Costantina
(1936)
Ora affronta il viale alberato
che porta all'Ospedale e si accorge della vecchia cicatrice, un tempo ben
visibile sul braccio sinistro. Se n'era dimenticato. E invece è ancora lì.
Entra nel parcheggio. Riconosce le macchine. Sono già arrivati i parenti di
Valtouranche e di Issogne. Lei sapeva, già da un anno le avevano detto che non
c'erano speranze. Ne avevano parlato solo una volta. Giovanni non voleva
ascoltare.
-E' sempre stato tutto chiaro fra
noi.-aveva detto Agnese.
Diventerò un peso per tutti.
L'insegna del Caffè Nantes
rischiarava un poco il soppalco di legno. Dischiuse gli occhi e vide Costantina
e Pietro sulle scale, Costantina si chinò e Giovanni cercò di sorridere. Pietro
rimase dietro di lei, lo osservava con le braccia incrociate sul petto.
-Come va?-chiese Costantina.
-Meglio.-rispose Giovanni.
Sentiva l'umidità delle assi attraversare il vecchio materasso di crine.
-E' una ferita leggera.-disse
ancora Costantina.
-Non posso far niente per voi.-
-Un giorno presenteremo il
conto.-rispose Pietro. Sua moglie appoggiò la mano aperta sulla fronte di
Giovanni.
-C'è un po' di febbre,
copriti.-mormorò.
Depose accanto al materasso il
bicchiere pieno d'acqua e la scatola delle aspirine.
Gli tirò sulle spalle la coperta.
Giovanni aveva voglia di piangere. Costantina lo accarezzò sulla fronte.
Quando tornarono nella stanzetta
dove dormivano con i quattro bambini, Carlo ruppe il silenzio e chiese
qualcosa. La madre lo zittì e tutto si quietò.
Gli occhi di Grete erano come
quelli di una bestiolina impaurita, per questo Giovanni s'era lanciato contro
il Camelot du Roy. Più abituato alla lotta di strada, il francese s'era difeso
con un pugno andato a vuoto, Giovanni aveva fatto un salto indietro e il
Camelot aveva urlato:
-Merde aux meteques. Vive Mussolini!-
Era fuggito per raggiungere i suoi
amici che s'allontanavano in fretta.
Costantina già correva verso i compagni richiamati dagli urli dell'aggressione.
Grete ora si stringeva alle gonne di sua madre. E Giovanni voleva raggiungere
il giovanotto. Sapeva che l'altro era più robusto di lui.
Il Camelot si volse di colpo per
affrontarlo. Si guardarono con lo stesso odio e certamente avevano la stessa
età. Poi Giovanni vide la lama del coltello e cercò di parare il colpo, il
Camelot lo ferì al braccio sinistro. Il sangue macchiò la camicia bianca di
Giovanni. Sorpreso, si guardò il petto. L'altro gli volse le spalle e raggiunse
il boschetto dove i suoi amici erano già scomparsi.
Vendevano libri, raccoglievano
soldi per gli italiani in galera e i compagni spagnoli in guerra. A Giovanni
avevano affidato il compito di distribuire i manifestini ai passanti.
Costantina e Margarethe, con Grete appesa al collo, sostavano sulla panchina
accanto al banchetto, Perruchon e Pietro s'erano allontanati con gli altri per
una riunione improvvisata all'aperto a cui Giovanni non era stato invitato. I
due compagni al banchetto guardavano pigri le famiglie in passeggiata
domenicale. Non avevano venduto molti libri quel giorno e il pomeriggio
politico stava per concludersi, presto sarebbe giunta l'ora di smontare tutto e
raccogliere i libri. Nessuno si accorse dei cinque giovanotti. Spuntarono dal
boschetto che si affacciava sul giardino. Da tempo studiavano la situazione e
avevano scelto quel momento per agire, qualche minuto prima
Giovanni s'era chiesto se era proprio il caso di appartarsi per la
riunione. S'era guardato intorno e non gli piaceva l'idea che fossero rimasti
solo in quattro o cinque attorno al banchetto. Comprese che qualcosa non
andava, non fece a tempo a voltarsi che già il banchetto e i libri venivano
rovesciati a terra. L'aria fu lacerata da un urlo. Era la bambina, Margarethe
se la stringeva fra le gambe.
