venerdì 7 novembre 2014

Finis Terrae

Finis Terrae

di

Stefano Viaggio

 “Si tratta di una faccenda nella quale mi sono trovato coinvolto mio malgrado. Purtroppo non posso far altro che riferire  tutto quello che so.”

Da “Gli invasati” di Jack Finney (romanzo da cui fu tratto il film "L'invasione degli ultracorpi" di Don Siegel, 1956)
Prima parte

La lettera


“Caro Professor Zeit,
conto ormai i giorni del mio passaggio su questa terra. Ho deciso di attendere la fine, lontano dai luoghi che ci videro insieme e ancor oggi mi chiedo se è vero ciò che vedemmo e dubito di me stesso. Se mi convincessi che si trattò solo di un incubo, forse troverei il coraggio necessario per affrontare serenamente la prova suprema che il Signore m'impone. Ma so che non fu un incubo. Lei e la signorina Jennifer siete ancora giovani e spero che un giorno riuscirete a mettere a buon frutto il segreto che noi soli conosciamo. Che strano destino il nostro! La risposta alla domanda che l’umanità si pone da secoli noi la conosciamo, ma se rivelassimo quanto abbiamo visto e udito saremmo trattati da visionari, come i tanti che di volta in volta fanno parlare di se sui giornali. Ho ritrovato le copie mal riuscite delle fotografie che stampai nel povero laboratorio della parrocchia, sono una testimonianza, una traccia. Le accludo alla presente e ne faccia l’uso che meglio crede. Per conto mio la faccenda è chiusa. Avrei piacere di vedervi ancora.
Con affetto.
Don Alfredo Turistano”

Osservai a lungo le tre fotografie che Turistano aveva accluso alla sua lettera di addio.
Mentre componevo il numero di Jennifer mi chiedevo in quale museo, sotto quale campana di cristallo protetta da sofisticati allarmi e uomini armati, avrebbe potuto essere custodito quel tesoro inestimabile.
Tre fotografie…
D’accordo con Jennifer ho deciso di raccontare questa storia.

Sirius
Avrei riconosciuto la sua voce anche se non avesse detto il suo nome. I ricordi della giovinezza mi piombarono sulle spalle. Lo sentivo lontano e la linea telefonica era disturbata.
-Zeit, ho bisogno di te. Non ho tempo per spiegarti, ma solo tu puoi aiutarmi.-
Debbo confessare che un brivido mi corse lungo la schiena. Udire la voce di un amico che non vedi da almeno dieci anni e chiede aiuto, non è cosa di tutti i giorni.
-Cosa posso fare, Sirius?.-
Il disturbo aumentava.
-Ho bisogno di te, tu sei archeologo... Non ho tempo per spiegarti…Devi venire subito. Sono in montagna, è poco più di un villaggio e si chiama Angeli della luce. Ricorda! Angeli della luce…-
La comunicazione s’interruppe.
Sperai che Sirius richiamasse nel giro di qualche minuto, ma il mio cellulare rimase muto.
Avevo conosciuto Sirius all’università, poi la vita ci aveva divisi, come di solito accade quando si vivono assai intensamente certi passaggi d’epoca, com’era capitato a noi. Seppi, e con sorpresa, che era entrato in polizia e per qualche tempo seguii a distanza la sua carriera che mi parve assai rapida e lo portò fuori d’Italia. Lessi sui giornali che Sirius aveva partecipato ad un’operazione assai importante contro i moderni trafficanti di schiavi. Per quel che mi riguarda, divenni archeologo. Studio lingue antiche, molto più antiche del greco e del latino e da qualcuno vengo descritto come un’autorità in questo campo.
Angeli della luce…Mi chiedevo fra quali montagne era  finito Sirius?
Il senso d’inquietudine che s’era insinuato in me per la brusca interruzione della telefonata, aumentò quando scoprii dov’era questo Angeli Della Luce. Sirius mi chiamava dal cuore delle Alpi. Perché era lassù? E aveva bisogno di un archeologo, specialista nell’alfabeto cuneiforme? Razionalmente mi diedi due risposte: la prima era che le inchieste di un poliziotto possono svolgersi ovunque, anzi, più al giorno d’oggi i luoghi sembrano sperduti più attirano misteri e gente che vuol occultare qualcosa. La seconda riguardava più da vicino i miei interessi, sapevo che nelle Alpi ormai stavano venendo alla luce i resti di insediamenti  risalenti al neolitico e che una scuola di pensiero collegava queste civiltà alpine all’espansione della lavorazione dei metalli. Forse, conclusi, Sirius era sulle tracce di un’importante traffico di oggetti antichi e voleva una mia consulenza sul posto.
Feci due conti, guardai la mia agenda e non attesi l’alba. Dopo circa sei ore di macchina ero in mezzo alle montagne.

U.S.A.
Jennifer era indecisa fra una grande colazione oppure tener fede ai buoni propositi.
-Ancora non c’è male, ma se non stai attenta metti su troppa ciccia.-
Volse le spalle allo specchio e iniziò a radunare  gli indumenti adatti per una buona corsa nel parco.
Il cellulare squillò mentre chiudeva la porta di casa.
-Sei sola?-disse il Capo.
-Sono in vacanza, sono affari miei, sto per andare a correre, sono lontana dal tuo ufficio puzzolente di fumo. Non rompere le palle.-
-Non riusciamo a trovare Sirius.-
-E io che c’entro?-
-Conto su di te Jennifer. E’ l’ultima volta. Te lo prometto.-
-Vaffanculo. Dove devo andare?-
-In Europa. Subito.-

