Durante la cena Elena si rivolse
a Giovanni.
-Prendi ancora un poco di arrosto.
Non avrai per caso perso l'appetito?.-
-Si avvicina l'esame di maturità?
Oppure c'è una gonnella in giro?-chiese Giulio. Alfonso osservò Giovanni, Elena
fece un gesto rivolto al cognato, come per dire "ma cosa vai a
pensare". L'interessato non si scompose.
-No, no. Va tutto bene, è che ho
ripreso ad andare in bici e allora...-
L'allenamento alle piccole
menzogne lo rendeva ormai esperto in
simulazioni. Ma Elena fra se passò in rivista le possibili fiamme di suo
figlio. E per la prima volta pensò che un giorno ci sarebbe stata una nuora
nella sua casa e dei nipoti.
-Bravo. Un giorno prendiamo la
bici e ce ne andiamo su, verso la collina.-disse Giulio e si versò un bicchiere
di vino senza attendere l’arrivo di Agnese.
No. Dio mio, no...
Comparve Agnese per ritirare i
piatti, Giulio lanciò un'occhiata alla ragazza. Quando Agnese uscì dalla
stanza, Elena disse rivolta al cognato:
-E' proprio brava, all'inizio
credevo che fosse un po' tonta per via della montagna, ma ho dovuto
ricredermi.-
Il vento leggero, pungente li
aveva costretti a ritirarsi dal giardino. Ora il salotto era affollato dagli
invitati al pomeriggio domenicale che in primavera i Riva offrivano ai loro
amici. Giovanni non aveva potuto sottrarsi, ora chiacchierava con le figlie
dell'avvocato Murialdi.
-Al Breil c'era il Principe di
Piemonte.-disse Isabella, la maggiore. Aveva fama di gran sciatrice.
-Sai sciare?-chiese a Giovanni.
-Non ci ho mai provato, in
montagna ci vado d'estate.-
-Dovresti, è fantastico!-
Giovanni guardò Isabella, sotto
il vestito celeste, leggero, indovinò il suo corpo di donna già fatta. Colse un
lampo d'invidia negli occhi di Clara che era piccola e rotonda.
Qualcuno diceva:
-In Abissinia c'è l'oro. Più, di
più che in Sudafrica.-
Agnese offriva i pasticcini.
Sfiorò Giannantonio Manzi, l'uomo si volse e ne prese uno alla crema.
-Sono un poco stanca.-disse
Valeria che era incinta di tre mesi.
-Vieni, vieni. C'è il divano. E
lei Giannantonio, faccia compagnia a sua moglie!-
Elena guidò la coppia verso il divano che s'era
appena liberato. Giannantonio soffriva il caldo in mezzo a quella gente. I suoi
occhi cercarono ancora il grembiule nero della giovane cameriera di casa
Riva.
Belle gambe, beato lui.
Giannantonio osservò Giovanni con
occhio critico.
Chissà se è ancora vergine?
Tutti s'interessarono ai nuovi
arrivati. I Gabetto giunsero insieme alla madre di lui, la nonna teneva fra le
braccia la piccola Rita di quattro mesi.
Valeria si sollevò con fatica e
raggiunse la folla che festeggiava Rita Gabetto.
Giannantonio udì sua moglie.
-A novembre, così ha detto il
dottore.-
Ma che fine ha fatto?
Giannantonio non vedeva più il
grembiule nero.
Come faceva ad andarsene dal
ricevimento? Impossibile con sua moglie fra i piedi. Riuscì a guadagnare
l'uscita e si trovò nel corridoio mal illuminato; dalla penombra udì i passi di
qualcuno che s'avvicinava. Giannantonio tirò fuori dal pacchetto una Macedonia
e l'accese.
La servetta portava in sala un
altro cabaret colmo di pasticcini. Giannantonio si staccò dal vecchio mobile al
quale s'era appoggiato e fece un passo.
Sono pazzo. Sono pazzo.
Agnese si fermò davanti al
signore alto e giovane. Era incerta: un leggero piegar delle ginocchia e
offrire all'ospite il pasticcino o proseguire?
-Quanti anni hai?-le chiese
Giannantonio con la sigaretta che gli pendeva dalle labbra e le mani infilate
nelle tasche dei pantaloni. Agnese arrossì e non rispose.
-Sei muta?-insistette Giannantonio.
La lingua di Agnese s'era trasformata in un pezzo di cartone.
-Allora?-
Giannantonio aveva tolto la mano
destra dalla tasca
-Sedici.-mormorò Agnese.
-Oh! Finalmente. Sedici anni! Sei
brava, lo sai? E' da molto che stai a servizio qui?-
Agnese era tutta rossa e il
cabaret pesava.
Dio mio. Se cade, Armandina...
