Clotilde sollevò il capo. Parve a
Giovanni che i pensieri della donna fossero rivolti a qualcosa di molto lontano
da quella stanza e dallo strano pomeriggio domenicale.
-Hai ragione. Non è proprio il
modo di comportarsi...-mormorò.
Poi gli tese la mano in segno di
commiato.
-Arrivederci, Giovanni.-disse.
-Tornerò a trovarla, lo prometto.
Vorrei...-rispose Giovanni ricambiando il saluto, ma lei non ritenne necessarie
altre parole.
-Torna quando vuoi.-disse
Clotilde.
(da un'intervista a Giovanni Riva
realizzata nel 1996)
"Com'era la mia famiglia? E'
difficile...Hanno scritto troppo e troppo poco per spiegare a quelli come te,
che sono nati dopo la guerra, cos'era la borghesia italiana di quel tempo. Ho
letto proprio ieri un'intervista ad Alberto Moravia. Un tuo collega gli ha
chiesto come fosse l'Italia quando ero ragazzo. Moravia allora pubblicava i suoi
primi romanzi, i migliori. Io Gli indifferenti
non l'avevo letto, a quell'epoca…figurati. Moravia risponde che la borghesia dell'Italia
fascista lui l'ha descritta in "Le ambizioni sbagliate". E’ vero, se non lo hai letto te lo consiglio. I personaggi sono gente
inadeguata. Vorrebbero, ma non possono...o non ci riescono. Perché non hanno
una tradizione...Si, mancava alla nostra borghesia una vasta e solida
tradizione. Pensa a quante volte abbiamo discusso, noi comunisti, di questo
problema: che è poi quello della modernità del nostro capitalismo e forse…di
noi stessi…I personaggi di Moravia non sanno risolvere i loro problemi e si
odiano. Tutti contro tutti. E una storia di parvenu che non riusciranno mai a
diventare classe dirigente e per questo hanno bisogno di qualcuno che pensi e
faccia per loro. E c'è un personaggio femminile, Andreina, che non si dimentica
facilmente. Molta della nostra borghesia a quel tempo era così. E poi c'erano i
grandi borghesi...i padroni del vapore, come li chiamavano a quel tempo i
socialisti e i comunisti. Mio padre e lo zio Giulio avevano conosciuto i primi
proprietari dell'acciaieria. Gente che abitava a Milano, veniva qui
raramente...In Italia non abbiamo fatto né la rivoluzione protestante né quella
francese...Altra questione di cui abbiamo parlato, parlato...Ma è inutile che
lo dica a te. E in questo romanzo di Moravia c'è un'atmosfera di cupa violenza,
e che sfocia nel delitto e nel suicidio. Moravia aveva colto bene l'aria del
tempo...Bisogna aver avuto diciotto anni ed esser andati a scuola in un liceo
di provincia come quello di questa città, com'era allora s'intende, per capire
personaggi come Armanti, oppure noi stessi, gli studenti di allora. I miei
compagni di scuola non erano tutti stupidi, tutt'altro. Bragalin è stato
comandante partigiano nel varesotto, ma allora...Andare al casino! Ecco la
meta. C'era, non so se mi capisci, come una diga mentale...anche perchè le
ragazze di allora, poverine...Figurati! Pensa a quelle di oggi. Alle mie nipoti,
per esempio. Vanno, vengono. La generazione tua e di Tiziana ha iniziato, ma
prima...E Agnese all'inizio con Tiziana non era poi mica tanto di manica larga.
Allora, ai miei tempi, dicono che si facesse l'amore con più facilità in
campagna prima di andare a nozze. Ho letto da qualche parte che le contadine
erano più libere...Non so, può darsi. Ma noi, no. Regole severe e paura:
innanzitutto dei genitori, e poi degli altri. Qui in città, nell'ambiente della
mia famiglia, tutti guardavano tutti.
Mio zio Giulio aveva per amante una signora sposata ad un uomo di poco più
vecchio di lei. Un grosso commerciante di grano. Lo sapevano tutti, anche il marito che chiudeva un occhio. Devo averla
vista due o tre volte quella signora.
