Finis
Terrae
di
Stefano Viaggio
“Si tratta di una faccenda nella quale mi sono
trovato coinvolto mio malgrado. Purtroppo non posso far altro che riferire tutto quello che so.”
Da “Gli invasati” di Jack Finney
(romanzo da cui fu tratto il film "L'invasione degli ultracorpi" di
Don Siegel, 1956)
Prima parte
La
lettera
“Caro
Professor Zeit,
conto
ormai i giorni del mio passaggio su questa terra. Ho deciso di attendere la
fine, lontano dai luoghi che ci videro insieme e ancor oggi mi chiedo se è vero
ciò che vedemmo e dubito di me stesso. Se mi convincessi che si trattò solo di
un incubo, forse troverei il coraggio necessario per affrontare serenamente la
prova suprema che il Signore m'impone. Ma so che non fu un incubo. Lei e la
signorina Jennifer siete ancora giovani e spero che un giorno riuscirete a
mettere a buon frutto il segreto che noi soli conosciamo. Che strano destino il
nostro! La risposta alla domanda che l’umanità si pone da secoli noi la
conosciamo, ma se rivelassimo quanto abbiamo visto e udito saremmo trattati da
visionari, come i tanti che di volta in volta fanno parlare di se sui giornali.
Ho ritrovato le copie mal riuscite delle fotografie che stampai nel povero
laboratorio della parrocchia, sono una testimonianza, una traccia. Le accludo
alla presente e ne faccia l’uso che meglio crede. Per conto mio la faccenda è
chiusa. Avrei piacere di vedervi ancora.
Con
affetto.
Don
Alfredo Turistano”
Osservai a lungo le tre fotografie che
Turistano aveva accluso alla sua lettera di addio.
Mentre componevo il numero di Jennifer
mi chiedevo in quale museo, sotto quale campana di cristallo protetta da
sofisticati allarmi e uomini armati, avrebbe potuto essere custodito quel
tesoro inestimabile.
Tre fotografie…
D’accordo con Jennifer ho deciso di
raccontare questa storia.
Sirius
Avrei riconosciuto la sua voce anche se
non avesse detto il suo nome. I ricordi della giovinezza mi piombarono sulle
spalle. Lo sentivo lontano e la linea telefonica era disturbata.
-Zeit, ho bisogno di te. Non ho tempo
per spiegarti, ma solo tu puoi aiutarmi.-
Debbo confessare che un brivido mi corse
lungo la schiena. Udire la voce di un amico che non vedi da almeno dieci anni e
chiede aiuto, non è cosa di tutti i giorni.
-Cosa posso fare, Sirius?.-
Il disturbo aumentava.
-Ho bisogno di te, tu sei archeologo...
Non ho tempo per spiegarti…Devi venire subito. Sono in montagna, è poco più di
un villaggio e si chiama Angeli della luce. Ricorda! Angeli della luce…-
La comunicazione s’interruppe.
Sperai che Sirius richiamasse nel giro
di qualche minuto, ma il mio cellulare rimase muto.
Avevo conosciuto Sirius all’università,
poi la vita ci aveva divisi, come di solito accade quando si vivono assai
intensamente certi passaggi d’epoca, com’era capitato a noi. Seppi, e con
sorpresa, che era entrato in polizia e per qualche tempo seguii a distanza la
sua carriera che mi parve assai rapida e lo portò fuori d’Italia. Lessi sui
giornali che Sirius aveva partecipato ad un’operazione assai importante contro
i moderni trafficanti di schiavi. Per quel che mi riguarda, divenni archeologo.
Studio lingue antiche, molto più antiche del greco e del latino e da qualcuno
vengo descritto come un’autorità in questo campo.
Angeli della luce…Mi chiedevo fra quali
montagne era finito Sirius?
Il senso d’inquietudine che s’era
insinuato in me per la brusca interruzione della telefonata, aumentò quando
scoprii dov’era questo Angeli Della Luce. Sirius mi chiamava dal cuore delle
Alpi. Perché era lassù? E aveva bisogno di un archeologo, specialista
nell’alfabeto cuneiforme? Razionalmente mi diedi due risposte: la prima era che
le inchieste di un poliziotto possono svolgersi ovunque, anzi, più al giorno
d’oggi i luoghi sembrano sperduti più attirano misteri e gente che vuol
occultare qualcosa. La seconda riguardava più da vicino i miei interessi,
sapevo che nelle Alpi ormai stavano venendo alla luce i resti di
insediamenti risalenti al neolitico e
che una scuola di pensiero collegava queste civiltà alpine all’espansione della
lavorazione dei metalli. Forse, conclusi, Sirius era sulle tracce di
un’importante traffico di oggetti antichi e voleva una mia consulenza sul
posto.
Feci due conti, guardai la mia agenda e
non attesi l’alba. Dopo circa sei ore di macchina ero in mezzo alle montagne.
U.S.A.
Jennifer era indecisa fra una grande
colazione oppure tener fede ai buoni propositi.
-Ancora non c’è male, ma se non stai
attenta metti su troppa ciccia.-
Volse le spalle allo specchio e iniziò a
radunare gli indumenti adatti per una
buona corsa nel parco.
Il cellulare squillò mentre chiudeva la
porta di casa.
-Sei sola?-disse il Capo.
-Sono in vacanza, sono affari miei, sto
per andare a correre, sono lontana dal tuo ufficio puzzolente di fumo. Non
rompere le palle.-
-Non riusciamo a trovare Sirius.-
-E io che c’entro?-
-Conto su di te Jennifer. E’ l’ultima
volta. Te lo prometto.-
-Vaffanculo. Dove devo andare?-
-In Europa. Subito.-
Angeli
Nella valle laterale di un’altra valle
laterale, dominata da grandi ghiacciai c’era qualcosa che aveva a che fare con
gli angeli.
Il paesino che mi lasciavo alle spalle
si chiamava Prato degli Angeli e gli stretti tornanti mi conducevamo verso
Angeli della Luce. Era un giorno intero che guidavo e la stanchezza cominciava
a farsi sentire. Poggiato su un largo pianoro e al limite di un bosco di pini
mi apparve Angeli della Luce: sperai in un comodo albergo e in una doccia.
Mentre mi avvicinavo al paese notai un'alta parete di roccia scistosa, era
tagliata al centro da una larga fenditura che formava una sorta di passaggio
verso qualcosa che la strada, ora in discesa, e le ombre della sera
m'impedivano di vedere. E provai la sensazione
che quel taglio, oscuro nel grande scenario naturale, rendesse più
triste il paesaggio. A poca distanza dall’ingresso di Angeli della Luce mi
venne incontro una chiesetta e non
riflettei abbastanza su un particolare che doveva rivelarsi di grande
importanza. Qualcuno aveva dipinto sulla facciata i due santi più venerati in
quella parte delle Alpi: San Nicola e San Maurizio. Erano attorniati dai
valligiani e levavano le braccia al cielo, come per proteggerli da una minaccia
celeste.
Angeli della Luce a quell’ora mi sembrò
semideserto: due bar poco illuminati, un albergo che avrebbe avuto bisogno di
un serio restauro e qualche negozietto che si apprestava a chiudere. Tutto qui.
La chiesa era l’unico edificio notevole del paese: di architettura vagamente
gotica, era dominata da un alto campanile in pietra assai più antico e dalla
punta arrotondata.
L’albergo si chiamava Hotel Stella
Alpina, la stanzetta era pulita e decorosa. C’era acqua calda e la doccia
funzionava discretamente. Il ristorante, a un centinaio di metri
dall’hotel, era deserto. Ma attorno a un
tavolo del bar quattro uomini che non si occuparono molto di me, giocavano a
carte. La padrona venne a dirmi che quella sera c’era solo salsiccia con
contorno di cavoli, mi rassegnai ad una probabile acidità di stomaco ed
assaggiai il vino che mi parve buono. Non avevo detto chi ero e non avevo fatto
nessun accenno a Sirius: mi aspettavo di vedere il mio amico entrare nella sala
per spiegarmi i motivi della telefonata.
-Il prof. Zeit, suppongo.-
Il vestito grigio e consumato del
signore comparso alle mie spalle, qualificava il personaggio come un prete.
Lo guardai con aria interrogativa.
-Il mio nome è Turistano.-disse, sedette
davanti a me senza attendere un invito.
