giovedì 29 gennaio 2015

Noi cambieremo il mondo. Di Stefano Viaggio. Seconda parte. Secondo episodio.

"Oggetto: movimento comunista.
Sino a questo momento non è pervenuta a questo ufficio alcuna notizia o informazione circa la ricostituzione di un movimento comunista nella città. Tuttavia, in ottemperanza alle recenti circolari in cui si sottolinea l'importanza di attuare una stretta vigilanza sugli elementi antifascisti di questa Provincia e in previsione di importanti avvenimenti per la vita nazionale, sono state predisposte adeguate misure di sorveglianza. Nel vecchio borgo esiste un'osteria di proprietà di Antonio Pezzol, nato a Rovigo il 7 maggio 1881, detto Tunin, in cui secondo informazioni pervenute a questo ufficio da un frequentatore abituale dell’osteria, sembra si parli del comunismo e dello stato russo. I nostri informatori segnalano che il professor Armando Parenti, insegnante fino al 1927 nel liceo cittadino Giosuè Carducci, è stato di recente ricoverato in ospedale dove gli è stata riscontrata una forma tumorale all'intestino. Il detto Parenti, rimesso in libertà nel 1932 dopo aver scontato tre anni di confino di polizia per propaganda antifascista, ha mantenuto contatti epistolari con emigrati residenti in Francia. Oggi il Parenti, anche a causa delle sue condizioni di salute, non sembra in grado di nuocere. Particolare sorveglianza è stata rafforzata attorno alla nota comunista Clotilde Calosso, residente in Vicolo di San Pietro 3, sito nel Borgo Vecchio. La Calosso riceve, almeno una volta alla settimana, la visita di..."
Il dito si bloccò sul tasto.

Ma che vado a scrivere? Magari quello dalla signora ci va per fottere. Lei è vedova, lui è studente. Succede. Non l'ho mai vista questa Clotilde. Un giorno mi faccio un giro al Borgo Vecchio. A me, chi mi conosce? E la famiglia del ragazzo...Come si fa? Bisognerebbe informare il padre. E se invece...Fammi leggere, fammi leggere quella nota che hanno mandato da Alessandria. Ecco:-studenti coinvolti in un'organizzazione di comunisti che si mascherava dietro la società teosofica cittadina- Studenti? Gente di buona famiglia. Gente che sta col culo al caldo e cerca i diversivi. Io all'età loro già stavo sotto le armi! Teosofica? Che cazzo vuol dire, teosofica? Lo cerco sul vocabolario. E se questo fosse come gli altri? Un visionario. Uno che vuole fare chissacché. Il padre è avvocato e lo zio lo conosco. Un trombone. Altroché, se è un trombone! Gente che in guerra l’impiombavano nel culo. Allora? Niente. Non scriviamo niente, è inutile scrivere ora. Mi occuperò personalmente del ragazzo e lo tengo d'occhio. Se è solo fotteria finisce presto perché lei è vecchia e lui è ragazzo, se c'è altro, vedremo.

Batté con violenza la lettera x sulle ultime parole e poi chiamò.
-Campanella!-
-Comandi, superiore.-
Campanella s'affacciò sulla porta.
-Fammi un caffè.-
-Agli ordini.-
                             
"La barricade avait à l'une de ses extrémités Enjolras et à l'autre Marius. Enjoras, qui portait toute la barricade dans sa tête, se réservait et s'abritait; trois soldats tombèrent l'un après l'autre sous son créneau sans l'avoir même aperçu. Marius combattait à découvert. Il se faisait point de mire. Il sortait du sommet de la redoute  qu'à mi-corps..."

Giovanni il francese l'aveva imparato dalla signora Jeanne che era tornata a Lione quando lui aveva undici anni, il tedesco dalla cugina Elisabetta che viveva a Monaco di Baviera e aveva sposato un professore d'orchestra.
Chiuse gli occhi e lasciò cadere il libro sul petto. Aveva sonno eppure la sensazione di rischio, con un misto di paura, che l'aveva afferrato mentre leggeva il racconto di quella lontana insurrezione parigina, non lo abbandonava. Pensava al pomeriggio dell’indomani, quando avrebbe conosciuto una persona nuova.
Era tornato da Clotilde con mille domande.
-Conosco uno che sa parlare meglio di me. Lui può spiegarti le cose che vuoi sapere perché una volta faceva il professore.-
-Un professore?-
-Si. L'hanno cacciato dalla scuola e l'hanno messo in galera. Non è ignorante come me.-
-Nessuno lo verrà a sapere. Ti prego, mandami da lui.-
-Aspetta.-disse Clotilde e prese un foglio di quaderno. Lentamente scrisse qualcosa e piegò il biglietto in quattro.
-Tieni. Portagli i miei saluti, ho sentito dire che è stato in ospedale. Digli che lo vado a trovare appena posso.-

Cosa gli dico? Cosa gli chiedo? E se faccio una figuraccia? Questo è un professore, mica è Clotilde.

