo mamma? Io me ne vado in Spagna.
-Non è bello far soffrire le
mamme.-disse Costantina-Vedrai che la troviamo la maniera di stabilire un
contatto.-
Giovanni pensò che presto sarebbe
partito per andare a trovare le ragazze dalle trecce brune che portavano le
munizioni agli operai sulle barricate. Agnese, scriveva Elena, aveva trovato un
altro lavoro, in un'osteria sulla strada per le montagne. Era stata lei a voler
andar via dalla Villa.
-Il partito mi ha chiesto di
partire per la Spagna.-
-Lo dirai a tua madre?-
Giovanni scosse il capo. Avrebbe
voluto scrivere una lettera lunghissima e raccontare tutto. Sin dal giorno in
cui aveva visto Clotilde, in casa di Marco Veneziani.
Scrisse una lettera molto breve.
Disse che stava bene e che aveva trovato un lavoro, non aveva bisogno di niente
e per il momento non poteva tornare in Italia. Chiese perdono.
-Infezione?-
-Brucia?-
-Un poco.-
-Ho fatto pratica in Germania, e
con Grete...-
Margarethe svolse la benda. C'era
pus sotto attorno alla ferita.
-Sei stato da un medico?-
-E' un compagno. Costantina...-
Margarethe scosse il capo
insofferente.
-Se non vuoi finire all'ospedale
bisogna pulire tutto. Debbo farti male.-
Giovanni strinse i denti quando
Margarethe cominciò a lavorare attorno al taglio, puliva e disinfettava,
applicava una pomata nera che bruciava. Era un tubo con l'etichetta scritta in
tedesco. Giovanni si abbandonava alle sue cure nella piccola cucina ordinata.
Quando Margarethe terminò la
fasciatura Giovanni le offrì una sigaretta. Fumarono in silenzio per qualche
secondo.
-Margarethe, parto per la Spagna. Non so ancora
quando...-
Margarethe con un gesto
improvviso gli posò il palmo della mano sulla bocca.
-Non dire niente.-
Tolse la mano e Giovanni si
accorse che aveva gli occhi umidi. Parlavano sottovoce, Grete dormiva nella
piccola stanza. Era tutta lì quella casa, una cucina, un gabinetto e una
cameretta dove c'era solo un letto, per Margarehe e sua figlia. Quella sera
Giovanni aveva portato a Grete un orsacchiotto. L'aveva acquistato dalle parti
del Pantheon e aveva speso metà della sua paga settimanale. A Grete si erano
accesi gli occhi quando aveva scoperto quello che Giovanni nascondeva dietro la
schiena.
Quanti bambini vedrò, feriti come Grete? Quanti ne vedrò bruciati, morti
nelle strade. Non più fotografie sulle riviste. Vedrò la morte con i miei
occhi. E anch'io ucciderò. Dobbiamo farlo, prima che loro ci facciano a pezzi.
Prima che se ne parli tra cent'anni di socialismo e dignità dell'uomo.
Non gli importava di esser rimasto
con pochi soldi in tasca.
Mentre si dirigeva verso la casa
di Margarethe la ferita aveva fatto
risvegliare in lui il volto del ragazzo che l'aveva colpito. Non aveva esitato
il fascista.
Come sarà la faccia del primo che mi verrà davanti?
L'avrebbe ucciso. Tutti si
preparavano a uccidere qualcun altro. Anche a Parigi la morte e la violenza
erano nell'aria. Due giorni prima un gruppo di Camelot aveva disturbato la
proiezione di un film sulla Spagna in lotta e loro li avevano cacciati dal
cinema. Perruchon ne aveva preso uno a calci nel culo, fin sulla strada.
-E' passato un compagno a
trovarmi. Jacob è morto due mesi fa. Anche il compagno andava in Spagna e se
non avessi Grete...Lui faceva il medico in Germania. Non mi ha detto come è
morto Jacob. Non ha voluto.-
Giovanni pose la sua mano
sinistra su quelle di Margarethe, rimasero così. Avrebbe voluto dirle che
quella notizia lo addolorava, ma non riusciva a parlare. Pensava che avrebbe
dovuto andar via e lasciare Margarethe ai suoi pensieri, rifugiarsi in un
cinema. Attendere. Aspettare che venisse al più presto l'ora in cui gli
avrebbero detto, "prepara lo zaino col quale hai attraversato quel deserto
di neve e parti per una guerra che è anche tua".
Margarethe fece un gesto e
Giovanni si trovò fra le sue braccia, lei si protendeva al di sopra della
tavola e lo teneva a se, lo obbligava a curvarsi in una posizione innaturale.
Margarethe non piangeva, Giovanni sentiva il suo respiro contro la guancia,
sentiva le mani di lei che gli accarezzavano le spalle, e poi i fianchi.