Una bella donna. Sì. Per mia madre c'è stato un solo fidanzato, mio padre. Aveva
fatto la guerra e io ero nato nell'anno di Caporetto. Quando sono venuto al
mondo, mi raccontava mia madre, di mio padre non c'erano notizie. Nessuno
sapeva se era vivo, morto, prigioniero...Poi abbiamo vinto la guerra. La Grande Guerra ! Ci ho
pensato...Sono vecchio e ormai non ho molte cose da fare, e allora penso al
secolo in cui sono nato, al nostro secolo... E sono arrivato a questa
conclusione: la vittoria nella Grande Guerra è stata per la nostra borghesia
come quando un impiegatuccio dell'ultimo ufficio statale vince un miliardo al
totocalcio...C'è da diventare matti! Era accaduto un po' questo, allora. E non
solo ai borghesi. Non puoi immaginare cos'era il ricordo della vittoria, per
tutti. E il fascismo si diceva fondatore di quella vittoria, erede della
vittoria. Gli uomini che avevano combattuto e vinto erano fascisti, apparivano
in camicia nera nelle adunate e al principio avevano comandato le squadre e i
manipoli che ci avevano battuto...Veramente io non c'ero ancora...Nel Ventidue
avevo cinque anni. E...chissà? Se avessi fatto la guerra e fossi tornato a casa
da vincitore fra i vincitori, io, certamente un ufficiale...Non so... Eravamo
ricchi e sino a quando sono rimasto in casa non mi è mancato niente. Hai mai
fatto la fame? Io sì, e ti garantisco che non è bello saltare i pasti. Eravamo
una delle famiglie più ricche della provincia. Ricchi come allora potevano
essere i discendenti di chi possedeva terra qua intorno e case a Torino. Mio
nonno andava spesso a Parigi. Morì nel
Venti. Non me lo ricordo. Un bisnonno materno aveva combattuto non so più in
quale battaglia...Forse San Martino. La memoria oggi non mi aiuta. Mi devi
scusare...Anche da quella parte c'era ricchezza. E nobiltà. Il nostro mondo famigliare,
tutto sommato era un po' chiuso. Sì. Nonostante i viaggi. In confronto ai miei
compagni di scuola, da questo lato ero un privilegiato. Per via di mia madre
che s'interessava all'arte. A quel tempo conoscevo le più belle città d'Italia
e quando in casa si parlava del nonno anch'io pensavo che sarei andato a
Parigi. E l'ho fatto...[si mette a ridere] Parlavamo dell'America, a scuola,
per via del cinema e di Lindberg...Un eroe...E delle attrici americane. Ma in
America non ci sono mai andato. Quando avrei potuto non era possibile. Non ci
volevano...Andavo spesso al cinema, anche a mia madre piacevano i film. Non
avevo grandi amici, la nostra condizione sociale imponeva amicizie in un
ambiente ristretto. Forse ci conoscevamo troppo per diventare amici...Avvocati,
notai, professori, possidenti e qualche industriale, piccolo. Forse il giro non
arrivava a trenta persone. Avrei frequentato l'Università per diventare
avvocato e un giorno sarei stato anch'io avvocato. Giovanni Riva, l'avvocato.
Il mio futuro era già scritto. Vuol sapere della politica? A casa mia si
parlava poco di politica. Ne parlava zio Giulio che era un fascista vero. Era
stato nella squadra Ettore Sabionetti, un eroe di guerra. C'era...c'era anche
una lapide sul muro della Caserma Grande. Poi quando liberammo la città, i
partigiani la tirarono giù a colpi di mitragliatore. Povero Ettore
Sabbionetti...Mio zio Giulio era sceso a Roma, nel Ventidue. Nelle campagne
avevano combattuto quasi un'altra guerra...E anche in città. Mario Verdi, il marito
di Clotilde, l'avevano ammazzato nel Venticinque. Al tempo dell'ultimo sciopero
in acciaieria. A Clotilde non l'ho mai detto, ma credo che mio zio Giulio non
c'entrasse in quell'imboscata. I morti, è vero, c'erano stati dall'una e
dall'altra parte, ma i fascisti erano i più forti. Diceva mio padre, lui aveva fatto la guerra
sul serio, che loro avevano le armi e i camion. E i soldi, è ovvio...Per questo
vincevano. Queste cose me le sono fatte raccontare dopo, quando ci siamo
rivisti...Io non ricordo niente di quel periodo, ero un bambino, e in casa si
parlava poco di politica. A mio padre non piaceva ricordare le avventure di suo
fratello. Lui non era fascista, non lo è mai stato. Era tornato dalla guerra
stanco e certamente deluso. Un volontario del novecentoquindici...Un
interventista democratico che poi s’era adattato al fascismo, come tanti...Gli
sentì dire che non avrebbe più voluto vedere morti ammazzati, ne aveva visti
anche troppi sul Grappa. Aveva combattuto alla Bainsizza, immagina...Aveva la tessera
del fascio? Tutti avevano la tessera. Ero stato balilla e poi avanguardista,
all'Università mi sarei iscritto al Guf. Pensavo anch'io che l'Italia era una
grande nazione e Mussolini un vero capo. Il destino stava dalla nostra
parte...Di questo ne eravamo certi. E convinti che dopo la Grande Guerra i
nostri alleati ci avevano voltato le spalle. Ecco, tutto qui. Niente di più
normale. Ero assolutamente uguale a tutti gli altri."