-Si chiederà come faccio a conoscerla, è
semplice: ho visto una sua fotografia sull’ultimo numero di ArcheoVentuno.
Attendevo il suo arrivo.-
-Perché?-
Al mio tono brusco, il prete, certamente
il parroco del paese, sorrise e sollevò la mano destra quasi in segno di scusa.
-Conosco il suo amico.-
-Ho ricevuto una telefonata, dov’è?-
Turistano mi osservò un momento.
-Questa storia la riguarda da un punto
di vista, diciamo, scientifico. Certamente la interesserà. Ma vorrei offrirle
del vino migliore. Qui sono di casa.-
Mi lasciò nel ristorante deserto, non si
udivano più nemmeno le voci dei giocatori di carte. Turistano, scomparso dietro
una porticina, riapparve dopo qualche secondo con in mano una bottiglia scura.
Il vino era ottimo.
-Sirius è arrivato da noi tre giorni fa
e sono io che gli ho consigliato di telefonare…-
Il mio sguardo doveva essere molto
intenso e Turistano attese qualche
secondo.
-Comprendo la sua curiosità, ma forse è
meglio cominciare dal principio. E’ la cosa migliore. Sei mesi fa mi raggiunse
ad Angeli della Luce, un amico che voleva chiudere la sua vita nella pace dei
monti. Si chiamava Bonnard…-
-Si chiamava?-
-Aspetti: andiamo con ordine.-
Notavo in lui una crescente agitazione
che lentamente mi trasferiva. Accesi una sigaretta, ne offrii anche a lui, ma
rifiutò.
-Bonnard faceva lunghe passeggiate,
leggeva molto, discuteva con me di tante cose. Stavo bene insieme a Bonnard. I
racconti dei luoghi che aveva visitato colmavano la povertà delle mie
conoscenze del mondo…Io sono sempre vissuto qui…Tutto andò bene sino al giorno
in cui Contini venne a trovare Bonnard.-
-Contini? Chi è?-
-Il proprietario della villa che si
trova in riva al lago.-
Non avevo visto nessun lago e nessuna
villa, nemmeno un’indicazione. Scossi la testa.
-Se lei prosegue oltre il bosco e
s’inoltra nella gola, troverà un sentiero che conduce ad un piano più alto. C’è
un lago lassù e… la Villa. Un giorno Contini venne a trovare Bonnard, si
chiusero nella sua stanza e discussero a lungo. Il mio amico da allora non fu
più lui: nervoso, agitato anche di notte... E Contini tornò a trovarlo. Ogni
volta sempre peggio, il mio amico aveva perso la pace. Un giorno lo affrontai,
gli chiesi il motivo di quel cambiamento e lui volle mostrarmi qualcosa.
Estrasse da una vecchia valigia un pacchetto che conteneva una scatolina di
metallo. Davanti ai miei occhi apparvero oggetti che non avevo mai visto, anche
se ne avevo spesso letto sui libri. Si trattava di una decina di tavolette di
terracotta. “Sono mesopotamiche.”disse Bonnard ”Vengono da Uruk, tra le prime
città della storia e questi segni sono la prima scrittura dell’umanità. Qui è
documentata la vita amministrativa del palazzo reale di Uruk. Tutte, meno
queste. Questi segni raccontano un avvenimento che sembra una leggenda, ma che
m’inquieta da più di quarant’anni. E questo mistero sta mettendo in pericolo,
non tanto la mia vita, ma la mia pace.” In quel momento il mio amico mi sembrò
affranto come un uomo in fuga da qualcosa di assolutamente potente. “Queste” e
indicava le due tavolette “hanno destato l’interesse di Contini, è espertissimo
in civiltà antiche e conosce perfettamente l’alfabeto cuneiforme…Io ho commesso
l’errore di raccontargli delle tavolette e della storia narrata in queste due.
Si è trasformato. Ha voluto vederle a tutti i costi. Lo hai visto anche tu
venir qui: vuole acquistarle. Al mio rifiuto ha fatto oscure minacce. Sono
vecchio e non m’importa di morire, ma a quell’uomo non voglio cedere. In lui
c’è qualcosa che non capisco.” Cercai di tranquillizzare Bonnard, dissi che nel
paese potevamo contare sui nostri parrocchiani e aggiunsi che avrei tenuto
d’occhio Contini. Ma Bonnard non mi parve convinto. Del resto Contini non si
vide più. E non era una cosa insolita, compariva e scompariva…Per anni restava
lontano dalla Villa. Una mattina trovai Bonnard cadavere nel suo letto.-
Non ho la stoffa dell’eroe e i film
sugli archeologi avventurieri mi hanno sempre infastidito.
-E le tavolette?-chiesi.
-Ne restano solo otto, quelle più
importanti sono scomparse.-
-Bonnard, com’è morto?-
-Morte naturale, certamente. Un ictus
dovuto alla vecchiaia. Anche se…Quando lo trovai, quel mattino, aveva sul volto
una strana espressione. Ho visto altra gente morta per un ictus e Bonnard non
era così. Era come se avesse visto…-
-Avesse visto?-
-Il demonio…-
Il silenzio in cui era immerso l’albergo
accentuò il disagio che provavo. Ebbi nella schiena lo stesso brivido di paura
avvertita in casa mia, subito dopo la telefonata di Sirius.
Turistano, al contrario, ora sembrava
più tranquillo. Di colpo aveva assunto l’aria di chi s’è liberato da un grave
fardello. Bevve un sorso di vino e continuò a parlare.
-Accaddero poi tre fatti: l’annuncio che
Contini era morto, l’arrivo del suo amico e il ritrovamento, fra le carte di
Bonnard, di alcuni negativi riproducenti le tavolette. Tutte le tavolette.-
-Ma Sirius perché è venuto qui?-
-Era stato Bonnard a chiamarlo. Il suo
amico è di poche parole: ho l’impressione che abbia conosciuto Bonnard anni
addietro, quando viveva in Medio Oriente.-
-I negativi, almeno, ci sono ancora?-
-Certo, li ho qui con me.-
Turistano estrasse dal taschino della
giacca un pacchetto che svolse con cura. Presi quei negativi e li esaminai alla
luce incerta del lampadario. In quelle condizioni non potevo leggere nulla.
-E la morte di Contini?-chiesi,
continuavo ad osservare i cunei.
-Era partito prima della morte di
Bonnard, come le ho detto spariva sovente. Poi, due giorni prima dell’arrivo di
Sirius, il Sindaco fu avvisato che Contini era morto e che il suo ultimo
desiderio era quello di esser sepolto nel cimitero del paese. Erede della villa
è un giovanotto inglese, si chiama Mark Forrest. E’ qui, vive nella villa. Solo.
Sirius ha fatto controllare e tutto sembra in regola.-
In quel momento sperai che Sirius
comparisse nel salone del ristorante e ponesse fine all’incertezza che ormai
s’era impadronita di me. Arrivi, partenze, morti, sparizioni, e queste
tavolette che avevano interessato Contini. Chi e perché le aveva rubate?
-Contini.-chiesi-Era come lo descriveva
Bonnard?-
Sul volto di Turistano si dipinse
un’espressione di grande perplessità. La sigaretta che poc’anzi aveva
rifiutato, la sfilò dal mio pacchetto e l’accese con il mio accendino.
-Nessuno ha mai saputo da dove venisse.
Si presentò qui dopo la guerra con il testamento del vecchio proprietario e
tutte le carte in regola per diventare il padrone della villa. Ma c’è vissuto
per poco tempo, partiva e si assentava per lunghi periodi. Quando era qui si
faceva vedere spesso in paese e tutti ne hanno un buon ricordo, ma non l’ho mai
visto in compagnia di qualcuno in particolare, mai un parente, un amico…una
donna. Niente. Un solitario che conosceva molte lingue e vestiva con grande
eleganza.-
Turistano mi osservava con sguardo mite.