Angeli
Nella valle laterale di un’altra valle laterale, dominata da grandi ghiacciai c’era qualcosa che aveva a che fare con gli angeli.
Il paesino che mi lasciavo alle spalle si chiamava Prato degli Angeli e gli stretti tornanti mi conducevamo verso Angeli della Luce. Era un giorno intero che guidavo e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Poggiato su un largo pianoro e al limite di un bosco di pini mi apparve Angeli della Luce: sperai in un comodo albergo e in una doccia. Mentre mi avvicinavo al paese notai un'alta parete di roccia scistosa, era tagliata al centro da una larga fenditura che formava una sorta di passaggio verso qualcosa che la strada, ora in discesa, e le ombre della sera m'impedivano di vedere. E provai la sensazione  che quel taglio, oscuro nel grande scenario naturale, rendesse più triste il paesaggio. A poca distanza dall’ingresso di Angeli della Luce mi venne incontro una chiesetta e  non riflettei abbastanza su un particolare che doveva rivelarsi di grande importanza. Qualcuno aveva dipinto sulla facciata i due santi più venerati in quella parte delle Alpi: San Nicola e San Maurizio. Erano attorniati dai valligiani e levavano le braccia al cielo, come per proteggerli da una minaccia celeste.
Angeli della Luce a quell’ora mi sembrò semideserto: due bar poco illuminati, un albergo che avrebbe avuto bisogno di un serio restauro e qualche negozietto che si apprestava a chiudere. Tutto qui. La chiesa era l’unico edificio notevole del paese: di architettura vagamente gotica, era dominata da un alto campanile in pietra assai più antico e dalla punta arrotondata.
L’albergo si chiamava Hotel Stella Alpina, la stanzetta era pulita e decorosa. C’era acqua calda e la doccia funzionava discretamente. Il ristorante, a un centinaio di metri dall’hotel,  era deserto. Ma attorno a un tavolo del bar quattro uomini che non si occuparono molto di me, giocavano a carte. La padrona venne a dirmi che quella sera c’era solo salsiccia con contorno di cavoli, mi rassegnai ad una probabile acidità di stomaco ed assaggiai il vino che mi parve buono. Non avevo detto chi ero e non avevo fatto nessun accenno a Sirius: mi aspettavo di vedere il mio amico entrare nella sala per spiegarmi i motivi della telefonata.
-Il prof. Zeit, suppongo.-
Il vestito grigio e consumato del signore comparso alle mie spalle, qualificava il personaggio come un prete.
Lo guardai con aria interrogativa.
-Il mio nome è Turistano.-disse, sedette davanti a me senza attendere un invito.
-Si chiederà come faccio a conoscerla, è semplice: ho visto una sua fotografia sull’ultimo numero di ArcheoVentuno. Attendevo il suo arrivo.-
-Perché?-
Al mio tono brusco, il prete, certamente il parroco del paese, sorrise e sollevò la mano destra quasi in segno di scusa.
-Conosco il suo amico.-
-Ho ricevuto una telefonata, dov’è?-
Turistano mi osservò un momento.
-Questa storia la riguarda da un punto di vista, diciamo, scientifico. Certamente la interesserà. Ma vorrei offrirle del vino migliore. Qui sono di casa.-
Mi lasciò nel ristorante deserto, non si udivano più nemmeno le voci dei giocatori di carte. Turistano, scomparso dietro una porticina, riapparve dopo qualche secondo con in mano una bottiglia scura.
Il vino era ottimo.
-Sirius è arrivato da noi tre giorni fa e sono io che gli ho consigliato di telefonare…-
Il mio sguardo doveva essere molto intenso e  Turistano attese qualche secondo.
-Comprendo la sua curiosità, ma forse è meglio cominciare dal principio. E’ la cosa migliore. Sei mesi fa mi raggiunse ad Angeli della Luce, un amico che voleva chiudere la sua vita nella pace dei monti. Si chiamava Bonnard…-
-Si chiamava?-
-Aspetti: andiamo con ordine.-
Notavo in lui una crescente agitazione che lentamente mi trasferiva. Accesi una sigaretta, ne offrii anche a lui, ma rifiutò.
-Bonnard faceva lunghe passeggiate, leggeva molto, discuteva con me di tante cose. Stavo bene insieme a Bonnard. I racconti dei luoghi che aveva visitato colmavano la povertà delle mie conoscenze del mondo…Io sono sempre vissuto qui…Tutto andò bene sino al giorno in cui Contini venne a trovare Bonnard.-
-Contini? Chi è?-
-Il proprietario della villa che si trova in riva al lago.-
Non avevo visto nessun lago e nessuna villa, nemmeno un’indicazione. Scossi la testa.
-Se lei prosegue oltre il bosco e s’inoltra nella gola, troverà un sentiero che conduce ad un piano più alto. C’è un lago lassù e… la Villa. Un giorno Contini venne a trovare Bonnard, si chiusero nella sua stanza e discussero a lungo. Il mio amico da allora non fu più lui: nervoso, agitato anche di notte... E Contini tornò a trovarlo. Ogni volta sempre peggio, il mio amico aveva perso la pace. Un giorno lo affrontai, gli chiesi il motivo di quel cambiamento e lui volle mostrarmi qualcosa. Estrasse da una vecchia valigia un pacchetto che conteneva una scatolina di metallo. Davanti ai miei occhi apparvero oggetti che non avevo mai visto, anche se ne avevo spesso letto sui libri. Si trattava di una decina di tavolette di terracotta. “Sono mesopotamiche.”disse Bonnard ”Vengono da Uruk, tra le prime città della storia e questi segni sono la prima scrittura dell’umanità. Qui è documentata la vita amministrativa del palazzo reale di Uruk. Tutte, meno queste. Questi segni raccontano un avvenimento che sembra una leggenda, ma che m’inquieta da più di quarant’anni. E questo mistero sta mettendo in pericolo, non tanto la mia vita, ma la mia pace.” In quel momento il mio amico mi sembrò affranto come un uomo in fuga da qualcosa di assolutamente potente. “Queste” e indicava le due tavolette “hanno destato l’interesse di Contini, è espertissimo in civiltà antiche e conosce perfettamente l’alfabeto cuneiforme…Io ho commesso l’errore di raccontargli delle tavolette e della storia narrata in queste due. Si è trasformato. Ha voluto vederle a tutti i costi. Lo hai visto anche tu venir qui: vuole acquistarle. Al mio rifiuto ha fatto oscure minacce. Sono vecchio e non m’importa di morire, ma a quell’uomo non voglio cedere. In lui c’è qualcosa che non capisco.” Cercai di tranquillizzare Bonnard, dissi che nel paese potevamo contare sui nostri parrocchiani e aggiunsi che avrei tenuto d’occhio Contini. Ma Bonnard non mi parve convinto. Del resto Contini non si vide più. E non era una cosa insolita, compariva e scompariva…Per anni restava lontano dalla Villa. Una mattina trovai Bonnard cadavere nel suo letto.-
Non ho la stoffa dell’eroe e i film sugli archeologi avventurieri mi hanno sempre infastidito.
-E le tavolette?-chiesi.
-Ne restano solo otto, quelle più importanti sono scomparse.-
-Bonnard, com’è morto?-
-Morte naturale, certamente. Un ictus dovuto alla vecchiaia. Anche se…Quando lo trovai, quel mattino, aveva sul volto una strana espressione. Ho visto altra gente morta per un ictus e Bonnard non era così. Era come se avesse visto…-
-Avesse visto?-
-Il demonio…-
Il silenzio in cui era immerso l’albergo accentuò il disagio che provavo. Ebbi nella schiena lo stesso brivido di paura avvertita in casa mia, subito dopo la telefonata di Sirius.
Turistano, al contrario, ora sembrava più tranquillo. Di colpo aveva assunto l’aria di chi s’è liberato da un grave fardello. Bevve un sorso di vino e continuò a parlare.
-Accaddero poi tre fatti: l’annuncio che Contini era morto, l’arrivo del suo amico e il ritrovamento, fra le carte di Bonnard, di alcuni negativi riproducenti le tavolette. Tutte le tavolette.-
-Ma Sirius perché è venuto qui?-
-Era stato Bonnard a chiamarlo. Il suo amico è di poche parole: ho l’impressione che abbia conosciuto Bonnard anni addietro, quando viveva in Medio Oriente.-
-I negativi, almeno, ci sono ancora?-
-Certo, li ho qui con me.-
Turistano estrasse dal taschino della giacca un pacchetto che svolse con cura. Presi quei negativi e li esaminai alla luce incerta del lampadario. In quelle condizioni non potevo leggere nulla.
-E la morte di Contini?-chiesi, continuavo ad osservare i cunei.
-Era partito prima della morte di Bonnard, come le ho detto spariva sovente. Poi, due giorni prima dell’arrivo di Sirius, il Sindaco fu avvisato che Contini era morto e che il suo ultimo desiderio era quello di esser sepolto nel cimitero del paese. Erede della villa è un giovanotto inglese, si chiama Mark Forrest. E’ qui, vive nella villa. Solo. Sirius ha fatto controllare e tutto sembra in regola.-
In quel momento sperai che Sirius comparisse nel salone del ristorante e ponesse fine all’incertezza che ormai s’era impadronita di me. Arrivi, partenze, morti, sparizioni, e queste tavolette che avevano interessato Contini. Chi e perché le aveva rubate?
-Contini.-chiesi-Era come lo descriveva Bonnard?-
Sul volto di Turistano si dipinse un’espressione di grande perplessità. La sigaretta che poc’anzi aveva rifiutato, la sfilò dal mio pacchetto e l’accese con il mio accendino.
-Nessuno ha mai saputo da dove venisse. Si presentò qui dopo la guerra con il testamento del vecchio proprietario e tutte le carte in regola per diventare il padrone della villa. Ma c’è vissuto per poco tempo, partiva e si assentava per lunghi periodi. Quando era qui si faceva vedere spesso in paese e tutti ne hanno un buon ricordo, ma non l’ho mai visto in compagnia di qualcuno in particolare, mai un parente, un amico…una donna. Niente. Un solitario che conosceva molte lingue e vestiva con grande eleganza.-
Turistano mi osservava con sguardo mite.
-Sono dolente per avervi coinvolto in questa storia. -aggiunse- Ma secondo Sirius le due tavolette sono la volta di tutto, e solo voi potete decifrarne il contenuto.-
-C’è la maniera di stampare questi negativi?-
-In parrocchia abbiamo un computer provvisto di scanner e stampante fotografica. Io mi diletto, insieme a qualche giovane del paese.-
-Allora fate degli ingrandimenti e domani mattina vedremo di capirci qualcosa. Ma Sirius dov’è, l’avete visto?-
-E’ da ieri che non si fa vedere, anche lui va e viene. Non parla molto. Mi ha detto che l’avrebbe cercata e infatti…Alloggia anche lui alla Stella Alpina. Forse vi sta aspettando. Andate, io intanto stamperò le fotografie e domani mattina tutti insieme capiremo cosa c’è scritto in quelle tavolette che interessavano tanto Contini.-
-Vi farei compagnia, la cosa m’interessa molto, ma sono stanco. Vorrei parlare con Sirius. Lui cosa dice del furto?-
-Ve l’ho detto, è un uomo di poche parole.-
Era vero. Sirius non era stato loquace nemmeno da giovane.
-E voi cosa ne pensate?-
Turistano si sollevò dalla sedia.
-Contini era già partito quando Bonnard morì. Chi può aver interesse a tavolette vecchie migliaia di anni  che solo pochi studiosi al mondo sanno leggere?-
-Ma Contini era  davvero partito, oppure...?-
-Uno stratagemma per impadronirsi delle tavolette? C’è in paese chi dice d’averlo visto partire. Una settimana prima della morte di Bonnard. Mi creda, professor Zeit, sono contento che lei sia qui e che questa notte io la debba passare davanti al nostro computer. Da quando è morto il mio amico non chiudo occhio e solo la preghiera mi da conforto.-