Quella sera Clotilde posò il suo
lavoro sul tavolo ovale che poche ore prima era stato sgomberato da Giovanni
per far posto alle tazzine del tè e si lasciò andare contro lo schienale della
vecchia poltrona. Chiuse gli occhi.
Le era accaduto altre volte di
ascoltare la voce di Mario.
La baciava sul collo, dietro la
nuca.
Facciamo un figlio.
Ma i bambini non venivano e per
questo Clotilde piangeva.
Ci vogliamo bene lo stesso, queste storie lasciale ai preti e a chi gli va
dietro.
S'era appoggiata al petto di lui
che la cullava fra le braccia forti e pian piano aveva smesso di piangere.
La guerra l'aveva portato via.
Mario era andato lontano, su per altre e sconosciute montagne.
(dattiloscritto ritrovato fra le
carte di Giovanni Riva dopo la morte, non reca alcuna data o firma)
[Per liberare Trento e Trieste.
Per sconfiggere una volta per
tutte il secolare nemico.
Per l'Italia, bella, forte e
potente.
Per far piazza pulita di vecchi e
nuovi imbroglioni
Per, se necessario, uccidere chi
vuol tener gli italiani fuori dalla storia.
Per farla finita con Giovanni
Giolitti e il suo amico Filippo Turati.
Per chiudere quel covo di ladri
che è il Parlamento di Roma.
Per morire sul campo d'onore.
Per non morire di noia nelle case
dei padri che non si decidono a crepare di vecchiaia.
Per fare qualcosa nella vita.
Per la giovinezza, tanto bella
che per viverla bisogna morire]
Anche le strade della piccola
città a quel tempo erano percorse da gruppi di studenti e borghesi con le
bandiere tricolori. Un giorno avevano provato a salire per i vicoli del Borgo
Vecchio, ma le donne li avevano attesi ai crocicchi e minacciose s'erano fatte
avanti.
-Andate voi a fare la guerra! Non
vogliamo veder morire i nostri mariti e fratelli!-
Così gridavano la madri e le
ragazze socialiste. Clotilde era in mezzo a loro. Che emozione quel
giorno!
-Con questa guerra vogliono
fotterci. Ci hanno già fregato. Gli operai francesi e tedeschi è un anno che si
sparano addosso.-
Così aveva detto ad aprile il
segretario della Camera del Lavoro, Attilio Mantovani, poi caduto davanti a
Gorizia. E Mario Verdi gli aveva risposto:
-I nostri capi hanno scelto di
aspettare e quasi tradiscono... Facciamo la Comune , come a Parigi! Nel Settanta. Il popolo
non vuole questa guerra!.-
Poi anche lui era partito per il
fronte.
Ogni volta che guardava le montagne
bianche di neve, Clotilde pensava ai ragazzi in trincea. L'alpino Mario Verdi in montagna c'era quasi nato e da bambino andava in alto insieme a suo padre, a
pascolare le bestie. E tre anni dopo, quando tutto era finito, i nomi dei
morti, una lunga fila, li avevano incisi sulla pietra di granito, sotto la
colonna di marmo del monumento ai caduti.