-L'argent des francoises aux
francoises!-gridò il capo, raccolse i denari sparsi nella ghiaia e cavò di
tasca un corto manganello.
Giovanni colse lo sguardo
impaurito di Grete e partì all'attacco.
-Se pensiamo che per il solo
fatto di avere i compagni francesi al governo insieme ai socialdemocratici e
alla borghesia radicale, possiamo considerarci al sicuro, allora non abbiamo
capito proprio niente. Il governo non significa il potere. Questa è una vecchia
idea socialdemocratica e una vecchia questione che i compagni sovietici hanno
risolto da tempo. La Spagna ,
quello che avviene oggi in Spagna, ci dimostra che occorre puntare in due
direzioni: allargare il fronte unico contro il fascismo e rafforzare
l'organizzazione e la presenza dei comunisti all'interno del fronte unico. La
lotta in corso dimostra che lo scontro diventerà più duro: è possibile che in
futuro, forse anche domani, verremo chiamati a combattere una guerra
rivoluzionaria in Francia, in Italia. Questo noi tutti lo speriamo. E allora
equivale a un tradimento abbassare la vigilanza rivoluzionaria, come è accaduto
oggi. Lo spirito facilone produce danni. Mi pare che sia venuto il momento di
mettere mano a una riorganizzazione delle nostre uscite pubbliche per la
raccolta di denaro. Dobbiamo lavorare meglio e di più. Dobbiamo assicurare la
difesa militare del partito e sbarrare il passo a tutti coloro che vorrebbero
disgregare l'organizzazione. I trotzkisti, anche quelli italiani che sono a
Parigi, lavorano in combutta con i fascisti, anzi sono essi stessi agenti
dichiarati del fascismo. C'è poi il problema della socialdemocrazia che non
sopporta l'estendersi della presenza comunista tra le masse operaie e
contadine...-
Un compagno infermiere aveva
medicato il braccio di Giovanni che era stato invitato alla riunione
organizzata nel retrobottega di Perfetti. Gli avevano detto:
-Tu devi venire. Il partito vuol conoscerti.-
Era un compagno dall'accento
napoletano che concludeva la riunione. Dimostrava trentacinque, quarant'anni e
fumava pessime sigarette francesi. Giovanni desiderava solo uscire all'aperto e
respirare aria pulita, il braccio gli doleva e sentiva brividi per tutto il
corpo. Le sue condizioni fisiche mitigavano un poco il senso di oppressione che
le parole del compagno provocavano nei presenti. C'era stato uno strano
movimento degli occhi, qualcuno s'era guardato attorno, come se il nemico fosse
presente in quella stanza. Dopo alcuni interventi in cui era stata riconosciuta
l'insufficiente preparazione di quella piccola manifestazione domenicale, il
compagno dirigente aveva tirato le somme. Ora taceva. Diede ancora un'occhiata
agli appunti che teneva sotto gli occhi poi sollevò il capo e si rivolse a
Giovanni seduto in seconda fila.
-Sei tu lo studente che s'è
buscato la coltellata?-
Per la verità Giovanni aveva
approfittato di quella pausa per abbandonarsi sulla sedia, sentiva sulle
palpebre due pezzi di piombo. La parola "studente" lo svegliò.
Ora tutti lo guardavano, qualcuno
sorrideva. Prima della riunione gli avevano detto che aveva fegato.
Giovanni arrossì confuso. Il
compagno non mostrava alcuna affabilità nei suoi confronti e tutti tacevano.