Fine della prima parte





Finis Terrae
seconda parte

La notte
Il silenzio della notte non mi ha mai fatto paura, ma confesso di aver provato una strana apprensione nei pochi metri che percorsi dal ristorante all’albergo Stella Alpina.
-Meno male.-disse la padrona-Ora posso andarmene a letto. Il signor Sirius ha lasciato questo per lei.-
Afferrai la busta sigillata e concitato lacerai la carta, conteneva un breve messaggio.
“Non posso spiegarti niente. Sarò io a cercarti.”
Borbottai qualcosa che doveva essere un buona notte alla padrona dell’albergo e raggiunsi la mia stanza. Presi sonno appena poggiata la testa sul cuscino, cosa rara di solito, ma ricordo di essermi svegliato di colpo con la sensazione di non essere solo nella stanza.
Nell’albergo regnava il più assoluto silenzio.
Dov’era Sirius e perché non si faceva vivo? Se Contini era veramente morto chi aveva in mano le due tavolette sumeriche a cui il proprietario della villa attribuiva così grande importanza? Quale segreto contenevano le due tavolette, e se un segreto c’era, allora apparteneva alla scienza e a tutta l’umanità. I valori etici della mia professione mi chiedevano di andare in fondo. Ma a cosa? Mentre si agitavano nella mia mente questi interrogativi, mi parve di udire un rumore nella stanza accanto.
Balzai fuori dalle coperte e mentre stavo per aprire la porta dubitati di ciò che avevo udito. C’era di nuovo attorno a me il più profondo silenzio. Ma tutto era meglio che restare ad attendere. Uscii nel corridoio e provai la maniglia della porta accanto alla mia, si aprì.
-Sirius.-chiamai con voce bassa. Mentre cercavo l’interruttore qualcuno mi afferrò e mi ritrovai immobile sul pavimento. Cercai di ribellarmi, ma il mio aggressore con uno strappo al braccio destro mi fece comprendere chi dettava legge.
-Dov’è Sirius?-
Era una donna che aveva mormorato al mio orecchio.
-Mi chiamo Zeit.-risposi.
-E io madame Pompadour.-disse colei che mi teneva immobile.-Dov’è?-
-Non lo so, e se lo sapessi non lo direi. Sono un archeologo, uno studioso, un amico di Sirius…mi ha telefonato ieri sera…Non parlerò!-
Avevo urlato con voce da isterico. Una minuscola torcia elettrica illuminò il mio viso, ora la donna ridacchiava di me. Fui liberato dalla morsa e lentamente mi sollevai, sempre sotto il tiro di quella luce.
-Il professor Zeit! L’illustre archeologo.-
Nel dire queste parole la donna schiacciò il pulsante e nella stanza illuminata ci trovammo uno davanti all’altra.
Era una bella donna nera sui trent’anni colei che mi stava davanti, indossava un completo sportivo viola assai aderente.
-Scusami.- disse.
Non avevo alcuna intenzione di darla vinta alla sconosciuta che si permetteva, dopo avermi atterrato con chissà quale mossa di arte marziale, di rivolgersi con il tu alla mia persona.
-Chi è lei, e cosa fa nella stanza del mio amico?-le chiesi cercando di assumere un tono da vecchio insegnante, cosa che per altro non ero.
-Dov’è Sirius?-
Ancora una volta la stessa domanda, il sangue cominciava a montarmi al capo.
-Se fai tu le domande allora le faccio anch’io! E se non ti garba vai pure a farti fottere.-
Avevo urlato.
La donna mi guardò senza scomporsi, abbozzò un sorriso.
-Sono un’amica di Sirius.-
-Come fai a sapere il mio nome?-
-Lei è una persona molto nota. E Sirius non chiama gli amici senza avvisare gli amici.-
La guardai con un misto di curiosità e timore.
-Dov’è Sirius?-chiesi. Ciò che intuivo mi autorizzava a provocare.
-Sono un’amica di Sirius.-
-Questo l’hai già detto. Perché sei qui?-
-Se vuoi capire capisci, Zeit. Devi fidarti.-
Ci guardammo per un momento. Jennifer era molto bella. Accennai  un moto affermativo.
Fu allora che nuovamente si affacciò la strana sensazione di un’altra presenza accanto a me. Cercai di dominarmi.
-Il suo nome?-chiesi.
-Jennifer, per gli amici.-
-Toccato. Va bene, Jennifer.-
Ci stringemmo la mano, ma la sensazione di qualcuno che spiasse dall’ultimo angolo oscuro aumentava.
-Mi ha chiamato qui.-
-Sapevo di te. Ha lasciato un messaggio…-
-Ha fatto nomi?-chiesi.
-No.-
In quel momento prevalse in me la dimensione del gioco, non con la persona che avevo davanti, ma con quell’occhio segreto che mi spiava.
-Bonnard? Contini? Turistano?-
-Chi sono?-
Notai nella donna la sensazione di un brivido. Era come se la presenza stesse accentuando la sua attenzione non solo su di me, ma anche su Jennifer.
Le dissi ciò che conoscevo di quella strana storia.
Quando terminai il mio racconto Jennifer cominciò a muoversi nella stanza. Perquisiva con professionalità. In una giacca a vento nuova di zecca c’era una piccola tasca mimetizzata da una cucitura interna, Jennifer ne estrasse un minuscolo blocchetto per appunti.
-Che roba è?-mi disse.
Sulla prima paginetta c’era ricopiato in alfabeto cuneiforme un canto che suonava più o meno così:
“Sento che la forza dell’uomo della terra del mare è grande.
Non riesco a resistere al suo potere.
La mia pochezza è grande dinanzi a lui
E agli Dei alati che lo proteggono.
Nessun figlio della Terra
Può niente contro la sua potenza.”
Tradussi a Jennifer l’antico testo, lei scosse il capo.
-Da quando lo conosco non mi ha mai parlato di lingue antiche.-
Guardai nuovamente i cunei, era un testo sorprendente, forse unico nel suo genere e se proveniva dalle due tavolette avrebbe consentito un passo in avanti nello studio dell’antica Mesopotamia.
-Sirius ti ha mai parlato di esportazione di opere d’arte, reperti archeologici di grande valore scomparsi dopo la guerra in Irak?-
Jennifer scosse il capo.
-Ma di cosa si occupa Sirius?-
Jennifer non rispose. Mi chiesi se dovevo avvertirla della sensazione che provavo in quella stanza.
-Cosa significa la storia che mi hai decifrato?-disse Jennifer-E perché c’è qualcuno disposto a pagare qualunque prezzo per le due tavolette di terracotta?-
-Non lo so.-risposi-Il testo fa parte di un’iscrizione molto antica…E qualcosa mi dice che Sirius corre un grave pericolo, e anche noi…-
-Che vuoi dire?-
-Non senti niente di strano, qui, vicino, accanto a noi?-
Jennifer s’era immobilizzata di colpo, vedevo che tutti i suoi sensi erano all’erta.
-Qualcuno ci sta spiando, Jennifer.-dissi ancora.
Lei mi guardò con un misto di stupore e paura. Sentivo che quella cosa aumentava di spessore, premeva su mio corpo, troppo forte per resistere a una simile potenza.
“Come in quell’antico testo.”
Udii Jennifer che mormorava qualcosa, forse diceva che era solo stanchezza.
Non vidi più nulla e caddi in un immenso imbuto nero.