"Imperitura gloria ai figli
dell'Alpe e della Pianura"
Mario era tra quelli che invece
erano ritornati dalla guerra.
-Non voglio parlare di quello che
ho visto.-aveva detto a sua moglie-Ma ora è diverso. D'ora in poi non potranno
più fare le guerre. I lavoratori si uniranno e spareranno addosso ai
capitalisti che hanno voluto questa guerra. Ora sappiamo come si usa un fucile,
e c'è un fatto nuovo. La Russia
e una nuova Internazionale dei lavoratori.-
E Mario sul palco si
toglieva il cappello per salutare
l'epoca nuova e tutti gridavano "Viva Lenin!"…
Il compagno era passato sei mesi
prima e s'era fermato solo per poche ore. Doveva proseguire e portare la voce del partito in altri
luoghi, forse a Torino oppure a Milano... Nessuno sapeva dove se ne andava il
compagno, le regole non ammettevano eccezioni e non si discutevano.
-Ci sarà un'altra guerra. Il
capitalismo inglese e francese vuole scatenare un'altra guerra, questa volta
contro di noi, contro la Russia
dei Soviet. Ora che il fascismo ha vinto in Germania, siamo certi che ci sarà
un' altra guerra. Dobbiamo essere pronti e lavorare per l'unità dei lavoratori.
Smascherare il tradimento dei socialdemocratici e ogni deviazione opportunista
dalla linea dell'Internazionale, questo è uno dei compiti fondamentali nella
fase attuale dello scontro di classe. Ecco, questo è il partito che spiega
quali sono i nostri compiti.-
E il compagno aveva consegnato a
Clotilde piccoli fogli quasi trasparenti. Le parole, stampate con caratteri
neri e precisi, erano così minuscole che ci voleva la lente d'ingrandimento per
leggerle. Il titolo di quel giornale in miniatura sarebbe piaciuto a Mario, si
chiamava "Lo Stato Operaio".
Il compagno era stato arrestato
quando il treno era in vista della periferia di Milano. Quei foglietti Clotilde
li teneva dentro una vecchia botte.
"Attenti alle spie"
c'era scritto con l'inchiostro simpatico fra le righe di una lettera da poco
arrivata dalla Francia.
"Lo Stato Operaio"
l'avevano nascosto al sicuro, nell'osteria di Tunin. Nessuno l'aveva
distribuito e si attendeva l'occasione propizia. Bisognava fare attenzione: la polizia s'era
fatta più esperta. Come succede sempre alla vigilia di una guerra. Perché ora
tutti dicevano che la guerra ci sarebbe stata in Africa. Il compagno aveva
ragione: prima in Africa e dopo contro la Russia. Ma che potevano fare loro, per fermare la
guerra?
-Tutti vogliono la guerra contro
il Negus. I giovani. Dovresti sentire i giovani. Sono come pazzi!-aveva detto
Tunin.
E questo ragazzo? Che voleva da
lei? Chi l'aveva mandato a cercarla?
Clotilde udì ancora la voce di
Mario.
Tutto può avvenire all'improvviso. Per anni, secoli, non accade niente. Poi
la storia fa un salto. C'è scritto qui, su questo libro. Devi leggerlo anche
tu. Una vera compagna i libri li deve leggere.
Una vera compagna? Io? Chi me l'avrebbe detto che un giorno sarei stata la Vedova Rossa ? Io.
Clotilde aprì gli occhi. La stufa
s'era spenta e il freddo mordeva le ginocchia.
-Buono. Molto buono.-
Giovanni posò il cucchiaino e si
asciugò le labbra con il tovagliolo ricamato.
-A scuola, com'è andata oggi?-
Clotilde infilò l'ago nella
stoffa.
-Tutto normale, per ora non
interrogano.-
-Ho bisogno di un favore.-
Giovanni rimase in attesa, il
cuore prese a battere più veloce.
-Ho rivoltato il cappotto di uno
che sta dalle parti del Convento. Io ci perdo un'ora fra andare e venire... se
tu potessi, con la bici?-
-Si. Ma se mi chiedono...-
-Non devi dire niente: consegni
il pacco alla portiera e te ne vai.-
Giovanni eseguì la commissione.
Ma passò una settimana prima di farsi vivo con Clotilde.