Pietro, ritenuto responsabile di aver sottovalutato la vigilanza attorno al
banchetto, sembrava un pezzo di legno. Nel corso del suo intervento aveva
balbettato giustificando l'urgenza della riunione all'aperto.
-Sappiamo la tua storia.-disse il
compagno-E il partito vuol parlarti.-
Giovanni annuì, sentiva gli occhi
di tutti puntati su di lui.
-Bene.-
Il compagno raccolse le sue carte
e mormorò qualcosa a chi gli sedeva accanto. La riunione era finita. Il rumore
delle sedie smosse sovrastò un sommesso bisbiglio. Dopo il discorso del
compagno non c'era da andare a dormire allegri. Anche Giovanni si sollevò dalla
sua sedia: voleva uscire da quel buco. Sentì la lieve pressione di una mano
sulla spalla destra, si trovò faccia a faccia con il compagno dirigente.
-Curati il graffio e la prossima
volta meno impeto. I compagni ci servono vivi.-
Dovevo lasciare che facessero a pezzi i libri? Che portassero via i soldi?
Che vuole da me? Ora glielo dico.
L'altro lo anticipò.
-Vieni da trovarmi, ho da
parlarti. Ti dirà Pietro dove e quando.-
Dormire! Dormire! Dormire... Perchè questo tormento?
La lingua era un pezzo di
cartone.
Che vogliono da me? Sappiamo la tua storia...Ho da parlarti...I compagni ci
servono vivi...Ho da parlarti...Ma in cosa ho sbagliato? Quello per poco
m'ammazzava e io...Lo avrei ammazzato. Sì. I pantaloni alla zuava e il berretto
nero. La faccia. Che faccia da bambino. Sei tu lo studente...
Gli parve che il dolore al
braccio si attenuasse. E ritornò indietro nel tempo, a quando aveva sette, otto
anni. Si vide in giardino con sua madre che gli fasciava l'indice della mano
sinistra perché s'era fatto un taglietto con il coltellino rubato in cucina.
Era bella la mamma.
Mamma.
Costantina gli aveva fatto una
carezza.
Chi è Costantina? Dio mio! Agnese...
Si pentì di tutto il male
commesso. Aveva fatto soffrire sua madre, suo padre, Agnese. Dov'era Agnese?
Una soluzione lo tentava. Sarebbe andato alla Gare de Lyon e avrebbe preso
il primo treno per Torino. Domani. Senza
dir niente a nessuno. E via! In Italia. Come quando si torna da una vacanza,
oppure dopo una brutta malattia.
C'è chi resta in sanatorio per anni.
Immaginò il perdono dei genitori.
Le parole e le lacrime, i silenzi e gli sguardi. Suo padre... Avrebbero tenuto
segreto il suo ritorno agli occhi della città. Sarebbe andato lontano. Ma in un
posto diverso dalla Valle d'Aosta. Non si fidavano più di quelle montagne.
Però è stato bello.
Quando era salito sul treno
diretto a Parigi pensava di non riuscire a chiudere occhio, ma invece...E s'era
svegliato improvvisamente tre ore dopo in una stazione sconosciuta, sentiva una
lingua estranea anche se ne comprendeva ogni parola. E s'era ricordato delle
montagne e di quel vasto pianoro ancora tutto innevato, lassù al Piccolo San
Bernardo. La guida lo aveva condotto per sentieri sicuri e Giovanni aveva
ammirato tutto quel ben di Dio dall'alto di uno stretto camminamento che
qualcuno prima di loro aveva aperto nella neve. Il Monte Bianco davanti ai suoi
occhi e più in basso l'antico Ospizio. E ancora, lontani, i primi villaggi di
una nuova terra.