3.500 A. C.
La luce del giorno mi trovò nel mio letto, sul cuscino, accanto a me, c'era un biglietto di Jennifer.
“Tutto O.K. E’ meglio far credere in paese che sono arrivata questa mattina. Ti aspetto alla reception.”
Stavo bene e attribuii lo svenimento e le strane sensazioni provate nella notte, alla stanchezza e alla tensione. Tutto mi sembrava normale e fuori c’era il sole.
La padrona dell’albergo non mi lasciò nemmeno parlare.
-C’è un’amica che lo attende nella saletta delle colazioni.-
Con gli occhi la donna indicò Jennifer, la curiosità sprizzava da tutti i pori.
Jennifer mi salutò in inglese, ci scambiammo baci da vecchi amici e qualche secondo più tardi l’albergatrice giunse con biscotti e caffè bollente.
-Cosa è successo dopo?-
-Niente.-disse Jennifer-Ti ho messo semplicemente a letto. Hai fatto prendere uno spavento anche a me, ma era solo stanchezza.-
Mi augurai che avesse ragione, ma non volli insistere.
-Credi sul serio che tutto giri attorno alle due tavolette?-
-Quello che ho letto era scritto in sumerico. L’archeologia spesso ha fatto passi da gigante per puro caso, potremmo star seduti su tesori inestimabili e non venir mai a sapere che esistono…-
-Contini…Mark Forrest…questi nomi non mi dicono niente. E Sirius, che fine ha fatto?-
Il nome di Sirius mi ricondusse alla realtà. Per un momento avevo creduto di essere in vacanza con una donna bellissima dagli occhi pieni di mistero che ora fissavano qualcuno alle mie spalle.
Mi volsi sperando di vedere Sirius, ma era Turistano che ci osservava immobile sulla soglia della sala.
Il prete mostrava sul viso tutti i segni di una notte insonne.
Sedette al nostro tavolo e a Jennfier disse semplicemente “buongiorno”.
Era come se l’avesse conosciuta sin da bambina.
Posò sul tavolo una vecchia borsa da cui estrasse una busta e un vecchio libro parrocchiale con sulla copertina un'etichetta ingiallita su cui c'era scritto 1857.
Indicai il registro.
-Cos’è?-
-Questo viene dopo. Ora pensiamo alle fotografie.-
Con Jennifer ci scambiammo uno sguardo, il prete aveva usato un tono che non ammetteva repliche.
-Venite con me.-disse-In cucina potremo lavorare più tranquilli, e non vi preoccupate per la signora, io qui conosco tutti e voi siete sotto la mia protezione.-
Ci alzammo dalla tavola come due soldatini messi sull’attenti, Turistano improvvisamente si ricordò di qualcosa e rivolgendosi a Jennifer si presentò.
-Tauristano, don Turistano.-
Anche Jennifer si presentò e strinse la mano al prete che ci condusse in una piccola stanzetta. Per fortuna Turistano aveva con se una lente di ottima qualità: le copie che aveva stampato non erano un capolavoro. Iniziai a lavorare esaminando tutti i testi, immergendomi totalmente nell’alba della storia umana. Si trattava più che altro di resoconti commerciali e amministrativi, ma all’improvviso mi imbattei in un testo più antico che iniziai a trascrivere. Quando terminai sollevai gli occhi verso Jennifer e Turistano, l’aria nella stanza sembrava solida.
Lessi il testo.
“Io, scriba del tempio, figlio delle streghe del deserto, colui che ha conosciuto popoli e re, so per certo che l’uomo delle terre del mare possiede doni che nessun figlio di Uruk conosce. E’ un uomo che non è un uomo. Egli è come Dio. Affermo tutto ciò perché provengo da una tribù che possedeva il dono di leggere nel pensiero degli uomini. Fui allievo di mia madre che era una grande strega. Ma la forza che ho ereditato da mia madre è poca cosa in confronto a quella che possiede l'uomo delle terre del mare. Ho provato a lottare con lui, ma egli è il più forte. Fra tutti gli uomini di Uruk, solo io conosco il suo segreto. Ci spia, è capace di volare sopra la testa degli uomini e andare lontano, sul carro di luce che appare ad occidente. E' lui che ha chiamato il carro, è salito in cielo e quando è sceso era giovane e forte come un Re. Sono i suoi Dei che gli danno questo potere, egli è figlio degli Dei e io non posso che inchinarmi dinnanzi a lui. Se gli Dei hanno deciso che uno di loro debba mischiarsi insieme a noi uomini, così sia. E io, che ho commesso un grande peccato di superbia, sono destinato a perire. La forza del Dio-uomo che viene dalle terre del mare è troppo grande, non credo di poter resistere molti giorni ancora. Sono troppo debole contro di lui e gli dei alati che lo proteggono. Nessun figlio della terra può niente contro una simile potenza."