-Di nuovo muta?-
-Da un mese.-
-E brava! Da un mese.-
La mano sollevava piano il
grembiule e toccava la carne nuda sopra le calze bianche di cotone. Agnese era
una statua, gli occhi si perdevano dentro la crema gialla di una pasta che
ruotava, ruotava, ruotava... Il cuore le batteva forte e il dolore alle braccia
aumentava.
-Ti porto un regalino la prossima
volta.-
E la mano era sempre lì.
Giannantonio udì qualcuno alle
sue spalle, tolse subito la mano e si volse. Riconobbe Giovanni. Anche lui
cercava un po' di respiro. Agnese vide Giovanni con la coda dell'occhio e
svelta approfittò per fuggire; Giannantonio si rivolse a Giovanni con una
battuta sulle troppe chiacchiere in salotto. Il pianoforte intonò le prime
note, l'anziana signora Murialdi suonava Chopin.
-E' meglio rientrare.-
Giannantonio precedette Giovanni
che si avviò più lentamente. I suoi pensieri gli avevano impedito di notare la
strana posizione dei due nel corridoio.
Si affacciò sulla soglia del
salotto. Rigida al centro della sala, Agnese sembrava una statua di cera,
teneva il cabaret fra le mani mentre tutti per dovere o per convenienza
porgevano attenzione alla musica del "grande polacco", come Alfonso
Riva chiamava Chopin. Per il ritardo a comparire in sala, la signora Elena
aveva lanciato un'occhiataccia alla cameriera.
Gli occhi di Giovanni vagarono da
Agnese a Giannantonio, ora seduto
accanto a sua moglie. Poi tornò a guardare Agnese e gli parve che potesse
cadere lunga per terra.
Che le ha fatto?
Come i cavalieri erranti...Così
aveva detto a Clotilde quel giorno ed ora che l'occasione si presentava per
difendere una servetta dall'offesa di un tizio, per lui da sempre un antipatico
matricolato, cosa doveva fare? Uno scandalo...Non aveva il coraggio di
avvicinarsi a quell'uomo e dire ad alta voce:
-Tu! Porco. Con tua moglie a due
passi e un figlio nella pancia, non hai vergogna di sollevare le vesti di una
ragazzina?-
Non aveva visto niente, ma le due
figure immobili nella penombra del corridoio e la fuga della ragazza lo
rendevano certo che in quell'atmosfera di buone maniere, vestiti stirati e
merletti, di frasi cortesi e colte, uno, uno in nome di tutti, rivelava quello
che gli altri non potevano fare, o meglio che facevano appena fuori dal
giardino di casa sua.
Violenza e potere. La condanna
era assoluta.
In quel momento al Borgo Vecchio
gli operai dell'acciaieria tornavano a casa e altri si preparavano al turno di
notte. Li aveva visti quei volti stanchi e rassegnati.
Osservò la gente del salotto Riva
e provò pietà per loro, e per se stesso.
Piangeva e quasi non capiva il
perché di tanto vuoto e solitudine. Conservava in bocca il sapore dolciastro di
un pasticcino che s’era costretta a divorare.
Agnese sedette sul letto, le
lacrime scendevano sino a bagnare il grembiule quasi monacale.
Fuggire dalla Villa? Era disposta
a farlo anche quella notte. Si sarebbe calata giù dalla finestrella e avrebbe
attraversato il giardino. Scalare il muro non era difficile. E poi?...Qual'era
la via della montagna?
C'era stato un ragazzo che le
piaceva. Il figlio di un margaro che per tre mesi aveva lavorato in una stalla,
vicino al suo villaggio. Si chiamava Antonio e sapeva fischiare così forte che
lo potevano sentire dall'altra parte della montagna. Poi Antonio era partito con
suo padre e non s'era più visto. Un giorno ad Agnese aveva toccato il petto e
lei l'aveva lasciato fare, ma solo per poco.
Toccava quà...
Tirò su la veste
sulla coscia e si guardò. La stanzetta era illuminata dalla Luna in quella
notte di mezza primavera. Agnese si sollevò dal letto, dischiuse l'anta del pesante armadio e
davanti allo specchio scheggiato sollevò ancora le vesti sulle cosce, e ancor
più in alto.
Da qui escono i figli. Si patisce a fare i figli. Me la ricordo bene mamma
che strillava.
Mamma. Mamma mia!
Con la mano premuta sulla bocca
avrebbe voluto urlare e chiamare sua madre per venirla a prendere e portarla
lassù in montagna, vicino alle capre e ai fratelli. E invece morse le labbra e
giurò. Per la forza che ci mise, Agnese
si ferì e quel sapore del sangue le restò in bocca sino a quando gli occhi
sbarrati nel vuoto scorsero l’incerta luce del nuovo giorno.
fine della prima parte
Nessun commento:
Posta un commento