Don Veysendaz parlava francese e
italiano, ci mischiava anche qualche parola in patois valdostano. Passava
almeno una volta alla settimana per far visita ai preti che sorvegliavano
Giovanni come carcerieri, su incarico di Alfonso Riva. Quella domenica il prete
era arrivato di notte e s'era disteso sul tavolaccio a dormire. Giovanni lo
trovò così al mattino. Era sceso nella cucina della canonica per bere una tazza
di latte. Seduto davanti al suo latte, Giovanni ascoltava il respiro pesante
del prete e meditava sulla sua condizione di confinato, la stessa dello
sconosciuto per cui aveva rubato dal portafoglio di sua madre. S'era stretto
nelle spalle avvertendo il freddo della casa, fuori le montagne erano scure e
il sole tardava a sorgere, l'autunno inoltrato avrebbe portato neve e gelo. Gli
avevano proibito di lasciare il villaggio: non poteva nemmeno scendere ad
Aosta.
Se almeno potessi dare una mano nella stalla.
-E' caldo.-
E Giovanni aveva indicato la
brocca del latte. Don Veysendaz passava le dita fra i capelli bianchi e si
fregava gli occhi.
Il suo fiato puzzava di cattiva
digestione.
Giovanni aveva versato il latte e
gli aveva messo la ciotola davanti. Don Veysendaz aveva bevuto qualche sorso.
-Vuoi andar via di qui? Ho un
amico che ti porterebbe laggiù.-
Con un gesto del capo aveva
accennato in direzione della Francia. Gli occhi vispi e intelligenti del prete
lo osservavano per capire chi fosse veramente questo ragazzo che ne aveva
combinata una più del diavolo: donne, politica, s'era messo coi sovversivi.
Lui, che era figlio di gente ricca, persone all'onor del mondo. Il prete aveva
una faccia piatta e rugosa, con labbra
grosse quasi come quelle di un negro.
A Giovanni quell'uomo non piaceva.
-Mi hanno raccontato di te. So
tutto. E tuo padre ti ha mandato qui per pentirti. Lo dicono in giro. Le
notizie fanno presto a circolare. Sotto, all'osteria, c'è qualcuno che ogni
sera parla di te. Dicono che sei un tipo strano.-
Il prete s'era toccato la testa
con l'indice della mano sinistra. Dalla tasca della tonaca aveva estratto la
borsa del tabacco e arrotolava una sigaretta.
-Vuoi?-
Giovanni aveva rifiutato.
Pentirsi? Non tornerò a casa mia. No. Mi prende in giro? Un prete? Sarà
come gli altri che benedicono i gagliardetti e l'oro alla patria.
-Non hai la faccia di uno che si
pente. E quindi non pentirti. E' meglio. Per te,
è meglio.-
Ma cosa vuole da me?
Don Veysendaz
aveva abbassato la voce.
-Non dovrei dirti queste cose,
io.-
Aveva tirato fuori un giornale
dal suo vecchio zaino, Giovanni leggeva i titoli sulle vittorie in Abissinia.
Don Veysendaz seguiva il titolo
più grosso con l'indice.
-Perderanno una guerra.-
-E se le vincessero tutte?-
Giovanni finalmente aveva
parlato.
Il prete aveva sollevato gli
occhi dal giornale.
-E' possibile, ma non è mai
accaduto. Tu hai studiato, Napoleone Buonaparte perse l'ultima battaglia, la
più importante.-
-E cosa bisogna fare?-
Il prete sembrava nuovamente
interessato al giornale.
-Una settimana fa sono stato in
Svizzera, son passato per un villaggio. Conosco gente laggiù. C'era una
famiglia nuova, padre, madre e due figli. Mi hanno detto che vengono dalla
Germania. Ebrei. Cosa bisogna fare? Pregare. Tu. Tu, non ti sei messo con i
bolscevichi? Hai tradito la fiducia di tuo padre per fornicare con quella donna...-
Giovanni non l'aveva lasciato
proseguire.