-Ti prego...-disse.
Giovanni la baciò sulla bocca.
-Anche tu andrai via.-mormorò
Margarethe-Ci sarà la guerra e altri se ne andranno. Non sopporto più di star
sola.-
Osservò quel volto di donna del
nord. Da tempo Margarethe sapeva del suo interesse per lei. E lei esitava, per
rispetto a Jacob, ma se pensava a Giovanni il seno le si gonfiava. Lei ora
aveva chiuso gli occhi e attendeva. Giovanni era incantato dalla bocca
lievemente socchiusa che chiedeva un altro bacio.
Divennero amanti e non si
preoccuparono di nasconderlo ai compagni. Per la strada camminavano tenendosi
per mano e si baciavano quando ne avevano voglia, consapevoli degli sguardi di
chi notava la donna sui trent'anni stretta a un giovanotto di appena venti. Ma
a Parigi tutto era permesso. Giovanni non ricordava di aver mai visto in Italia
un uomo e una donna baciarsi alla fermata di un tram. E faticavano a nascondere
tutto questo agli occhi di Grete; Giovanni quasi ogni sera andava a trovare
Margarethe e se la bambina si addormentava, facevano l'amore in silenzio.
Spesso distesi sul pavimento. A volte, dopo aver cenato, uscivano con Grete,
Giovanni se la prendeva sulle spalle e correva nel cortile, Grete rideva e
urlava. Questo gioco si ripeteva anche nella piccola cucina e Margarethe per il
chiasso doveva tapparsi le orecchie. Li rimproverava. Diceva che i vicini
avrebbero protestato, ma non accadde niente.
Un giorno Pietro disse a
Giovanni:
-Come farai con Margarethe? Lo
sai che in guerra si muore?-
Giovanni attendeva un discorso
del genere da parte di un compagno.
-Viviamo alla giornata. Se
porterò a casa la pelle si vedrà.-
-Non avrai mica cambiato idea?-
Pietro aveva assunto l'aria
sospettosa dei primi tempi.
-Margarethe non me lo perdonerebbe.
Suo marito l'hanno ammazzato i fascisti, te lo sei scordato?-rispose Giovanni.
E se invece mi perdonasse?
Pochi giorni dopo il partito
avvertì Giovanni che la settimana successiva doveva andare a Marsiglia.
Costantina prese in disparte
Margarethe e le disse:
-Portami Grete, come stanno gli
altri può stare anche lei. Attenta a non rimanerci incinta.-
La donna tedesca abbracciò
l'italiana. Costantina si confuse, recitava male il ruolo di anziana che da
consigli.
Vissero insieme gli ultimi giorni
che Giovanni trascorse a Parigi. Facevano l'amore, divoravano il cibo e
ascoltavano la radio, musica e notizie dal fronte spagnolo. La Repubblica resisteva,
ma i generali avanzavano ovunque, il popolo combatteva e i morti erano
migliaia.
"...si registrano purtroppo
esecuzioni di massa. Dopo l'occupazione della città gli antifascisti e i
repubblicani sono stati passati per le armi..."
Giovanni spense la radio.
-Vieni, usciamo.-disse a
Margarethe, era sdraiata sul letto, nuda. Lo guardava mentre si vestiva in fretta.
-Cosa vuoi fare?-gli chiese.
-Vestiti e vedrai.-
Margarethe lo seguì in strada e
Giovanni le mostrò i manifesti affissi sui muri di un palazzo, nei pressi della
stazione ferroviaria.
Salutavano la resistenza
dell'Alcazar e chiedevano che la
Francia riconoscesse il governo del Caudillo che liberava la Spagna dagli assassini di
preti. Erano le stesse parole scritte sui giornali francesi nemici del Fronte
Popolare. Giovanni, Margarethe e tutti i compagni sapevano che molti francesi
la pensavano così.
Front Crapular c'era scritto su
un manifesto.
-Se vincono in Spagna vinceranno
anche in Francia. Hitler è il loro paladino.-disse Giovanni. Cominciarono a
strappare quei manifesti, con impegno e sistematicità. Ci misero un quarto
d'ora e nessuno venne a disturbarli.
L'ultima notte che trascorsero
insieme Margarethe disse:
-Non pensare più a me.-
-No.-rispose Giovanni-Ti penserò
in ogni ora, in ogni momento e quando tutto finirà vivremo insieme. Te lo
prometto.-
Lei se lo strinse al petto. Non
riusciva a piangere.
-Non voglio che tu muoia.-gli
disse in un orecchio.
-Tornerò da te.-
-Non voglio che tu muoia. Non
voglio.-
fine della
quinta parte
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