Lo aspettava.
Le pareva che un angelo buono
avesse deciso di comparire in casa sua ogni tre o quattro giorni. E Giovanni
imparò a mentire.
Inventava scuse plausibili.
La biblioteca. Una rara
collezione di cristalli delle Alpi. Un semisconosciuto compagno di scuola
ammalato.
Lasciava Villa Riva e raggiungeva
il Borgo Vecchio. Ora che le giornate erano più calde, prendeva la bicicletta e
raccontava poi a sua madre di com'era bella la campagna quando s'avvicina la
primavera. E anche quella era una buona scusa. Alle lunghe pedalate fuori
città, Giovanni sottraeva ore e minuti per far visita a Clotilde. Ormai conosceva
gli abitanti del Borgo, passava accanto all'osteria di Tunin e lanciava
un'occhiata all'interno della sala angusta e semibuia. Affrettava il passo, ma
aveva imparato che fra i vicoli non c'era sempre freddo e nebbia. Giovanni
guardava le ragazzette: vestivano abiti più leggeri e sostavano davanti agli
usci di casa. Una o due si voltavano a osservare quel giovanotto mai visto nel
quartiere. Pochi erano stati gli incontri di Giovanni sulle scale della casa di
Clotilde, per lo più gente anziana e bambini che giocavano nel sottoscala. I
loro urli arrivavano in alto, sino alle finestre di Clotilde.
-Perchè vieni qui? Cosa ti
aspetti?-
Sedevano come al solito l'uno di
fronte all'altra. Lei cuciva, teneva la stoffa sulle ginocchia.
Quando Giovanni pensava alle
fughe nel Borgo Vecchio, alle visite in casa della Vedova Rossa, alle menzogne
che inventava con sua madre, provava il rimorso del tradimento gratuito. A
volte, mentre varcava il cancello di Villa Riva, si voltava indietro e se c'era
il sole, si sorprendeva a pensare quanto fosse bella la sua casa ora che nel
giardino l'erba diventava verde e il grande castagno fioriva. Ma poi andava. Era
spinto da una forza che non riusciva a dominare; gli sembrava che dovesse
varcare a tutti i costi un altro cancello per entrare in un mondo diverso,
libero da certi silenzi, dai ricevimenti che terminavano con le sonate al
pianoforte ascoltate nella noia e il mento sorretto dal palmo della mano.
Giovanni decise che era meglio
parlare e accettare la sfida.
-Non lo so. Non so ancora bene. A
volte penso che sia mio dovere venire qui.-
Clotilde sollevò il capo, smise
di colpo di cucire e lo guardò dritto negli occhi.
-Tuo dovere?-
-Si. Lei, signora Clotilde, è
molto sola e forse è mio dovere farle compagnia. E' un po' come ai vecchi
tempi, quando i cavalieri erranti sceglievano una dama e a lei dedicavano le
imprese della vita.-
Perché ho detto questo? Che mi salta in mente d'inventarmi una simile
balla?
Giovanni confuso, non colse negli
occhi di Clotilde la sorpresa e, certo, la meraviglia.
-Chi sarei io? Cos'è questa
storia...dei cavalieri erranti?-
A Clotilde però veniva da ridere.
Ma dovette trattenersi. Non
voleva far sprofondare del tutto Giovanni nel ridicolo. E pensava che avrebbe
dovuto avvisarlo già dalle prime visite: quel "signora Clotilde" era
strano per lei, e così inusuale al Borgo Vecchio. Per chi la conosceva e con
lei aveva confidenza, era la
Clotilde di Mario. E se in casa capitava nel discorso, per
tutti era la Vedova
Rossa. Ma i bambini non dovevano né sentire né ripetere il
soprannome.
Maledetto. Come mi giustifico?
-Allora, chi erano i cavalieri
erranti? Raccontalo a me che sono ignorante.-
Giovanni colse ora il tono
popolano, vagamente canzonatorio, che lo intimidì.