-Sono dolente per avervi coinvolto in
questa storia. -aggiunse- Ma secondo Sirius le due tavolette sono la volta di
tutto, e solo voi potete decifrarne il contenuto.-
-C’è la maniera di stampare questi
negativi?-
-In parrocchia abbiamo un computer
provvisto di scanner e stampante fotografica. Io mi diletto, insieme a qualche
giovane del paese.-
-Allora fate degli ingrandimenti e
domani mattina vedremo di capirci qualcosa. Ma Sirius dov’è, l’avete visto?-
-E’ da ieri che non si fa vedere, anche
lui va e viene. Non parla molto. Mi ha detto che l’avrebbe cercata e
infatti…Alloggia anche lui alla Stella Alpina. Forse vi sta aspettando. Andate,
io intanto stamperò le fotografie e domani mattina tutti insieme capiremo cosa
c’è scritto in quelle tavolette che interessavano tanto Contini.-
-Vi farei compagnia, la cosa m’interessa
molto, ma sono stanco. Vorrei parlare con Sirius. Lui cosa dice del furto?-
-Ve l’ho detto, è un uomo di poche
parole.-
Era vero. Sirius non era stato loquace
nemmeno da giovane.
-E voi cosa ne pensate?-
Turistano si sollevò dalla sedia.
-Contini era già partito quando Bonnard
morì. Chi può aver interesse a tavolette vecchie migliaia di anni che solo pochi studiosi al mondo sanno
leggere?-
-Ma Contini era davvero partito, oppure...?-
-Uno stratagemma per impadronirsi delle
tavolette? C’è in paese chi dice d’averlo visto partire. Una settimana prima
della morte di Bonnard. Mi creda, professor Zeit, sono contento che lei sia qui
e che questa notte io la debba passare davanti al nostro computer. Da quando è
morto il mio amico non chiudo occhio e solo la preghiera mi da conforto.-
Fine della
prima parte
Finis Terrae
seconda
parte
La notte
Il silenzio della notte non mi ha mai
fatto paura, ma confesso di aver provato una strana apprensione nei pochi metri
che percorsi dal ristorante all’albergo Stella Alpina.
-Meno male.-disse la padrona-Ora posso
andarmene a letto. Il signor Sirius ha lasciato questo per lei.-
Afferrai la busta sigillata e concitato
lacerai la carta, conteneva un breve messaggio.
“Non posso spiegarti niente. Sarò io a
cercarti.”
Borbottai qualcosa che doveva essere un buona
notte alla padrona dell’albergo e raggiunsi la mia stanza. Presi sonno
appena poggiata la testa sul cuscino, cosa rara di solito, ma ricordo di
essermi svegliato di colpo con la sensazione di non essere solo nella stanza.
Nell’albergo regnava il più assoluto
silenzio.
Dov’era Sirius e perché non si faceva
vivo? Se Contini era veramente morto chi aveva in mano le due tavolette
sumeriche a cui il proprietario della villa attribuiva così grande importanza?
Quale segreto contenevano le due tavolette, e se un segreto c’era, allora
apparteneva alla scienza e a tutta l’umanità. I valori etici della mia
professione mi chiedevano di andare in fondo. Ma a cosa? Mentre si agitavano
nella mia mente questi interrogativi, mi parve di udire un rumore nella stanza
accanto.
Balzai fuori dalle coperte e mentre
stavo per aprire la porta dubitati di ciò che avevo udito. C’era di nuovo
attorno a me il più profondo silenzio. Ma tutto era meglio che restare ad
attendere. Uscii nel corridoio e provai la maniglia della porta accanto alla
mia, si aprì.
-Sirius.-chiamai con voce bassa. Mentre
cercavo l’interruttore qualcuno mi afferrò e mi ritrovai immobile sul
pavimento. Cercai di ribellarmi, ma il mio aggressore con uno strappo al
braccio destro mi fece comprendere chi dettava legge.
-Dov’è Sirius?-
Era una donna che aveva mormorato al mio
orecchio.
-Mi chiamo Zeit.-risposi.
-E io madame Pompadour.-disse colei che
mi teneva immobile.-Dov’è?-
-Non lo so, e se lo sapessi non lo
direi. Sono un archeologo, uno studioso, un amico di Sirius…mi ha telefonato
ieri sera…Non parlerò!-
Avevo urlato con voce da isterico. Una
minuscola torcia elettrica illuminò il mio viso, ora la donna ridacchiava di
me. Fui liberato dalla morsa e lentamente mi sollevai, sempre sotto il tiro di
quella luce.
-Il professor Zeit! L’illustre
archeologo.-
Nel dire queste parole la donna
schiacciò il pulsante e nella stanza illuminata ci trovammo uno davanti all’altra.
Era una bella donna nera sui trent’anni
colei che mi stava davanti, indossava un completo sportivo viola assai
aderente.
-Scusami.- disse.
Non avevo alcuna intenzione di darla
vinta alla sconosciuta che si permetteva, dopo avermi atterrato con chissà quale
mossa di arte marziale, di rivolgersi con il tu alla mia persona.
-Chi è lei, e cosa fa nella stanza del
mio amico?-le chiesi cercando di assumere un tono da vecchio insegnante, cosa
che per altro non ero.
-Dov’è Sirius?-
Ancora una volta la stessa domanda, il
sangue cominciava a montarmi al capo.
-Se fai tu le domande allora le faccio
anch’io! E se non ti garba vai pure a farti fottere.-
Avevo urlato.
La donna mi guardò senza scomporsi,
abbozzò un sorriso.
-Sono un’amica di Sirius.-
-Come fai a sapere il mio nome?-
-Lei è una persona molto nota. E Sirius
non chiama gli amici senza avvisare gli amici.-
La guardai con un misto di curiosità e
timore.
-Dov’è Sirius?-chiesi. Ciò che intuivo
mi autorizzava a provocare.
-Sono un’amica di Sirius.-
-Questo l’hai già detto. Perché sei
qui?-
-Se vuoi capire capisci, Zeit. Devi
fidarti.-
Ci guardammo per un momento. Jennifer
era molto bella. Accennai un moto
affermativo.
Fu allora che nuovamente si affacciò la
strana sensazione di un’altra presenza accanto a me. Cercai di dominarmi.
-Il suo nome?-chiesi.
-Jennifer, per gli amici.-
-Toccato. Va bene, Jennifer.-
Ci stringemmo la mano, ma la sensazione
di qualcuno che spiasse dall’ultimo angolo oscuro aumentava.
-Mi ha chiamato qui.-
-Sapevo di te. Ha lasciato un messaggio…-
-Ha fatto nomi?-chiesi.
-No.-
In quel momento prevalse in me la
dimensione del gioco, non con la persona che avevo davanti, ma con quell’occhio
segreto che mi spiava.
-Bonnard? Contini? Turistano?-
-Chi sono?-
Notai nella donna la sensazione di un brivido.
Era come se la presenza stesse accentuando la sua attenzione non solo su di me,
ma anche su Jennifer.
Le dissi ciò che conoscevo di quella
strana storia.
Quando terminai il mio racconto Jennifer
cominciò a muoversi nella stanza. Perquisiva con professionalità. In una giacca
a vento nuova di zecca c’era una piccola tasca mimetizzata da una cucitura
interna, Jennifer ne estrasse un minuscolo blocchetto per appunti.
-Che roba è?-mi disse.
Sulla prima paginetta c’era ricopiato in
alfabeto cuneiforme un canto che suonava più o meno così:
“Sento
che la forza dell’uomo della terra del mare è grande.
Non
riesco a resistere al suo potere.
La
mia pochezza è grande dinanzi a lui
E
agli Dei alati che lo proteggono.
Nessun
figlio della Terra
Può
niente contro la sua potenza.”
Tradussi a Jennifer l’antico testo, lei
scosse il capo.
-Da quando lo conosco non mi ha mai
parlato di lingue antiche.-
Guardai nuovamente i cunei, era un testo
sorprendente, forse unico nel suo genere e se proveniva dalle due tavolette
avrebbe consentito un passo in avanti nello studio dell’antica Mesopotamia.
-Sirius ti ha mai parlato di
esportazione di opere d’arte, reperti archeologici di grande valore scomparsi
dopo la guerra in Irak?-
Jennifer scosse il capo.
-Ma di cosa si occupa Sirius?-
Jennifer non rispose. Mi chiesi se
dovevo avvertirla della sensazione che provavo in quella stanza.