Diciannovesimo secolo D.C.
Il testo mi sembrò autentico e per il solo fatto di contenere un riferimento ad una pratica telepatica persa nella notte dei tempi, rappresentava una novità assoluta per la conoscenza delle origini dell'umanità.
-Le ultime parole.-disse Jennifer-Non sono le stesse che Sirius ha ricopiato sull'agendina?-
Turistano ci guardò con sorpresa. Raccontai allora gli avvenimenti della notte tacendo su lavoro di Jennifer, o almeno sull'idea che mi ero fatto di lei. Turistano non disse niente quando lo misi al corrente dello strano fenomeno che mi aveva fatto perdere i sensi. Ma sul suo viso si dipinse un'aria grave che mi suggerì un pensiero. Sirius era in pericolo. E noi, correvamo gli stessi rischi? Qualcuno voleva mantenere il segreto sulle tavolette di Uruk ed era disposto a farlo a qualunque costo?
Turistano spinse verso di me il vecchio registro parrocchiale.
-Date un'occhiata a questo.-
Lo aprì ad una certa pagina, si trattava di una cronaca scritta in francese e datata 3 settembre 1857.
Lessi rivolgendomi a Jennifer.
"Ancora una volta debbo registrare l'accadere di avvenimenti che oso definire soprannaturali e ispirati dal maligno. Le luci sono tornate nel cielo in direzione del lago. Le ho viste con i miei occhi insieme ai parrocchiani di questo misero villaggio. I rumori dal cielo e il frastuono sono durati sino all'alba e spero di non dover mai più assistere nella mia vita a spettacoli di tal sorta. Tutti si rivolgevano a me, mille domande e sguardi invocavano consiglio e aiuto. Ho ordinato ai miei parrocchiani di non raccontare a nessuno ciò che hanno visto e udito, pena rendersi colpevoli di peccato mortale. Cosa dovevo fare? C'è un vecchio che dice di ricordare le stesse luci e i rumori dal cielo, era bambino a quel tempo. Chissà? Forse tutto è cominciato quando gli Angeli della Luce Divina vennero a rifugiarsi tra le nostre montagne all'epoca delle grandi pestilenze e costruirono il castello sul lago. Per nostra fortuna vennero sterminati a fil di spada, tutti, meno il loro capo: Gorman. Le antiche leggende raccontano che il suo corpo non venne mai trovato. Altre leggende affermano  che sul lago sorgesse, nella notte dei tempi, un villaggio poi sommerso dalle acque, un villaggio in cui i pagani celebravano sacrifici su un altare di pietra a forma di triangolo."
-Chi sono gli Angeli della Luce Divina?-chiese Jennifer.
Nella piccola stanza stagnava il fumo delle nostre sigarette.
-Sul loro conto c'è una pergamena conservata negli archivi vescovili. Si tratta di una setta ereticale che alla fine del Medio Evo cercava il Paradiso sulla Terra. Vennero a rifugiarsi fra queste montagne spinti dalla pestilenza che infuriava oltre le Alpi. Si dice che fortificassero il loro rifugio, li guidava un certo Gorman, una sorta di santone di cui non si conosce nulla. I cavalieri della Valle organizzarono una crociata e li sterminarono, si dice che nel loro villaggio nascondessero forzieri pieni d'oro.-
-Del castello, di questo villaggio, è rimasto qualcosa?-chiesi.
-Proprio sul luogo in cui si crede sorgesse il villaggio venne costruita la Villa, all'inzio dell'Ottocento, quando venne qui un barone polacco, Konsalisky. Era rimasto ferito durante le guerre napoleoniche. Fece edificare la villa e visse da solitario sino alla morte.-
-E dopo, chi abitò la villa?-disse Jennifer. Avevo una gran voglia di abbandonare la stanzetta e salire sino al lago e vederla questa villa.
Turistano fece un gesto vago.
-E' difficile raccontare quello che è accaduto dopo la morte del polacco. La villa è stata a lungo disabitata, poi sono venuti nuovi proprietari. Soggiorni di breve periodo e sempre gente forestiera, arrivavano e scomparivano…Forse è anche per questo che attorno alla villa sono sorte dicerie strane…-
-Quali dicerie?-chiese Jennifer.
Nello sguardo di Turistano traspariva imbarazzo, pensai che fosse lui il primo a crederci.
-E' un luogo estraneo alla nostra gente. C'è chi dice di aver udito attorno alla villa rumori seguiti da improvvisi silenzi. La villa è rimasta disabitata sino all'arrivo di Contini. La gente di qui non  va volentieri su quel lago…-
Lo interruppi.
-Che età poteva avere Contini quando giunse qui?-
-Io non c'ero, uscivo appena dal seminario.-
-Ma quando l'avete visto per la prima volta che età poteva avere?-
Turistano scosse la testa.
-Non potrei dirlo.-
Restammo in silenzio, con quelle fotografie e il vecchio registro davanti agli occhi. Sollevai il capo e guardai fuori dalla finestra, c'era il sole.
-Vieni Jennifer.-dissi-Andiamo a vedere com'è la montagna d'autunno. Turistano, volete farci da guida?-
Tutti avevamo voglia di uscire da quella stanza piena di fumo e di misteri.
Fine della seconda parte







Finis Terrae
Terza parte
finis terrae
Turistano indicava le montagne e dava un nome alle alte cime, io e Jennifer in quella bella giornata di inizio inverno eravamo come due turisti che hanno fatto amicizia con il prete del villaggio e si lasciano accompagnare da un personaggio un po’ ciarliero alla scoperta di un mondo che non conoscono.
Tutto questo era assurdo.
-Andiamo.-dissi.
Turistano e Jennifer mi guardarono, negli occhi del prete lessi un lampo di paura.
-Andiamo alla villa. Voglio vederla.-
-Prof. Zeit occorre prudenza…quel posto.-mormorò Turistano.
Non mi ero sbagliato.
-Voglio vedere la villa.-insistetti-In questa storia ci sono troppi misteri e un morto…E Sirius non si fa vedere.-
Jennifer mi guardava con l’aria di chi scopre in qualcuno un comportamento inatteso. Ma io, lo confesso, avevo paura. Nella mia mente si confondevano due storie: il mistero contenuto in quel testo che risaliva ad un'epoca antichissima e quello di una casa sperduta fra le montagne in cui c’era un via vai di persone di cui non si sapeva nulla.
Con la macchina di Jennifer  imboccammo una strada sterrata che s’incuneava nella stretta gola dalle alte pareti di roccia.
A un tratto Jennifer mi chiese:
-Credi che riusciremo a trovare Sirius?-
La guardai, la sua paura era anche la mia.
-Non lo so.-risposi-Lo spero.-
Turistano si allarmò.
-Dubitate che Sirius sia ancora vivo? E perché mai?-
Fu in quel momento che scorgemmo la villa, il paesaggio del pianoro e del lago si apriva improvvisamente davanti ai nostri occhi. Contrariamente a quanto mi aspettavo, la villa non si presentava come un edificio maestoso e in qualche modo terribile. Era una costruzione molto simile ad una vecchia casa signorile del sud americano e stranamente contrastava in quell’ambiente, con il laghetto un po’ tetro, i pini e le aguzze punte delle montagne sullo sfondo. Sembrava come posata in quel luogo. Posata, questo era il termine esatto per descrivere l’impressione che provai  osservando l’edificio. E improvvisamente tutto mi parve lontano, infinitamente lontano da ciò che conoscevo. Scesi dalla macchina insieme agli altri e, ricordo bene, pronunciai queste parole:
-Finis Terrae.-
L’aria era fredda e un vento gelido increspava le onde del laghetto alpino.
-C’è qualcuno sul lago.-disse Jennifer. In piedi su una piccola barca a remi c’era un uomo con una tuta da subacqueo, mi chiesi cosa mai cercasse in fondo al piccolo specchio d’acqua. Lui ci guardava immobile mentre ci avvicinavamo alla riva.
-E’ il giovanotto che ha preso il posto di Contini.-disse Turistano.
-L’erede.-commentò Jennifer.
-Che io sappia nessuno ha mai pescato in queste acque.-aggiunse Turistano.
E fu in quel momento che avvertii qualcosa, era la stessa sensazione che avevo provato nella stanza di Sirius. Era un occhio non amico che mi guardava; esercitava su di me una forza sconosciuta che mi provocava angoscia e lentamente invadeva il cervello. La mia testa era stretta in una morsa, una grande tenaglia che stringeva, stringeva, sino a spaccarla come una zucca.
Udii la voce di Jennifer mentre il vento gelido diventava violento e mi investiva, poi solo buio e grande caldo attorno a me. 