-Sì, insomma...Una volta c'erano
i cavalieri che giuravano a Dio di difendere i poveri e le donne, combattevano
per la giustizia e se ne andavano soli per il mondo. Sceglievano una dama,
a lei dedicavano le imprese compiute in
nome del bene supremo...Spesso venivano uccisi e per questo entravano nella
leggenda. Combattevano contro saraceni
e briganti, liberavano i deboli dai
signori prepotenti e venivano sepolti all'ombra di grandi alberi secolari, in
luoghi che la gente di allora considerava sacri...Li chiamavano i cavalieri
senza macchia e senza paura. Deve credermi...Sono esistiti sul serio questi
uomini. E' accaduto prima che costruissero la torre sul fiume e il Borgo
Vecchio.-
Clotilde sorrise. No. Non c'era
bisogno che provasse a convincerla, sapeva bene che Giovanni non le avrebbe mai
raccontato una frottola tanto per darsi delle arie, per fare il superiore con
lei. Ne era sicura. E anche Clotilde sapeva qualcosa dei cavalieri erranti. Suo
nonno leggeva e rileggeva ogni sera un vecchio libro in cui si raccontavano le
storie di Lancillotto, re Artù, Ginevra, Ettore Fieramosca e Pia de Tolomei...E
un pensiero le passò per la mente.
Sa tante cose però. Sa parlare. E il partito, se venisse a conoscenza di
questa storia che mi capita...Se i compagni di Parigi sapessero che il figlio
dei Riva viene a trovarmi e mi tiene compagnia...
-E tu, quali imprese vorresti
compiere nella vita?-
Imprese?
-Non lo so ancora... Per ora è
già un impresa venirla a trovare senza che a casa se ne accorgano.-
-E se scoprissero che vieni a
trovare la Vedova Rossa ,
i tuoi cosa direbbero?-
Giovanni scosse il capo.
-Non potrei più.-
-Ma una fidanzata ce l'hai?-
Con sua cugina Eleonora s'erano
strofinati al buio più di una volta l'estate precedente. Eleonora viveva a
Venezia. Giovanni pensò alle signorine che sperava di vedere affacciate alla
finestra del casino quando ci passava davanti in bicicletta.
Le puttane.
Quella parola lo faceva sentire
uomo.
Non era mai andato "a
puttane", ma pensava che un giorno sarebbe andato anche lui a trovarle.
Con Marco Veneziani e Andrea Gianquinto.
-No, per ora no. Pensano solo al
matrimonio le ragazze che conosco. Non m'interessano.-
S'era gettata nel fiume Maddalena
che aspettava un bambino. Clotilde se la vide davanti agli occhi la servetta
del "vicolo dei Vallaise". L'aveva messa incinta il figlio della sua
padrona. Era risaputo da tutti al Borgo Vecchio che il giovanotto De Ferreiro
s'era presa per amante la ragazzina di sedici anni. Maddalena. E ora questo
Giovanni...
Appartiene anche lui alla classe dei ricchi e dei padroni. E nelle
loro case le cameriere, le figlie del
popolo, vengono messe incinta. E tanti
saluti. Povere figlie!
-E cosa vorresti da una donna?-
La voce di Clotilde s'era fatta
tagliente. Giovanni ebbe paura di lei e pensò alla ragazza della fotografia,
nuda e con le gambe aperte. Una puttana.
-Allora? Cosa c'è? Perché non mi
rispondi, cosa vorresti da una donna?-
Di colpo Clotilde mise da parte
il suo lavoro e compì un gesto che lasciò Giovanni privo di ogni difesa.
Clotilde aveva teso le braccia,
le palme delle mani aperte puntavano contro il petto di Giovanni.
-Avanti, non aver paura.-disse
-Dammi le mani.-
Giovanni riconobbe lo stesso tono di quando l'aveva invitato a
sparecchiare il tavolo senza tanti complimenti. Se uno strano pensiero passò
per la sua mente, lo ricacciò indietro. Se un fremito inatteso e mai
conosciuto, così diverso da quello provato quando s'era accostato a sua cugina
Eleonora, gli attraversò il corpo, fece in tempo a reprimerlo e dimenticare.
Pose le sue mani in quelle della donna. Mai avrebbe dimenticato quel fisico
contatto e il momento di attesa che seguì.
-Stammi a sentire. Arriverà il
momento in cui incontrerai una donna. Non è una sottana da sollevare. No.