-Clotilde ed io non abbiamo fatto
niente di male! Clotilde è una donna onesta!-
Guardava il prete con aria
minacciosa. Don Veysendaz con l'indice sulle grosse labbra non aveva perso la
calma.
-Tieni molto a quella donna?
L'hanno arrestata, lo sai?-
-Ha sofferto. Le hanno ammazzato
il marito.-
-A quel tempo stavo ad Aosta. Tu
la conosci Aosta?-
-Poco, ci sono stato solo una volta.-
-E' un vecchio borgo. Ormai si
riempie di gente che viene da via. Veneti, emiliani. Ma se ti interessano le
antichità romane bisogna visitarla. Io davo una mano nella cooperativa,
l'avevamo messa su noi preti. E vennero i sovversivi; la canaglia voleva la farina perché i prezzi erano
saliti. Ce l'avevano, e con ragione, con chi s'era fatto i soldi con la guerra.
In questo non posso certamente dare torto ai sovversivi. Ma prendersela con noi
che aiutavamo la povera gente? Un finimondo! E allora son venuti i fascisti. I
preti, i notai, gli impiegati, tutti accettarono i fascisti. Pur di salvarsi
dal diavolo. Tutti con i fascisti! Abbiamo pagato un prezzo. Ora tolgono le
scritte in francese dalle lapidi, dai monumenti ai morti della guerra. Peggio
dei liberali. E addio per sempre alle nostre tradizioni. La vecchia Valle
d'Aosta non esiste più! E' per colpa di voi comunisti! Negatori di Dio. Eppure
Dio abbandonerà i fascisti. Fanno la guerra? E che c'entriamo noi valdostani
con le loro guerre? Dio abbandonerà Mussolini. Ne sono certo, e abbandonerà
anche me. Se continuo a parlare con te.-
-Voglio andarmene, mi aiuti.-
S'era pentito di aver detto
quelle parole.
-Fra qualche anno dovrò cambiare
anche il mio nome. Ma allora sarò morto. Conosci il francese?-
-L'ho imparato in famiglia.-
-E dove vuoi andare?-
-A Parigi.-
-Perchè a Parigi? Le donne...-
-A Parigi c'è il partito.-
-Quale partito? Quello dei senza
Dio! Maledetto! Sarò punito con i peggior tormenti dell'inferno se continuo a
parlare con te. Da tempo, rifletto. Solo. Non riesco a parlare con nessuno.-
S'erano uditi i passi sulle
scale. Uno dei preti carcerieri scendeva in cucina.
-Avrai mie
notizie.-aveva sussurrato Don Veysendaz.-Sarà il mio ultimo peccato, poi mi
ritirerò in montagna e aspetterò la punizione del Signore. E gli eventi.-
E' stato facile andarsene dalla canonica.
Se torno a casa dovrò prendere la licenza. E dopo andrò all'Università. E
mi iscriverò al GUF. Andrò alle parate, cancellerò dalla mente questa gente. E
se mi chiederanno qualcosa dirò che non so niente. Oppure mi costringeranno a
dire tutto...Scriveranno. Sul giornale scriveranno: attenti a Giovanni Riva, studente.
E' un infiltrato della polizia di Mussolini. Un giorno pagherà. E se il giornale lo legge Clotilde? Lei sta in prigione. Poveretta.
Sovversivi. Gente Losca.
Impossibile.
Il partito vuol parlarti.
Che vogliono ancora da me? Forse non sono convinti. Che
silenzio...Respirare il silenzio della notte, a Parigi. Chi l'avrebbe detto.
Fra poco Pietro va a lavorare. Oggi me ne resto a casa, faccio la bella vita,
me lo merito. E se il braccio non guarisce? C'è gente che è morta per un
graffio. Se muoio mi seppelliranno a Parigi oppure nel cimitero di Pere
Lachaise. Verrà la mamma. Lo saprà Clotilde. Agnese piangerà. Oppure s'è già
dimenticata? E Veneziani, e Gianquinto? Scuola. Greco. Zitti. Ipocriti.