La paura
Era un grande idolo quell'oggetto sconosciuto che mi sovrastava.
“Nessun uomo della Terra può niente contro una simile potenza.”
Mille e mille anni fa uno scriba aveva inciso su una tavoletta di terracotta quelle parole che mi rimbombavano nelle orecchie.
Vidi una forma che mi parve umana, mi parve di riconoscere Sirius, ma la forma umana si mutò in una donna di pietra e poi di ghiaccio e ancora pietra nera. Donna, femmina, madre dell’umanità. Una statua nera mi sovrastava. Voleva schiacciarmi con i suoi mille seni, il grande ventre, le natiche enormi.
Urlai.
Qualcuno mi afferrò per i polsi e mi tenne fermo sul letto in cui ero disteso. Forse l’incubo della statua era l’ultimo di una serie, perché solo allora cominciai lentamente a mettere a fuoco i volti che mi osservavano, quello di Jennifer e di Turistano che sorrideva dietro le spalle della ragazza nera. La forte stretta di Jennifer sui miei polsi si allentò, prese le mie mani fra le sue. Mi resi conto di trovarmi nel letto della mia stanza d’albergo.
-Cosa è accaduto?- le chiesi con una voce che, ricordo, mi uscì a fatica dalla gola.
-Sei svenuto.- rispose Jennifer-In mezzo a quel vento sei caduto giù come una pera dall’albero.-
Tutto improvvisamente mi fu nitido davanti agli occhi.
-L’erede, che fine ha fatto?- chiesi.
-Non si è curato di noi, mentre ti portavamo via ho visto che si tuffava nel lago.-
Cercai di muovermi, ma un forte dolore alla nuca e alla schiena mi costrinse a rimanere disteso.
-E’ inutile, aspetta, e le forze ritorneranno.-
La voce di Jennifer era dolce come quella di mia madre. Rividi per un momento mia madre china su di me, bambino, nei giorni dell’infanzia, mille anni prima.
-Contini, dov’è sepolto?-chiesi dopo un lungo silenzio.
Negli interminabili secondi trascorsi dall’esortazione di Jennifer, tutta quella storia assurda era passata nella mia mente.
Turistano rispose con la voce velata dalla paura.
-Nel cimitero del paese, Forrest ha consegnato al sindaco una lettera in cui  Contini chiedeva di essere sepolto qui. Lo ha portato Forrest.-
-Quando sarò in grado di camminare andremo a vedere cosa c’è in quella tomba.-dissi.
Con Jennifer ci guardammo negli occhi, lei era d’accordo con me. Tauristano invece si allarmò.
-Non possiamo.-disse-E’ contro la legge profanare una tomba…Perché volete disturbare il sonno dei morti?-
La sua paura non fece altro che aumentare la mia determinazione.
-Io non voglio disturbare nessuno, voglio sapere cosa c’è al fondo di questa storia. Oggi qualcuno, e non so come, ha tentato di uccidermi. A voi non interessa sapere com’è morto Bonnard?-
-C’è il demonio attorno a noi. E’ il maligno…Perché volete scoperchiare una pentola maledetta?-
Le parole di Turistano mi procurarono un brivido nella schiena, anch’io avevo paura. Ero folle di paura anzi, ma udivo nelle orecchie la voce di Sirius e la sua richiesta di aiuto.
Vincendo il dolore alla nuca e alla schiena cercai di parlare.
-Ho deciso di andare sino in fondo a questa storia, voglio ritrovare Sirius, voglio sapere cosa accade in questo buco, voglio quelle due tavolette. Appartengono all’archeologia e all’umanità.-
-Cos’hai provato sul lago?-chiese Jennifer.
-Come la scorsa notte, ma di una potenza infinitamente più grande. Non ho mai sentito niente di simile, era come se un’enorme mano mi sbriciolasse il cervello.-
-Fenomeni del genere, esistono?-
Il volto di Jennifer esprimeva una tensione e, forse, paura che non le avevo mai letto in viso. Ricordai la strana figura in mezzo al laghetto, e poi il vento impetuoso e la grande mano posata sulla mia testa.
-L’uomo delle terre del mare…-mormorai-Anche lo scriba di Uruk diceva di essere in pericolo…Può uccidere…-
-Bonnard!-esclamò Turistano.
Jennifer si volse a guardarlo.
-E’ morto per un ictus.-mormorò Turistano.
-E le due tavolette sono sparite. Dovevano far molta paura a Contini. Bonnard è morto perché conosceva il loro segreto, oppure lo aveva intuito. E anche Sirius…-
Fui folgorato da un presentimento.
-Dove sono le fotografie?-chiesi.
-In macchina.-rispose Jennifer-Nella borsa…-
Turistano si stava precipitando verso la porta. Jennifer chinò il capo. Presi fra le mie la sua mano destra e portai le dita alle labbra. Un bacio.
-Ho paura. Questa cosa è diversa...-disse Jennifer.
-Anch’io.-mormorai.
Dopo qualche secondo la porta si aprì, dall’espressione dipinta sul volto di Turistano capimmo che le fotografie erano scomparse.
Fine della terza parte




Finis Terrae
Quarta parte

Notte al chiaro di luna
Tauristano chinò il capo. 
Jennifer illuminava con la torcia elettrica un cumulo di terra e una lapide con inciso soltanto “Contini”, niente date o nomi, un epitaffio. Niente. Contini giungeva dal passato e spariva nel futuro. Mi passò quest’idea nella mente mentre mi avvicinavo alla tomba, eravamo in pericolo e sapevo che Jennifer aveva con se una pistola. Lo consideravo quasi giocattolo, visto il nemico che ci apprestavamo ad affrontare. Dopo un lungo sonno mi ero svegliato completamente padrone delle mie forze e mentre trascorrevano i minuti, l’idea della lotta all’ultimo sangue lentamente prevalse in me. E volevo vincerla.
Iniziai io lo scavo, poi Turistano mi diede il cambio, quando il prete diede segni di stanchezza fui di nuovo io a prendere in mano il badile, poi fu la volta di Jennifer. Il vento leggero che ci aveva accompagnato sino al cimitero e poi durante lo scavo era caduto. Ora il chiarore della Luna ci mostrava la bara allo scoperto. Colsi negli occhi di Jennifer la paura di chi vorrebbe fuggire, ma non può farlo. Con un pesante grimaldello forzai il coperchio e dopo parecchio sforzo riuscii ad aprirlo. Dovetti comprimermi il naso con un fazzoletto perché il processo di decomposizione era già in stato avanzato, Jennifer e Turistano s’erano allontanati di colpo. Illuminai il cadavere e osservai il profilo vagamente arabo di Sirius. Nessuno gli aveva chiuso gli occhi.
Ricoprimmo tutto, era l’alba quando uscimmo dal cimitero. Jennifer teneva la sua mano nella mia, sarebbe stato bello darle un bacio, ma dovevamo decidere subito se andare o non andare alla villa. Lo dissi e gli altri due approvarono.
Mi rivolsi a Turistano:
 -Se non ve la sentite potete attenderci in canonica.-
-Come farei a star solo, mentre voi due andate incontro a chissà quale rischio? Andiamo.-
Prima di accendere il motore Jennifer mise nelle mie mani un’altra pistola, era un oggetto minuscolo.
Non dovemmo affrontare alcun muro o cani inferociti, evitare allarmi. Il pesante cancello della villa era semplicemente aperto, come se qualcuno conoscesse in anticipo le nostre intenzioni. Percorremmo un vialetto che terminava davanti ad una gradinata di pietra molto simile ad altre che avevo salito in quella parte delle Alpi. Il portone era di legno antico, senza fregi, ornamenti o batacchi. Perfettamente liscio, sembrava fabbricato e montato il giorno prima: nemmeno un segno, una scalfitura, una traccia di polvere. Era socchiuso. Fu Jennifer che spinse l’anta ed entrò per prima, nella mano destra teneva la sua pistola minuscola che, lo scoprii in quel momento, aveva anche la funzione di illuminare l’ambiente con un getto di luce molto intenso. Ci trovavamo in uno spazio circolare con al fondo una scala che mi sembrò di marmo, non c’erano odori. Jennifer orientò il raggio della torcia verso destra, una porta spalancata introduceva ad un altro locale di forma molto simile a quello in cui ci trovavamo. C’erano mobili ed erano di stile settecentesco, sembravano appena usciti dalla bottega di un ebanista, sulle superfici non c’era un graffio, un filo di polvere. Niente. Entrammo nella seconda sala e in fondo scorgemmo un grande camino, avremmo potuto starci in tre comodamente in piedi. Poi notai qualcosa che mi lasciò a bocca aperta: sulla mensola di pietra del camino c’era un quadro che mi era familiare.
La Gioconda di Leonardo da Vinci ci sorrideva ed era come se ci invitasse a proseguire nella nostra esplorazione.
Come attratto dal quel sorriso, camminai verso il camino e vi entrai, feci un cenno agli altri che mi raggiunsero. Anche all’interno del camino tutto era perfettamente pulito, mai una fiamma aveva scaldato quella stanza, la pietra era liscia. Jennifer e Turistano s’erano fermati ad osservare il volto di donna dipinto da Leonardo, fiumi d’inchiostro erano stati sparsi su quel quadro.
-Venite.-dissi-Ci stanno aspettando.-
Eravamo tutti e tre all’interno del camino e attendevamo qualcosa che non tardò a venire: improvvisamente la parete alle nostre spalle parve come dissolversi. Un altro vano debolmente illuminato da una luce che non proveniva da alcuna fonte ci attendeva, vi entrai e mi accorsi che introduceva ad una lunga fila di scalini che scendevano verso il basso. Udimmo qualcosa alle nostra spalle, ci voltammo e vedemmo la parete di pietra di nuovo ricomposta.
Temetti che Jennifer urlasse, il volto di Turistano invece era stranamente tranquillo, pensai che fosse soltanto rassegnazione.
-Dobbiamo proseguire. Venite.-dissi e mi apprestai a scendere.
-Cosa voleva dire quel quadro?-chiese Jennifer.
-Non lo so.-le risposi iniziando la discesa-Andiamo avanti.-
Scendemmo, tutto sommato pochi scalini, e ci trovammo davanti a un corridoio dalle pareti perfettamente lisce, la luce s’era trasformata: dal verde leggero delle scale aveva assunto una tonalità più azzurra. Camminavamo tutti e tre affiancati, ma a un tratto dovemmo fermarci perché il corridoio terminava con un parete chiara e assolutamente nuda. Restammo in attesa, sapevamo che l’altra parete di pietra s’era chiusa alle nostra spalle, forse per sempre. Se eravamo in trappola, era una strana trappola.