Giovanni, stare insieme a una donna e l'amore non li puoi dividere, e le
ragazze non sono stupide, le femmine se ne accorgono, e se fingono, è perché o
ti prendono in giro o ti disprezzano.-
Rimasero a guardarsi, occhi
dentro agli occhi. Clotilde abbandonò le mani di Giovanni.
Le parole giuste...
E qualcos'altro sconvolgeva
Clotilde. Mario l'abbracciava, la baciava sul seno, l'accarezzava.
Attenta. Stai attenta.
-Ti ho fatto la predica.-
La voce tremava.
E Giovanni comprese il motivo
delle sue visite in quella casa.
E' come una sorella lontana, ripudiata e sconosciuta. E che mi piace stare
a sentire.
-Il fascismo dimostrerà al mondo
che gli italiani ce l'hanno il sangue nelle vene!-
Era una frase che Giulio Riva
ripeteva spesso, ma squillava alta nei caffè, nei saloni dei barbieri, a
scuola, nelle adunate.
E ancora.
-Vendicheremo Adua.-
La voce di Giulio riempì il
salotto di casa Riva. La signora Elena guardò il cognato e in cuor suo approvò.
Si, è vero. Dare terra al nostro popolo del meridione. C'è voluto
Mussolini.
Ascoltava distratto i discorsi
sull'Africa...Adua.
Suo zio parlava e suo padre
rispondeva contrastando l'entusiasmo del fratello.
Alfonso era contrario alla
guerra.
Un giorno Giovanni l'aveva
sentito dire certe parole che gli erano suonate strane per un uomo così
trattenuto nei giudizi.
-Pensavamo di cambiare tutto con
la guerra e invece...una bella fregatura, la vita.-
E Giovanni si chiese se anche lui
un giorno avrebbe pensato che la sua vita era stata una "bella fregatura".
-Presto toccherà anche a
te.-disse Giulio, rivolto a Giovanni.
-Non chiameranno mica quelli
della sua età?-intervenne Elena, quasi
risentita.-Non è possibile, Giulio!-
Giovanni guardò sua madre. Da
quando si parlava della guerra Elena era preoccupata, Giovanni se n'era
accorto.
Sono un disgraziato. Se loro sapessero.
Udì Giulio.
-Questa occasione certo la
mancherà.-
Ci aveva pensato un momento prima
di rispondere alla cognata.
-Un amico che è intimo dei Ciano
mi ha detto che siamo alla vigilia. Ma la cosa, vedrete, non finisce qui. Ce ne
saranno, ce ne saranno di occasioni per Giovanni. E quando il Capo dirà che è
giunta l'ora quasi, quasi me ne vado in Africa. In questa città mi annoio.-
I capelli di Giulio s'erano fatti
più grigi negli ultimi mesi.
Non fa niente. Certo che si annoia!
Elena scambiò con suo marito uno
sguardo complice.
-Non bisogna dar troppo peso a
quello che dice. E' fatto così.- commentava Alfonso, quando Giulio annunciava
importanti decisioni che non avevano mai alcun seguito.
-C'è ancora tè. Prendi un
biscotto, caro.-disse Elena rivolgendosi a suo figlio.
Giovanni prese un biscotto al
cioccolato e lo portò alle labbra, sollevò gli occhi sul quadro appeso sulla testa di zio Giulio che
ora porgeva l'accendisigari ad Elena. L'aveva dipinto un francese, amico del
nonno, ed era una banale scena di caccia, con il cervo circondato e azzannato
dai cani. Eppure qualcosa di sorprendente quel pittore l'aveva fatto. Giovanni
non se n'era mai accorto: il mediocre pittore era riuscito a dipingere gli
occhi della bestia come se il cervo
chiedesse aiuto e sperasse sul serio di sfuggire alla morte atroce.
Ma forse esagero. Fra poco andremo a cena e la presenza di zio Giulio
obbligherà mio padre a parlare più del solito. Come a teatro. Chi scrive il
pezzo di copione che mi riguarda? E lei, lei, che mi ha parlato in quel modo!
Zio Giulio mi vede in divisa e mamma piangerà. Compirò il mio dovere. E' una
tradizione di famiglia. E lui, mio padre, mi stringerà al petto emozionato,
scuoterà la testa, ma alla fin fine dirà che è giusto, perché la patria chiama.
E a me, che me ne frega dell'Africa?
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