Sembrano passati mille anni... Come nel romanzo del tedesco. I Buddenbrook
assomigliano ai Riva. Stupidaggini. Loro, ci scommetto, piantano le bandierine
e vogliono andare a combattere contro i rossi in Spagna. Somigliava ad Agnese
la ragazza sul palco. Sarà figlia di
contadini, come si dice "ti voglio bene" in spagnolo? Bombardano le
città in Spagna. Agnese. Dio. Dio. Quella sera ci siamo voluti tanto bene, sino
a...Grete avrà dormito stanotte? Margarethe è stanca quando la figlia non dorme
e deve andare a lavorare per forza. Non posso rimanere a casa oggi. Cosa
direbbero? No. Perruchon mi darà meno carbone da spalare. E' bella Margarethe.
La guardo troppo e debbo smetterla. Non voglio che qualcuno nel partito parli
male di lei.
-Tu, ci credi in Dio?-
Era stata la prima domanda che
gli aveva rivolto Pietro Ferri.
Parigi era un turbinio di gonne e
di cappelli, di gran caffè e di luci. Giovanni si muoveva in questo mondo
assolutamente nuovo, come sospeso. Per giorni ebbe la sensazione di essere
l'acrobata che aveva visto da bambino. Camminava in bilico su una corda tesa da
un palazzo all'altro, nel vuoto. Nei primi giorni del suo arrivo a Parigi,
Giovanni s'era completamente dimenticato
del foglietto cucito nella fodera della giacca.
Una sera contò i soldi che gli
restavano nel portafoglio e comprese che presto sarebbe rimasto solo con i
vestiti che aveva addosso.
La stessa sera ascoltò i suoi
ospiti discutere fra loro in francese.
-Tuo fratello non è
cambiato.-diceva il signor Dalbard.
-Ha detto che se ne va. Non
preoccuparti.-rispondeva Madame Louise.
-Proprio in questi momenti doveva
mandarci un profugo in casa!-
-E' un ragazzo educato. Sembra di
buona famiglia...-
-I peggiori!-
Non aveva atteso che gli
dicessero di andarsene.
La mattina seguente, di buon ora
e prima che i due anziani valdostani si levassero per la colazione, era sceso
per la strada e con quel biglietto vergato in fretta nella calligrafia grossolana
di Clotilde e s'era diretto verso i quartieri occidentali di Parigi.
A una donna dal seno enorme
seduta alla cassa di un caffè poco raccomandabile aveva mostrato l'indirizzo e
lei l'aveva accompagnato sul marciapiede, con un francese velocissimo gli aveva
spiegato la direzione. Poco dopo Giovanni aveva compreso di essersi perso. Si
guardava intorno e avvertiva i morsi della fame e il freddo del vento umido,
oceanico.
L'Oceano Atlantico. Chissà quanto
era grande, l'Oceano? E sull'altra
sponda c'era l'America. Non aveva nessun parente in America. Ma di Riva poveri,
certo ce n'erano al mondo. E qualcuno...In America. Dove facevano quei film che
vedeva con la mamma e poi li raccontava a Clotilde.
Coraggio.
Contò i suoi denari. Non gli
bastavano di certo per il biglietto di un treno diretto in Italia.
Torno dai Dalbard e chiedo un prestito. E quest'avventura è finita per
sempre.
Svoltò a destra e vide che
sull'altro lato del marciapiede avveniva qualcosa. Era una fabbrica simile a
quella della sua città, con i muri di mattoni rossi e le ciminiere. Gruppi di
uomini sostavano davanti ai cancelli e grandi manifesti erano affissi accanto a
quello principale.
Diritto alle ferie pagate per il proletariato.
Contro i tentativi della reazione
rafforziamo il potere del fronte unito degli operai. No alla guerra. No al
fascismo. Viva la
Repubblica dei Soviet.
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