-Cosa significa la storia che mi hai
decifrato?-disse Jennifer-E perché c’è qualcuno disposto a pagare qualunque
prezzo per le due tavolette di terracotta?-
-Non lo so.-risposi-Il testo fa parte di
un’iscrizione molto antica…E qualcosa mi dice che Sirius corre un grave
pericolo, e anche noi…-
-Che vuoi dire?-
-Non senti niente di strano, qui,
vicino, accanto a noi?-
Jennifer s’era immobilizzata di colpo,
vedevo che tutti i suoi sensi erano all’erta.
-Qualcuno ci sta spiando,
Jennifer.-dissi ancora.
Lei mi guardò con un misto di stupore e
paura. Sentivo che quella cosa aumentava di spessore, premeva su mio corpo,
troppo forte per resistere a una simile potenza.
“Come in quell’antico testo.”
Udii Jennifer che mormorava qualcosa,
forse diceva che era solo stanchezza.
Non vidi più nulla e caddi in un immenso
imbuto nero.
3.500 A. C.
La luce del giorno mi trovò nel mio
letto, sul cuscino, accanto a me, c'era un biglietto di Jennifer.
“Tutto O.K. E’ meglio far credere in
paese che sono arrivata questa mattina. Ti aspetto alla reception.”
Stavo bene e attribuii lo svenimento e
le strane sensazioni provate nella notte, alla stanchezza e alla tensione.
Tutto mi sembrava normale e fuori c’era il sole.
La padrona dell’albergo non mi lasciò
nemmeno parlare.
-C’è un’amica che lo attende nella
saletta delle colazioni.-
Con gli occhi la donna indicò Jennifer,
la curiosità sprizzava da tutti i pori.
Jennifer mi salutò in inglese, ci
scambiammo baci da vecchi amici e qualche secondo più tardi l’albergatrice
giunse con biscotti e caffè bollente.
-Cosa è successo dopo?-
-Niente.-disse Jennifer-Ti ho messo
semplicemente a letto. Hai fatto prendere uno spavento anche a me, ma era solo
stanchezza.-
Mi augurai che avesse ragione, ma non
volli insistere.
-Credi sul serio che tutto giri attorno
alle due tavolette?-
-Quello che ho letto era scritto in
sumerico. L’archeologia spesso ha fatto passi da gigante per puro caso,
potremmo star seduti su tesori inestimabili e non venir mai a sapere che
esistono…-
-Contini…Mark Forrest…questi nomi non mi
dicono niente. E Sirius, che fine ha fatto?-
Il nome di Sirius mi ricondusse alla
realtà. Per un momento avevo creduto di essere in vacanza con una donna
bellissima dagli occhi pieni di mistero che ora fissavano qualcuno alle mie
spalle.
Mi volsi sperando di vedere Sirius, ma
era Turistano che ci osservava immobile sulla soglia della sala.
Il prete mostrava sul viso tutti i segni
di una notte insonne.
Sedette al nostro tavolo e a Jennfier
disse semplicemente “buongiorno”.
Era come se l’avesse conosciuta sin da
bambina.
Posò sul tavolo una vecchia borsa da cui
estrasse una busta e un vecchio libro parrocchiale con sulla copertina
un'etichetta ingiallita su cui c'era scritto 1857.
Indicai il registro.
-Cos’è?-
-Questo viene dopo. Ora pensiamo alle
fotografie.-
Con Jennifer ci scambiammo uno sguardo,
il prete aveva usato un tono che non ammetteva repliche.
-Venite con me.-disse-In cucina potremo
lavorare più tranquilli, e non vi preoccupate per la signora, io qui conosco
tutti e voi siete sotto la mia protezione.-
Ci alzammo dalla tavola come due
soldatini messi sull’attenti, Turistano improvvisamente si ricordò di qualcosa
e rivolgendosi a Jennifer si presentò.
-Tauristano, don Turistano.-
Anche Jennifer si presentò e strinse la
mano al prete che ci condusse in una piccola stanzetta. Per fortuna Turistano
aveva con se una lente di ottima qualità: le copie che aveva stampato non erano
un capolavoro. Iniziai a lavorare esaminando tutti i testi, immergendomi
totalmente nell’alba della storia umana. Si trattava più che altro di resoconti
commerciali e amministrativi, ma all’improvviso mi imbattei in un testo più
antico che iniziai a trascrivere. Quando terminai sollevai gli occhi verso
Jennifer e Turistano, l’aria nella stanza sembrava solida.
Lessi il testo.
“Io,
scriba del tempio, figlio delle streghe del deserto, colui che ha conosciuto
popoli e re, so per certo che l’uomo delle terre del mare possiede doni che
nessun figlio di Uruk conosce. E’ un uomo che non è un uomo. Egli è come Dio.
Affermo tutto ciò perché provengo da una tribù che possedeva il dono di leggere
nel pensiero degli uomini. Fui allievo di mia madre che era una grande strega.
Ma la forza che ho ereditato da mia madre è poca cosa in confronto a quella che
possiede l'uomo delle terre del mare. Ho provato a lottare con lui, ma egli è
il più forte. Fra tutti gli uomini di Uruk, solo io conosco il suo segreto. Ci
spia, è capace di volare sopra la testa degli uomini e andare lontano, sul
carro di luce che appare ad occidente. E' lui che ha chiamato il carro, è
salito in cielo e quando è sceso era giovane e forte come un Re. Sono i suoi
Dei che gli danno questo potere, egli è figlio degli Dei e io non posso che
inchinarmi dinnanzi a lui. Se gli Dei hanno deciso che uno di loro debba
mischiarsi insieme a noi uomini, così sia. E io, che ho commesso un grande
peccato di superbia, sono destinato a perire. La forza del Dio-uomo che viene
dalle terre del mare è troppo grande, non credo di poter resistere molti giorni
ancora. Sono troppo debole contro di lui e gli dei alati che lo proteggono.
Nessun figlio della terra può niente contro una simile potenza."
Diciannovesimo
secolo D.C.
Il testo mi sembrò autentico e per il
solo fatto di contenere un riferimento ad una pratica telepatica persa nella
notte dei tempi, rappresentava una novità assoluta per la conoscenza delle
origini dell'umanità.
-Le ultime parole.-disse Jennifer-Non
sono le stesse che Sirius ha ricopiato sull'agendina?-
Turistano ci guardò con sorpresa.
Raccontai allora gli avvenimenti della notte tacendo su lavoro di Jennifer, o
almeno sull'idea che mi ero fatto di lei. Turistano non disse niente quando lo
misi al corrente dello strano fenomeno che mi aveva fatto perdere i sensi. Ma
sul suo viso si dipinse un'aria grave che mi suggerì un pensiero. Sirius era in
pericolo. E noi, correvamo gli stessi rischi? Qualcuno voleva mantenere il
segreto sulle tavolette di Uruk ed era disposto a farlo a qualunque costo?
Turistano spinse verso di me il vecchio
registro parrocchiale.
-Date un'occhiata a questo.-
Lo aprì ad una certa pagina, si trattava
di una cronaca scritta in francese e datata 3 settembre 1857.
Lessi rivolgendomi a Jennifer.
"Ancora
una volta debbo registrare l'accadere di avvenimenti che oso definire
soprannaturali e ispirati dal maligno. Le luci sono tornate nel cielo in
direzione del lago. Le ho viste con i miei occhi insieme ai parrocchiani di
questo misero villaggio. I rumori dal cielo e il frastuono sono durati sino
all'alba e spero di non dover mai più assistere nella mia vita a spettacoli di
tal sorta. Tutti si rivolgevano a me, mille domande e sguardi invocavano
consiglio e aiuto. Ho ordinato ai miei parrocchiani di non raccontare a nessuno
ciò che hanno visto e udito, pena rendersi colpevoli di peccato mortale. Cosa
dovevo fare? C'è un vecchio che dice di ricordare le stesse luci e i rumori dal
cielo, era bambino a quel tempo. Chissà? Forse tutto è cominciato quando gli
Angeli della Luce Divina vennero a rifugiarsi tra le nostre montagne all'epoca
delle grandi pestilenze e costruirono il castello sul lago. Per nostra fortuna
vennero sterminati a fil di spada, tutti, meno il loro capo: Gorman. Le antiche
leggende raccontano che il suo corpo non venne mai trovato. Altre leggende
affermano che sul lago sorgesse, nella
notte dei tempi, un villaggio poi sommerso dalle acque, un villaggio in cui i
pagani celebravano sacrifici su un altare di pietra a forma di triangolo."