La grande sfera
Non so ancora bene cosa accadde. D’un colpo scomparvero corridoio, luce, parete e forse le scale alle nostre spalle; ci ritrovammo immersi in un altro ambiente, una grande sala tappezzata di scaffali, come se fosse una biblioteca, ma non c’erano libri, al loro posto solo sfere, una quantità enorme di piccole sfere grandi quanto un’arancia e trasparenti. Ma fu un’illusione ottica: sulle sfere ruotavano, o per meglio dire, navigavano segni assolutamente sconosciuti.
Udii la voce di Tauristano.
-Dove siamo? Che luogo è mai questo?-
Osservai Jennifer: era come affascinata dalle sfere. Le toccai un braccio, si volse e mi sorrise. E fu l’unica cosa vera in quel mondo di cui non capivo la natura, le dimensioni, lo scopo.
Ma qualcosa accadeva sulla nostra testa, sollevammo il capo e vedemmo una grande sfera del tutto simile alle piccole, che scendeva su di noi. D’istinto provai a muovermi, ma non potei fare un passo, ero bloccato, assolutamente bloccato sul mio metro quadrato di pavimento. La sfera calò su di noi, ci avvolse e ci accolse al suo interno: ricordo di aver provato la piacevole sensazione di essere immerso in una vasca di acqua tiepida dopo una grande fatica. E qualcosa era cambiato, in una dimensione onirica stavo, e con me i miei amici, comodamente seduto su quella che sembrava una poltrona e davanti ai miei occhi si apriva un grande schermo.
L’uomo parlava, si rivolgeva a qualcuno, era vestito in modo che mi parve appartenere al passato, e mi accorsi che in quella figura c’era qualcosa di vagamente familiare. L’uomo si mosse, continuò a parlare con il suo interlocutore e si avvicinò a un quadro che conoscevo molto bene, accanto al quadro c’era una donna. Leonardo stava dipingendo la Gioconda. Avvertii la mano di Jennifer posarsi sulla mia, le sue unghie si conficcarono nella mia carne: assistevamo alla nascita di un capolavoro nella storia dell’umanità. Tutto all’improvviso cambiò, eravamo catapultati indietro nel tempo perché non tardai a riconoscere nel tempio la forma di ziggurat. La ziggurat era attorniata da uomini seduti in terra e seminudi, il sacerdote saliva verso la sommità dell’edificio e fra le mani reggeva un cesto colmo di offerte per gli dei, lo seguivano suonatori di antichi strumenti musicali. Ma tutto si svolgeva nel perfetto silenzio. Il sacerdote, giunto alla sommità della ziggurat si rivolgeva al Sole e pronunciava una preghiera. Udivo ben chiare le parole di una lingua sulla quale avevo speso i migliori anni della mia vita. E fu allora che credetti di impazzire…per la gioia. A me, solo a me, toccava di assistere all’evento. Mai nessun archeologo avrebbe provato un simile piacere. Flauti e  cembali ora suonavano la musica del paese di Sumer…E poi carri…carri di guerra. Ci ritrovammo dentro una violenta battaglia combattuta almeno duemila anni prima di Cristo, le teste volavano, il sangue ci schizzava contro, e le urla e i corpi dei guerrieri uccisi…E ancora immagini di morte. Una lunga fila di croci da cui pendevano miseri corpi di uomini e donne; i corvi beccavano gli occhi dei disgraziati oscenamente esposti mentre un tramonto rosso fuoco illuminava i colli di Roma. Eravamo in mezzo al mare, su un veliero come quello in cui avevo sognato di navigare quando ero bambino. All’orizzonte c’era una terra sconosciuta. E ancora guerra: in mezzo a una città che bruciava mi sembrò di venir travolto da una folla di uomini e donne che fuggivano la furia di soldati dipinti dai pittori fiamminghi. Vidi una donna afferrata e gettata in terra, pronta a subire violenza. Un salto indietro nel tempo. Uomini seminudi armati di rozze lance circondavano un grosso bufalo appena ucciso e gli danzavano intorno. E di nuovo Leonardo che invitava lei, la Gioconda, a giudicare il ritratto appena ultimato.
Improvvisamente il caleidoscopio d’immagini e suoni in cui eravamo immersi cessò di colpo e venne il buio più totale che io potessi immaginare. Ma sentivo la presenza di Jennifer e Turistano accanto a me, ne udivo il respiro e loro il mio. Poi una luce verdina tornò ad illuminare la sala delle sfere misteriose che ci aveva introdotto in quel viaggio dentro il tempo, e fremevo di conoscere quale sarebbe stato il prossimo passaggio dell’avventura. Potevo muovermi, mi volsi  e fu in quel momento che compresi cosa fossero le sfere. Noi ci trovavamo all’interno di un immenso archivio. Questa fu l’ipotesi che formulai nella mia mente, e non mi sbagliavo. Racchiusa nelle sfere c’era la storia del nostro mondo e qualcuno aveva registrato tutto questo prima che fossero stati inventati la fotografia, il cinema, la televisione, il computer.
-Dio! Cos’è tutto questo?!-
L’urlo di Jennifer mi lasciò indifferente. Non seppi cosa rispondere e confesso francamente che ero affascinato da ciò che vedevo e scoprivo. E fu come se un altro immenso sipario si sollevasse di colpo, ci apparve davanti agli occhi uno spazio difficile da descrivere, assomigliava all’interno di una pomposa chiesa barocca. Ma al posto degli altari e dei santi c’erano pannelli e punti luminosi e strani organi trasparenti, pronti ad emettere suoni sconosciuti di sinfonie cosmiche. E più lontano, sulla volta di un abside, mi parve di scorgere la mappa di un universo a me assolutamente sconosciuto. Mi sollevai dalla poltrona, ero assolutamente libero nei movimenti, Jennifer e Turistano mi seguivano all’interno della cattedrale che ora consideravo come una grande macchina aliena. Jennifer mi raggiunse, camminavamo l’uno accanto all’altra, e i nostri passi non emettevano alcun suono. Udivo il respiro affannoso di Turistano. Una luce azzurra, più intensa, molto  più forte di quella che aveva illuminato il corridoio piovve dall’alto e per un momento ci abbagliò, tanto che fummo costretti ad arretrare di qualche passo. Distinguemmo qualcosa che pian piano veniva giù all’interno della luce, era una figura umana che scendeva verso il suolo e la luce si mutava in chiarore tenue  che non offendeva gli occhi. All’inizio non distinsi la figura, ma nello svanire della nuova luce la riconobbi: era lei, la Gioconda di Leonardo da Vinci, Monna Lisa.
-Dio…Dio…Aiutaci.-
Le parole di Turistano, così com’era stato per l’urlo di Jennifer, non mi turbarono affatto. Sentivo tutto me stesso proteso verso la figura femminile che ci sorrideva, così come aveva sorriso al genio del Rinascimento.
Monna Lisa parlò. Udimmo una voce non di donna adulta, ma quasi di fanciulla…
-Comprendo, signori, il vostro stupore, e la vostra emozione. Siete i primi a vedere tutto questo, e certamente gli ultimi, ma non dovete aver paura. Le vostre vite non sono in pericolo. La missione su questo pianeta è giunta al termine e gli ordini che ho ricevuto sono precisi: debbo lasciarvi in vita. A nome del mio popolo porgo ufficialmente le mie scuse a voi, rappresentanti della razza umana, prescelti per questo contatto. Sirius, Bonnard, lo scriba di Uruk, colui che dipinse il quadro nel quale è raffigurato l’essere femminile che chiamate Monna Lisa, e tutti coloro che hanno avuto il sospetto della nostra presenza sulla Terra, sono stati eliminati. E sareste morti anche voi se un ordine improvviso non mi avesse imposto di farvi conoscere il segreto: siete stati analizzati, studiati, sezionati, passati al vaglio della nostra lente d’ingrandimento. Abbiamo compiuto questo lavoro anche per altre forme di vita che popolano l’Universo. La conclusione a cui siamo giunti è che non siete migliori o peggiori di altri. Rispondo subito alla domanda che passa nella sua mente professor Zeit: non vi abbiamo mai aiutato, né quando scopriste il fuoco, né quando avete inventato l’energia che vi permette di compiere qualche breve passeggiata nello spazio. Verrà un giorno in cui anche noi scompariremo e a chi erediterà il nostro sapere verrà lasciato in dono anche questo archivio che testimonia della vostra esistenza. Perché voi non sarete eterni. Non so quando avverrà la vostra scomparsa e la mia lunga permanenza sul questo pianeta non mi autorizza a formulare alcuna ipotesi. Ho avuto questo compito e per me è stato un onore servire al progetto che gli antenati concepirono. Fu un grande disegno, pensato quando cessarono le guerre intestine: sono millenni che noi viviamo in pace e la vostra sorte non ci interessa. Potete distruggervi a vicenda, scomparire, progredire e giungere a più alti livelli di civiltà, non ci interessa. Ma sappiate che noi conosciamo tutto di voi, e non è detto che un giorno qualcuno non venga a controllarvi. Ci siete semplicemente indifferenti e lo scopo, il fine, della nostra civiltà, ciò che arde al centro del nostro sistema e ci fu donato direttamente dagli Dei posso riassumerlo in una parola rozza e degna solo di un popolo selvaggio, quale siete voi: conoscenza.-
La donna tacque. E io rimasi a guardarla senza sapere cosa dire, cosa rispondere a quel discorso che alle mie orecchie suonava peggio di una condanna a morte. Avrei voluto porre mille domande, ma sapevo che all’essere che si nascondeva sotto le sembianze di Monna Lisa, e questa era una verità terribile da accettare, di me non importava niente. Ero per lei meno che un granello di sabbia.
Monna Lisa cominciò a mutare aspetto. Era come se in una veloce progressione la donna assumesse le sembianze di tutti coloro che noi umani avevamo incontrato nel corso della nostra esistenza. Udii Turistano mormorare il nome di Contini e mi parve di scorgere un volto che poteva essere quello di Gorman. E infine avvenne l’ultima trasformazione; temetti di trovarmi davanti a qualcosa di mostruoso, simile alla rappresentazione che nel cinematografo diamo degli esseri alieni. E invece mi sbagliavo. Era una donnina anziana dai capelli candidi e avvolta in una tunica anch’essa bianca coma la neve, la figura che ci osservava. Udii un singhiozzo, Jennifer piangeva.
-Non andar via.-disse fra le lacrime.
-La mia lunga vita sta per concludersi.-rispose l’anziana signora-Andrò a riposare nella mia terra, all’ombra dei templi che innalziamo ai nostri Dei, accanto alla Collina del Sapere. Addio.-
-Perché quel ritratto rimarrà fra noi?-chiesi. Avrei voluto domandare mille cose. Lei sorrise.
-Spero di venir perdonata per il mio peccato.-mormorò.
-Ma perché rimarrà qui, perché non fu distrutta la tua immagine?-
-Forse è questo il castigo.-
-Demonio!-
Era l’urlo di Turistano, chissà da quanto represso.
-Tu non andrai via! Sarai giudicata per i misfatti commessi. Dio ti maledice!-
E il prete, senza che potessimo intervenire, si lanciò contro la donnina, ma la figura scomparve e Turistano strinse il nulla fra le sue mani.
Quella fu l’ultima immagine che ricordo.