-Chi sono gli Angeli della Luce
Divina?-chiese Jennifer.
Nella piccola stanza stagnava il fumo
delle nostre sigarette.
-Sul loro conto c'è una pergamena
conservata negli archivi vescovili. Si tratta di una setta ereticale che alla
fine del Medio Evo cercava il Paradiso sulla Terra. Vennero a rifugiarsi fra
queste montagne spinti dalla pestilenza che infuriava oltre le Alpi. Si dice
che fortificassero il loro rifugio, li guidava un certo Gorman, una sorta di
santone di cui non si conosce nulla. I cavalieri della Valle organizzarono una
crociata e li sterminarono, si dice che nel loro villaggio nascondessero
forzieri pieni d'oro.-
-Del castello, di questo villaggio, è
rimasto qualcosa?-chiesi.
-Proprio sul luogo in cui si crede
sorgesse il villaggio venne costruita la Villa, all'inzio dell'Ottocento,
quando venne qui un barone polacco, Konsalisky. Era rimasto ferito durante le
guerre napoleoniche. Fece edificare la villa e visse da solitario sino alla
morte.-
-E dopo, chi abitò la villa?-disse
Jennifer. Avevo una gran voglia di abbandonare la stanzetta e salire sino al
lago e vederla questa villa.
Turistano fece un gesto vago.
-E' difficile raccontare quello che è
accaduto dopo la morte del polacco. La villa è stata a lungo disabitata, poi
sono venuti nuovi proprietari. Soggiorni di breve periodo e sempre gente
forestiera, arrivavano e scomparivano…Forse è anche per questo che attorno alla
villa sono sorte dicerie strane…-
-Quali dicerie?-chiese Jennifer.
Nello sguardo di Turistano traspariva
imbarazzo, pensai che fosse lui il primo a crederci.
-E' un luogo estraneo alla nostra gente.
C'è chi dice di aver udito attorno alla villa rumori seguiti da improvvisi
silenzi. La villa è rimasta disabitata sino all'arrivo di Contini. La gente di
qui non va volentieri su quel lago…-
Lo interruppi.
-Che età poteva avere Contini quando
giunse qui?-
-Io non c'ero, uscivo appena dal
seminario.-
-Ma quando l'avete visto per la prima
volta che età poteva avere?-
Turistano scosse la testa.
-Non potrei dirlo.-
Restammo in silenzio, con quelle
fotografie e il vecchio registro davanti agli occhi. Sollevai il capo e guardai
fuori dalla finestra, c'era il sole.
-Vieni Jennifer.-dissi-Andiamo a vedere
com'è la montagna d'autunno. Turistano, volete farci da guida?-
Tutti avevamo voglia di uscire da quella
stanza piena di fumo e di misteri.
Fine della
seconda parte
Finis Terrae
Terza parte
finis terrae
Turistano indicava le montagne e dava un
nome alle alte cime, io e Jennifer in quella bella giornata di inizio inverno
eravamo come due turisti che hanno fatto amicizia con il prete del villaggio e
si lasciano accompagnare da un personaggio un po’ ciarliero alla scoperta di un
mondo che non conoscono.
Tutto questo era assurdo.
-Andiamo.-dissi.
Turistano e Jennifer mi guardarono,
negli occhi del prete lessi un lampo di paura.
-Andiamo alla villa. Voglio vederla.-
-Prof. Zeit occorre prudenza…quel
posto.-mormorò Turistano.
Non mi ero sbagliato.
-Voglio vedere la villa.-insistetti-In
questa storia ci sono troppi misteri e un morto…E Sirius non si fa vedere.-
Jennifer mi guardava con l’aria di chi
scopre in qualcuno un comportamento inatteso. Ma io, lo confesso, avevo paura.
Nella mia mente si confondevano due storie: il mistero contenuto in quel testo
che risaliva ad un'epoca antichissima e quello di una casa sperduta fra le
montagne in cui c’era un via vai di persone di cui non si sapeva nulla.
Con la macchina di Jennifer imboccammo una strada sterrata che
s’incuneava nella stretta gola dalle alte pareti di roccia.
A un tratto Jennifer mi chiese:
-Credi che riusciremo a trovare Sirius?-
La guardai, la sua paura era anche la
mia.
-Non lo so.-risposi-Lo spero.-
Turistano si allarmò.
-Dubitate che Sirius sia ancora vivo? E
perché mai?-
Fu in quel momento che scorgemmo la
villa, il paesaggio del pianoro e del lago si apriva improvvisamente davanti ai
nostri occhi. Contrariamente a quanto mi aspettavo, la villa non si presentava
come un edificio maestoso e in qualche modo terribile. Era una costruzione molto
simile ad una vecchia casa signorile del sud americano e stranamente
contrastava in quell’ambiente, con il laghetto un po’ tetro, i pini e le aguzze
punte delle montagne sullo sfondo. Sembrava come posata in quel luogo. Posata,
questo era il termine esatto per descrivere l’impressione che provai osservando l’edificio. E improvvisamente
tutto mi parve lontano, infinitamente lontano da ciò che conoscevo. Scesi dalla
macchina insieme agli altri e, ricordo bene, pronunciai queste parole:
-Finis Terrae.-
L’aria era fredda e un vento gelido
increspava le onde del laghetto alpino.
-C’è qualcuno sul lago.-disse Jennifer.
In piedi su una piccola barca a remi c’era un uomo con una tuta da subacqueo,
mi chiesi cosa mai cercasse in fondo al piccolo specchio d’acqua. Lui ci
guardava immobile mentre ci avvicinavamo alla riva.
-E’ il giovanotto che ha preso il posto
di Contini.-disse Turistano.
-L’erede.-commentò Jennifer.
-Che io sappia nessuno ha mai pescato in
queste acque.-aggiunse Turistano.
E fu in quel momento che avvertii
qualcosa, era la stessa sensazione che avevo provato nella stanza di Sirius.
Era un occhio non amico che mi guardava; esercitava su di me una forza
sconosciuta che mi provocava angoscia e lentamente invadeva il cervello. La mia
testa era stretta in una morsa, una grande tenaglia che stringeva, stringeva,
sino a spaccarla come una zucca.
Udii la voce di Jennifer mentre il vento
gelido diventava violento e mi investiva, poi solo buio e grande caldo attorno
a me.
La paura
Era un grande idolo quell'oggetto
sconosciuto che mi sovrastava.
“Nessun uomo della Terra può niente
contro una simile potenza.”
Mille e mille anni fa uno scriba aveva
inciso su una tavoletta di terracotta quelle parole che mi rimbombavano nelle
orecchie.
Vidi una forma che mi parve umana, mi
parve di riconoscere Sirius, ma la forma umana si mutò in una donna di pietra e
poi di ghiaccio e ancora pietra nera. Donna, femmina, madre dell’umanità. Una
statua nera mi sovrastava. Voleva schiacciarmi con i suoi mille seni, il grande
ventre, le natiche enormi.
Urlai.
Qualcuno mi afferrò per i polsi e mi
tenne fermo sul letto in cui ero disteso. Forse l’incubo della statua era
l’ultimo di una serie, perché solo allora cominciai lentamente a mettere a
fuoco i volti che mi osservavano, quello di Jennifer e di Turistano che
sorrideva dietro le spalle della ragazza nera. La forte stretta di Jennifer sui
miei polsi si allentò, prese le mie mani fra le sue. Mi resi conto di trovarmi
nel letto della mia stanza d’albergo.
-Cosa è accaduto?- le chiesi con una
voce che, ricordo, mi uscì a fatica dalla gola.
-Sei svenuto.- rispose Jennifer-In mezzo
a quel vento sei caduto giù come una pera dall’albero.-
Tutto improvvisamente mi fu nitido
davanti agli occhi.
-L’erede, che fine ha fatto?- chiesi.
-Non si è curato di noi, mentre ti
portavamo via ho visto che si tuffava nel lago.-
Cercai di muovermi, ma un forte dolore
alla nuca e alla schiena mi costrinse a rimanere disteso.
-E’ inutile, aspetta, e le forze
ritorneranno.-
La voce di Jennifer era dolce come
quella di mia madre. Rividi per un momento mia madre china su di me, bambino,
nei giorni dell’infanzia, mille anni prima.
-Contini, dov’è sepolto?-chiesi dopo un
lungo silenzio.
Negli interminabili secondi trascorsi
dall’esortazione di Jennifer, tutta quella storia assurda era passata nella mia
mente.
Turistano rispose con la voce velata
dalla paura.
-Nel cimitero del paese, Forrest ha
consegnato al sindaco una lettera in cui Contini chiedeva di essere sepolto qui. Lo ha
portato Forrest.-
-Quando sarò in grado di camminare
andremo a vedere cosa c’è in quella tomba.-dissi.
Con Jennifer ci guardammo negli occhi,
lei era d’accordo con me. Tauristano invece si allarmò.
-Non possiamo.-disse-E’ contro la legge
profanare una tomba…Perché volete disturbare il sonno dei morti?-
La sua paura non fece altro che
aumentare la mia determinazione.
-Io non voglio disturbare nessuno,
voglio sapere cosa c’è al fondo di questa storia. Oggi qualcuno, e non so come,
ha tentato di uccidermi. A voi non interessa sapere com’è morto Bonnard?-
-C’è il demonio attorno a noi. E’ il
maligno…Perché volete scoperchiare una pentola maledetta?-
Le parole di Turistano mi procurarono un
brivido nella schiena, anch’io avevo paura. Ero folle di paura anzi, ma udivo
nelle orecchie la voce di Sirius e la sua richiesta di aiuto.
Vincendo il dolore alla nuca e alla
schiena cercai di parlare.
-Ho deciso di andare sino in fondo a
questa storia, voglio ritrovare Sirius, voglio sapere cosa accade in questo
buco, voglio quelle due tavolette. Appartengono all’archeologia e all’umanità.-
-Cos’hai provato sul lago?-chiese
Jennifer.
-Come la scorsa notte, ma di una potenza
infinitamente più grande. Non ho mai sentito niente di simile, era come se
un’enorme mano mi sbriciolasse il cervello.-
-Fenomeni del genere, esistono?-
Il volto di Jennifer esprimeva una
tensione e, forse, paura che non le avevo mai letto in viso. Ricordai la strana
figura in mezzo al laghetto, e poi il vento impetuoso e la grande mano posata
sulla mia testa.
-L’uomo delle terre del
mare…-mormorai-Anche lo scriba di Uruk diceva di essere in pericolo…Può
uccidere…-
-Bonnard!-esclamò Turistano.
Jennifer si volse a guardarlo.
-E’ morto per un ictus.-mormorò
Turistano.
-E le due tavolette sono sparite.
Dovevano far molta paura a Contini. Bonnard è morto perché conosceva il loro
segreto, oppure lo aveva intuito. E anche Sirius…-
Fui folgorato da un presentimento.
-Dove sono le fotografie?-chiesi.
-In macchina.-rispose Jennifer-Nella
borsa…-
Turistano si stava precipitando verso la
porta. Jennifer chinò il capo. Presi fra le mie la sua mano destra e portai le
dita alle labbra. Un bacio.
-Ho paura. Questa cosa è diversa...-disse
Jennifer.
-Anch’io.-mormorai.
Dopo qualche secondo la porta si aprì,
dall’espressione dipinta sul volto di Turistano capimmo che le fotografie erano
scomparse.
Fine della
terza parte
Finis Terrae
Quarta parte
Notte al
chiaro di luna
Tauristano chinò il capo.
Jennifer illuminava con la torcia
elettrica un cumulo di terra e una lapide con inciso soltanto “Contini”, niente
date o nomi, un epitaffio. Niente. Contini giungeva dal passato e spariva nel
futuro. Mi passò quest’idea nella mente mentre mi avvicinavo alla tomba,
eravamo in pericolo e sapevo che Jennifer aveva con se una pistola. Lo
consideravo quasi giocattolo, visto il nemico che ci apprestavamo ad affrontare.
Dopo un lungo sonno mi ero svegliato completamente padrone delle mie forze e
mentre trascorrevano i minuti, l’idea della lotta all’ultimo sangue lentamente
prevalse in me. E volevo vincerla.
Iniziai io lo scavo, poi Turistano mi
diede il cambio, quando il prete diede segni di stanchezza fui di nuovo io a
prendere in mano il badile, poi fu la volta di Jennifer. Il vento leggero che
ci aveva accompagnato sino al cimitero e poi durante lo scavo era caduto. Ora il
chiarore della Luna ci mostrava la bara allo scoperto. Colsi negli occhi di
Jennifer la paura di chi vorrebbe fuggire, ma non può farlo. Con un pesante
grimaldello forzai il coperchio e dopo parecchio sforzo riuscii ad aprirlo.
Dovetti comprimermi il naso con un fazzoletto perché il processo di
decomposizione era già in stato avanzato, Jennifer e Turistano s’erano
allontanati di colpo. Illuminai il cadavere e osservai il profilo vagamente
arabo di Sirius. Nessuno gli aveva chiuso gli occhi.
Ricoprimmo tutto, era l’alba quando
uscimmo dal cimitero. Jennifer teneva la sua mano nella mia, sarebbe stato
bello darle un bacio, ma dovevamo decidere subito se andare o non andare alla
villa. Lo dissi e gli altri due approvarono.
Mi rivolsi a Turistano:
-Se non ve la sentite potete attenderci in
canonica.-
-Come farei a star solo, mentre voi due
andate incontro a chissà quale rischio? Andiamo.-
Prima di accendere il motore Jennifer
mise nelle mie mani un’altra pistola, era un oggetto minuscolo.
Non dovemmo affrontare alcun muro o cani
inferociti, evitare allarmi. Il pesante cancello della villa era semplicemente
aperto, come se qualcuno conoscesse in anticipo le nostre intenzioni.
Percorremmo un vialetto che terminava davanti ad una gradinata di pietra molto
simile ad altre che avevo salito in quella parte delle Alpi. Il portone era di
legno antico, senza fregi, ornamenti o batacchi. Perfettamente liscio, sembrava
fabbricato e montato il giorno prima: nemmeno un segno, una scalfitura, una
traccia di polvere. Era socchiuso. Fu Jennifer che spinse l’anta ed entrò per
prima, nella mano destra teneva la sua pistola minuscola che, lo scoprii in
quel momento, aveva anche la funzione di illuminare l’ambiente con un getto di
luce molto intenso. Ci trovavamo in uno spazio circolare con al fondo una scala
che mi sembrò di marmo, non c’erano odori. Jennifer orientò il raggio della
torcia verso destra, una porta spalancata introduceva ad un altro locale di
forma molto simile a quello in cui ci trovavamo. C’erano mobili ed erano di
stile settecentesco, sembravano appena usciti dalla bottega di un ebanista,
sulle superfici non c’era un graffio, un filo di polvere. Niente. Entrammo
nella seconda sala e in fondo scorgemmo un grande camino, avremmo potuto starci
in tre comodamente in piedi. Poi notai qualcosa che mi lasciò a bocca aperta: sulla
mensola di pietra del camino c’era un quadro che mi era familiare.
La Gioconda di Leonardo da Vinci ci
sorrideva ed era come se ci invitasse a proseguire nella nostra esplorazione.
Come attratto dal quel sorriso, camminai
verso il camino e vi entrai, feci un cenno agli altri che mi raggiunsero. Anche
all’interno del camino tutto era perfettamente pulito, mai una fiamma aveva
scaldato quella stanza, la pietra era liscia. Jennifer e Turistano s’erano
fermati ad osservare il volto di donna dipinto da Leonardo, fiumi d’inchiostro
erano stati sparsi su quel quadro.
-Venite.-dissi-Ci stanno aspettando.-
Eravamo tutti e tre all’interno del
camino e attendevamo qualcosa che non tardò a venire: improvvisamente la parete
alle nostre spalle parve come dissolversi. Un altro vano debolmente illuminato
da una luce che non proveniva da alcuna fonte ci attendeva, vi entrai e mi
accorsi che introduceva ad una lunga fila di scalini che scendevano verso il
basso. Udimmo qualcosa alle nostra spalle, ci voltammo e vedemmo la parete di
pietra di nuovo ricomposta.
Temetti che Jennifer urlasse, il volto
di Turistano invece era stranamente tranquillo, pensai che fosse soltanto
rassegnazione.
-Dobbiamo proseguire. Venite.-dissi e mi
apprestai a scendere.