La partenza e il dubbio
I giornali della sera scrissero che quel giorno s’era verificata una scossa di terremoto in una piccola parte delle Alpi Occidentali: uno strano sisma che aveva avuto un limitato epicentro e un raggio piccolissimo. Una stranezza, insomma.
A noi toccò di assistere alla partenza per un mondo lontano, di una macchina costruita per andare oltre le stelle. Ci destammo distesi su un pendio erboso, davanti a noi il lago, la villa e le montagne. Tutto era in silenzio in quella mattinata alpina, soleggiata e fredda. Ma la terra tremò e le acque del laghetto si divisero ribollenti, s’innalzò allora un oggetto romboidale che all’inizio ci parve molto piccolo, ma più emergeva e più assumeva dimensioni notevoli. Era argenteo e grande, quasi quanto la superficie del lago. Divenne poi immenso, mentre il cielo si oscurava sulle nostre teste e un rumore assurdo ci dilaniava i timpani. Dovemmo, per impedire d’esser risucchiati dal vortice, aggrapparci alla terra, affondare le unghie nell’erba. La villa si afflosciò come una casetta di carta e la terra tremò ancora mentre l’oggetto si levava verso l’alto, sino a scomparire nel cielo azzurro.
Qundo il vento e rumore cessarono sentii il corpo di Jennifer aggrappato al mio.
-Portami via di qui.-mi disse.
Il lago era sparito, al suo posto solo una nera pozzanghera d’acqua limacciosa. Anche la villa era sparita, inghiottita nella terra sconvolta e tutto era immerso nel grande silenzio della montagna. Nemmeno il canto di un uccello, niente.
Tornammo in paese senza parlare e non rispondemmo nemmeno a chi ci chiedeva notizie sul terremoto. Nel paese non c’erano stati danni, solo un grande spavento. Più tardi, quando si sparse la voce che il lago era sparito e la villa non esisteva più, molti, incuriositi, salirono a vedere e per giorni nel paese non si parlò d’altro. Credo che il luogo ancor oggi sia poco frequentato.
Per quel che ci riguarda, rincuorammo il nostro spirito con parecchie bottiglie di vino e tra noi scattò il meccanismo dell’assoluta rimozione: di ciò che avevamo visto e udito non parlammo nelle ultime ore che trascorremmo insieme. L’indomani io e Jennifer partimmo, Turistano ci salutò con sul viso la tristezza di chi vede per l’ultima volta due amici.

Sedevamo sulla terrazza dell’Hotel Universal, il cielo sulla nostra testa era pulito, nonostante le porcherie che la città spediva verso l’alto. La mano di Jennifer era nella mia, più tardi avremmo fatto l’amore, era già avvenuto altre volte. Tra noi non c’era nessun progetto, ma solo un’unione indissolubile generata dall’incredibile avventura vissuta insieme. Quel pomeriggio eravamo stati al Louvre e ci eravamo divertiti ad osservare la folla che si accalcava attorno alla copia dell’autentico ritratto.
-Chissà se l’hanno perdonata…-aveva detto Jennifer.
-Quel giorno-le chiesi-la implorasti di non adar via. Perché?-
-Forse, come accade ad ogni essere che vive fra gente diversa, aveva preso un po’ di noi e s’era innamorata. Forse è in questo l’ambiguità del sorriso. In fondo, è una storia tragica.-
Guardai i segni dello scriba e osservai il cielo. Qualcuno, oltre le stelle, distillava il nostro bene e il nostro male. Pensai a Turistano e lo vidi mentre provava e riprovava a stampare quelle fotografie.
“Li abbiamo fregati.” Pensai.
Jennifer si appoggiò a me, guardava le stelle.
-E’ come se qualcuno ti guardasse al microscopio.- mormorò.
-Ma in fondo non è questo che m’inquieta.- risposi.
-Cosa allora?-
-E’ il dubbio, e non lo scioglierò mai. Quell’immenso archivio, un tesoro inestimabile. Chissà se è in buone o in cattive mani? E non lo saprò mai.-
Fine
Stefano Viaggio
Ottobre 2014