-Cosa voleva dire quel quadro?-chiese
Jennifer.
-Non lo so.-le risposi iniziando la
discesa-Andiamo avanti.-
Scendemmo, tutto sommato pochi scalini,
e ci trovammo davanti a un corridoio dalle pareti perfettamente lisce, la luce
s’era trasformata: dal verde leggero delle scale aveva assunto una tonalità più
azzurra. Camminavamo tutti e tre affiancati, ma a un tratto dovemmo fermarci
perché il corridoio terminava con un parete chiara e assolutamente nuda.
Restammo in attesa, sapevamo che l’altra parete di pietra s’era chiusa alle
nostra spalle, forse per sempre. Se eravamo in trappola, era una strana
trappola.
La grande
sfera
Non so ancora bene cosa accadde. D’un
colpo scomparvero corridoio, luce, parete e forse le scale alle nostre spalle;
ci ritrovammo immersi in un altro ambiente, una grande sala tappezzata di
scaffali, come se fosse una biblioteca, ma non c’erano libri, al loro posto
solo sfere, una quantità enorme di piccole sfere grandi quanto un’arancia e
trasparenti. Ma fu un’illusione ottica: sulle sfere ruotavano, o per meglio
dire, navigavano segni assolutamente sconosciuti.
Udii la voce di Tauristano.
-Dove siamo? Che luogo è mai questo?-
Osservai Jennifer: era come affascinata
dalle sfere. Le toccai un braccio, si volse e mi sorrise. E fu l’unica cosa
vera in quel mondo di cui non capivo la natura, le dimensioni, lo scopo.
Ma qualcosa accadeva sulla nostra testa,
sollevammo il capo e vedemmo una grande sfera del tutto simile alle piccole,
che scendeva su di noi. D’istinto provai a muovermi, ma non potei fare un
passo, ero bloccato, assolutamente bloccato sul mio metro quadrato di
pavimento. La sfera calò su di noi, ci avvolse e ci accolse al suo interno:
ricordo di aver provato la piacevole sensazione di essere immerso in una vasca
di acqua tiepida dopo una grande fatica. E qualcosa era cambiato, in una
dimensione onirica stavo, e con me i miei amici, comodamente seduto su quella
che sembrava una poltrona e davanti ai miei occhi si apriva un grande schermo.
L’uomo parlava, si rivolgeva a qualcuno,
era vestito in modo che mi parve appartenere al passato, e mi accorsi che in
quella figura c’era qualcosa di vagamente familiare. L’uomo si mosse, continuò
a parlare con il suo interlocutore e si avvicinò a un quadro che conoscevo
molto bene, accanto al quadro c’era una donna. Leonardo stava dipingendo la
Gioconda. Avvertii la mano di Jennifer posarsi sulla mia, le sue unghie si
conficcarono nella mia carne: assistevamo alla nascita di un capolavoro nella
storia dell’umanità. Tutto all’improvviso cambiò, eravamo catapultati indietro nel
tempo perché non tardai a riconoscere nel tempio la forma di ziggurat. La
ziggurat era attorniata da uomini seduti in terra e seminudi, il sacerdote
saliva verso la sommità dell’edificio e fra le mani reggeva un cesto colmo di
offerte per gli dei, lo seguivano suonatori di antichi strumenti musicali. Ma
tutto si svolgeva nel perfetto silenzio. Il sacerdote, giunto alla sommità
della ziggurat si rivolgeva al Sole e pronunciava una preghiera. Udivo ben
chiare le parole di una lingua sulla quale avevo speso i migliori anni della
mia vita. E fu allora che credetti di impazzire…per la gioia. A me, solo a me,
toccava di assistere all’evento. Mai nessun archeologo avrebbe provato un
simile piacere. Flauti e cembali ora suonavano
la musica del paese di Sumer…E poi carri…carri di guerra. Ci ritrovammo dentro
una violenta battaglia combattuta almeno duemila anni prima di Cristo, le teste
volavano, il sangue ci schizzava contro, e le urla e i corpi dei guerrieri
uccisi…E ancora immagini di morte. Una lunga fila di croci da cui pendevano
miseri corpi di uomini e donne; i corvi beccavano gli occhi dei disgraziati
oscenamente esposti mentre un tramonto rosso fuoco illuminava i colli di Roma.
Eravamo in mezzo al mare, su un veliero come quello in cui avevo sognato di navigare
quando ero bambino. All’orizzonte c’era una terra sconosciuta. E ancora guerra:
in mezzo a una città che bruciava mi sembrò di venir travolto da una folla di
uomini e donne che fuggivano la furia di soldati dipinti dai pittori
fiamminghi. Vidi una donna afferrata e gettata in terra, pronta a subire
violenza. Un salto indietro nel tempo. Uomini seminudi armati di rozze lance
circondavano un grosso bufalo appena ucciso e gli danzavano intorno. E di nuovo
Leonardo che invitava lei, la Gioconda, a giudicare il ritratto appena
ultimato.
Improvvisamente il caleidoscopio
d’immagini e suoni in cui eravamo immersi cessò di colpo e venne il buio più
totale che io potessi immaginare. Ma sentivo la presenza di Jennifer e
Turistano accanto a me, ne udivo il respiro e loro il mio. Poi una luce verdina
tornò ad illuminare la sala delle sfere misteriose che ci aveva introdotto in
quel viaggio dentro il tempo, e fremevo di conoscere quale sarebbe stato il
prossimo passaggio dell’avventura. Potevo muovermi, mi volsi e fu in quel momento che compresi cosa
fossero le sfere. Noi ci trovavamo all’interno di un immenso archivio. Questa
fu l’ipotesi che formulai nella mia mente, e non mi sbagliavo. Racchiusa nelle
sfere c’era la storia del nostro mondo e qualcuno aveva registrato tutto questo
prima che fossero stati inventati la fotografia, il cinema, la televisione, il
computer.
-Dio! Cos’è tutto questo?!-
L’urlo di Jennifer mi lasciò
indifferente. Non seppi cosa rispondere e confesso francamente che ero
affascinato da ciò che vedevo e scoprivo. E fu come se un altro immenso sipario
si sollevasse di colpo, ci apparve davanti agli occhi uno spazio difficile da
descrivere, assomigliava all’interno di una pomposa chiesa barocca. Ma al posto
degli altari e dei santi c’erano pannelli e punti luminosi e strani organi
trasparenti, pronti ad emettere suoni sconosciuti di sinfonie cosmiche. E più
lontano, sulla volta di un abside, mi parve di scorgere la mappa di un universo
a me assolutamente sconosciuto. Mi sollevai dalla poltrona, ero assolutamente
libero nei movimenti, Jennifer e Turistano mi seguivano all’interno della
cattedrale che ora consideravo come una grande macchina aliena. Jennifer mi
raggiunse, camminavamo l’uno accanto all’altra, e i nostri passi non emettevano
alcun suono. Udivo il respiro affannoso di Turistano. Una luce azzurra, più
intensa, molto più forte di quella che
aveva illuminato il corridoio piovve dall’alto e per un momento ci abbagliò,
tanto che fummo costretti ad arretrare di qualche passo. Distinguemmo qualcosa
che pian piano veniva giù all’interno della luce, era una figura umana che
scendeva verso il suolo e la luce si mutava in chiarore tenue che non offendeva gli occhi. All’inizio non
distinsi la figura, ma nello svanire della nuova luce la riconobbi: era lei, la
Gioconda di Leonardo da Vinci, Monna Lisa.
-Dio…Dio…Aiutaci.-
Le parole di Turistano, così com’era
stato per l’urlo di Jennifer, non mi turbarono affatto. Sentivo tutto me stesso
proteso verso la figura femminile che ci sorrideva, così come aveva sorriso al
genio del Rinascimento.
Monna Lisa parlò. Udimmo una voce non di
donna adulta, ma quasi di fanciulla…
-Comprendo, signori, il vostro stupore,
e la vostra emozione. Siete i primi a vedere tutto questo, e certamente gli
ultimi, ma non dovete aver paura. Le vostre vite non sono in pericolo. La
missione su questo pianeta è giunta al termine e gli ordini che ho ricevuto
sono precisi: debbo lasciarvi in vita. A nome del mio popolo porgo
ufficialmente le mie scuse a voi, rappresentanti della razza umana, prescelti
per questo contatto. Sirius, Bonnard, lo scriba di Uruk, colui che dipinse il
quadro nel quale è raffigurato l’essere femminile che chiamate Monna Lisa, e
tutti coloro che hanno avuto il sospetto della nostra presenza sulla Terra,
sono stati eliminati. E sareste morti anche voi se un ordine improvviso non mi
avesse imposto di farvi conoscere il segreto: siete stati analizzati, studiati,
sezionati, passati al vaglio della nostra lente d’ingrandimento. Abbiamo
compiuto questo lavoro anche per altre forme di vita che popolano l’Universo.
La conclusione a cui siamo giunti è che non siete migliori o peggiori di altri.
Rispondo subito alla domanda che passa nella sua mente professor Zeit: non vi
abbiamo mai aiutato, né quando scopriste il fuoco, né quando avete inventato
l’energia che vi permette di compiere qualche breve passeggiata nello spazio.
Verrà un giorno in cui anche noi scompariremo e a chi erediterà il nostro
sapere verrà lasciato in dono anche questo archivio che testimonia della vostra
esistenza. Perché voi non sarete eterni. Non so quando avverrà la vostra
scomparsa e la mia lunga permanenza sul questo pianeta non mi autorizza a
formulare alcuna ipotesi. Ho avuto questo compito e per me è stato un onore
servire al progetto che gli antenati concepirono. Fu un grande disegno, pensato
quando cessarono le guerre intestine: sono millenni che noi viviamo in pace e
la vostra sorte non ci interessa. Potete distruggervi a vicenda, scomparire,
progredire e giungere a più alti livelli di civiltà, non ci interessa. Ma
sappiate che noi conosciamo tutto di voi, e non è detto che un giorno qualcuno
non venga a controllarvi. Ci siete semplicemente indifferenti e lo scopo, il
fine, della nostra civiltà, ciò che arde al centro del nostro sistema e ci fu donato
direttamente dagli Dei posso riassumerlo in una parola rozza e degna solo di un
popolo selvaggio, quale siete voi: conoscenza.-
La donna tacque. E io rimasi a guardarla
senza sapere cosa dire, cosa rispondere a quel discorso che alle mie orecchie
suonava peggio di una condanna a morte. Avrei voluto porre mille domande, ma
sapevo che all’essere che si nascondeva sotto le sembianze di Monna Lisa, e
questa era una verità terribile da accettare, di me non importava niente. Ero
per lei meno che un granello di sabbia.
Monna Lisa cominciò a mutare aspetto.
Era come se in una veloce progressione la donna assumesse le sembianze di tutti
coloro che noi umani avevamo incontrato nel corso della nostra esistenza. Udii
Turistano mormorare il nome di Contini e mi parve di scorgere un volto che
poteva essere quello di Gorman. E infine avvenne l’ultima trasformazione;
temetti di trovarmi davanti a qualcosa di mostruoso, simile alla
rappresentazione che nel cinematografo diamo degli esseri alieni. E invece mi
sbagliavo. Era una donnina anziana dai capelli candidi e avvolta in una tunica
anch’essa bianca coma la neve, la figura che ci osservava. Udii un singhiozzo,
Jennifer piangeva.
-Non andar via.-disse fra le lacrime.
-La mia lunga vita sta per
concludersi.-rispose l’anziana signora-Andrò a riposare nella mia terra,
all’ombra dei templi che innalziamo ai nostri Dei, accanto alla Collina del
Sapere. Addio.-
-Perché quel ritratto rimarrà fra
noi?-chiesi. Avrei voluto domandare mille cose. Lei sorrise.
-Spero di venir perdonata per il mio
peccato.-mormorò.
-Ma perché rimarrà qui, perché non fu
distrutta la tua immagine?-
-Forse è questo il castigo.-
-Demonio!-
Era l’urlo di Turistano, chissà da
quanto represso.
-Tu non andrai via! Sarai giudicata per
i misfatti commessi. Dio ti maledice!-
E il prete, senza che potessimo
intervenire, si lanciò contro la donnina, ma la figura scomparve e Turistano
strinse il nulla fra le sue mani.
Quella fu l’ultima immagine che ricordo.
La partenza
e il dubbio
I giornali della sera scrissero che quel
giorno s’era verificata una scossa di terremoto in una piccola parte delle Alpi
Occidentali: uno strano sisma che aveva avuto un limitato epicentro e un raggio
piccolissimo. Una stranezza, insomma.
A noi toccò di assistere alla partenza
per un mondo lontano, di una macchina costruita per andare oltre le stelle. Ci
destammo distesi su un pendio erboso, davanti a noi il lago, la villa e le
montagne. Tutto era in silenzio in quella mattinata alpina, soleggiata e
fredda. Ma la terra tremò e le acque del laghetto si divisero ribollenti,
s’innalzò allora un oggetto romboidale che all’inizio ci parve molto piccolo,
ma più emergeva e più assumeva dimensioni notevoli. Era argenteo e grande,
quasi quanto la superficie del lago. Divenne poi immenso, mentre il cielo si
oscurava sulle nostre teste e un rumore assurdo ci dilaniava i timpani.
Dovemmo, per impedire d’esser risucchiati dal vortice, aggrapparci alla terra,
affondare le unghie nell’erba. La villa si afflosciò come una casetta di carta
e la terra tremò ancora mentre l’oggetto si levava verso l’alto, sino a
scomparire nel cielo azzurro.
Qundo il vento e rumore cessarono sentii
il corpo di Jennifer aggrappato al mio.
-Portami via di qui.-mi disse.
Il lago era sparito, al suo posto solo
una nera pozzanghera d’acqua limacciosa. Anche la villa era sparita,
inghiottita nella terra sconvolta e tutto era immerso nel grande silenzio della
montagna. Nemmeno il canto di un uccello, niente.
Tornammo in paese senza parlare e non
rispondemmo nemmeno a chi ci chiedeva notizie sul terremoto. Nel paese non
c’erano stati danni, solo un grande spavento. Più tardi, quando si sparse la
voce che il lago era sparito e la villa non esisteva più, molti, incuriositi,
salirono a vedere e per giorni nel paese non si parlò d’altro. Credo che il
luogo ancor oggi sia poco frequentato.
Per quel che ci riguarda, rincuorammo il
nostro spirito con parecchie bottiglie di vino e tra noi scattò il meccanismo
dell’assoluta rimozione: di ciò che avevamo visto e udito non parlammo nelle
ultime ore che trascorremmo insieme. L’indomani io e Jennifer partimmo,
Turistano ci salutò con sul viso la tristezza di chi vede per l’ultima volta
due amici.
Sedevamo sulla terrazza dell’Hotel
Universal, il cielo sulla nostra testa era pulito, nonostante le porcherie che
la città spediva verso l’alto. La mano di Jennifer era nella mia, più tardi
avremmo fatto l’amore, era già avvenuto altre volte. Tra noi non c’era nessun
progetto, ma solo un’unione indissolubile generata dall’incredibile avventura
vissuta insieme. Quel pomeriggio eravamo stati al Louvre e ci eravamo divertiti
ad osservare la folla che si accalcava attorno alla copia dell’autentico
ritratto.
-Chissà se l’hanno perdonata…-aveva
detto Jennifer.
-Quel giorno-le chiesi-la implorasti di
non adar via. Perché?-
-Forse, come accade ad ogni essere che
vive fra gente diversa, aveva preso un po’ di noi e s’era innamorata. Forse è
in questo l’ambiguità del sorriso. In fondo, è una storia tragica.-
Guardai i segni dello scriba e osservai
il cielo. Qualcuno, oltre le stelle, distillava il nostro bene e il nostro
male. Pensai a Turistano e lo vidi mentre provava e riprovava a stampare quelle
fotografie.
“Li abbiamo fregati.” Pensai.
Jennifer si appoggiò a me, guardava le
stelle.
-E’ come se qualcuno ti guardasse al
microscopio.- mormorò.
-Ma in fondo non è questo che
m’inquieta.- risposi.
-Cosa allora?-
-E’ il dubbio, e non lo scioglierò mai.
Quell’immenso archivio, un tesoro inestimabile. Chissà se è in buone o in
cattive mani? E non lo saprò mai.-
Fine
Stefano Viaggio
Ottobre 2014