Sollevò il volumetto e provò a leggere le ultime righe della pagina. Lo stancava leggere in francese, ma la biblioteca di Villa Riva era zeppa di libri francesi portati dal nonno che andava sempre a Parigi. In famiglia dicevano che avesse l'amante laggiù. E si sapeva anche il nome di quella signora, ma nessuno l'aveva mai pronunciato.
Giovanni s'immaginò sulla barricata, insieme a Marius e Enjoras, a fronteggiare l'assalto. Di chi? Chi erano i nemici?
E gli ritornarono nelle orecchie le parole di Clotilde.

C'era lo sciopero e i fascisti proteggevano i crumiri che arrivavano col treno da via. Poi occuparono il Comune e la Guardia Regia lasciò che dessero fuoco alla Casa del Popolo e i padroni licenziavano quelli iscritti alla Camera del Lavoro...

A Giovanni vennero in mente le parole di suo padre, una delle rare volte in cui aveva parlato di politica.
-La lotta di classe si abolisce o con la forza oppure migliorando la vita della gente. Finché l'operaio vedrà in noi borghesi il  nemico, non ci sarà niente di buono in questo mondo.-

"Forse ha ragione. Perché combattersi e odiare, se le ragazzette i garzoni di cui parla Clotilde potessero andare a scuola, l'ignoranza e l'odio...Come ha detto il Podestà quel giorno?-La rivoluzione delle Camicie Nere ha messo fine agli odi che turbavano la vita operosa del popolo italiano. Oggi ci presentiamo davanti al mondo uniti e fieri della nostra storia...-“

…il Piave mormorava...e tutti cantavano, anche Giovanni, anche la mamma avevano cantato l’inno della Patria in pericolo. Giovanni allora aveva guardato suo padre e s'era accorto che muoveva soltanto la bocca, era come se facesse per finta. S’adeguava a tutti gli altri. Perché le cose che voleva chiedere allo sconosciuto non poteva domandarle a suo padre? Chiuso nello studio, a quell'ora Elena era già a dormire, Alfonso Riva preparava la difesa per un commerciante di granaglie e Giovanni lo vedeva mentre consultava i volumi spessi, pesanti, dove le leggi parlavano chiaro e tondo.

Vogliono che studi giurisprudenza. All'Università dovrò imparare il diritto e i codici. Il diritto? E dov'è il rovescio del diritto. Non si deve rubare, questo dice il diritto. Si ruba: è questo il rovescio del diritto. L'onestà è per tutti uguale. Il povero e il ricco, tutti e due possono essere onesti. Ma il furto? Se un ricco ruba c'è un motivo, se il povero ruba è perché non ha niente. E se il ricco ruba lo fa per accrescere la sua ricchezza. La ricchezza può permettere onestà e disonestà. La povertà invece deve imporsi l'onestà. Ecco, questa è la differenza. Io posso scegliere. Agnese, a lavorare in questa casa c'è venuta di sua volontà? Non credo. Quel giorno aveva paura e io le ho passato il piatto e lui mi ha detto -tu che c'entri?-. E se mi dicesse la stessa cosa? Se mi rispondesse: pensa a studiare, a farti una carriera. Devi consolidare la nostra ricchezza. La differenza che ti permette oggi e domani di vivere bene, da ricco.

Giovanni s'avvicinò alla finestra e guardò il viale illuminato e deserto, la città s’era addormentata. Solo  rumori leggeri e tenui si udivano dalla lontananza del mondo.

Armando Parenti abitava in periferia e Giovanni s'era fatto un'idea diversa della sua casa. Rimase sorpreso quando si trovò a spingere il cancelletto di una villetta molto più modesta di quella dei Riva, ma certamente signorile. Entrò in un giardino che da tempo non veniva più curato a dovere, le erbacce crescevano un po’ dappertutto e si accorse che gli scuri alle finestre erano chiusi. Giovanni temette che il professore non fosse in casa.
-Pazienza.-mormorò già deluso. Picchiò sul portoncino e attese.
Udì qualcosa muoversi dietro la porta, era come se qualcuno trascinasse un sacco.
Il portoncino si aprì lentamente e Giovanni si trovò davanti a un uomo di alta statura con il viso incorniciato da una barba bianca e selvaggia. Gli occhi malati dell'uomo osservarono il ragazzo.
-Mi manda Clotilde.-disse Giovanni, senza presentarsi.
Parenti continuò a guardarlo, non manifestava un particolare interesse per quel nome.
-Ecco, le manda questo.-disse ancora Giovanni e cavò di tasca il foglietto di quaderno sul quale Clotilde aveva scritto "Vuole parlare con te, a presto. Clotilde".
Parenti non sollevò la mano per ricevere il foglietto.
-Come ti chiami?-mormorò.
-Giovanni. Giovanni Riva.-
Negli occhi di Parenti qualcosa cambiò. Lentamente sollevò il braccio e prese il foglietto: lo guardò appena. Si scostò dalla porta e fece passare Giovanni, poi s'incamminò in un ambiente oscuro e introdusse il ragazzo in quello che una volta era stato il salotto della casa. Una lampada illuminava debolmente la stanza e le finestre erano sprangate. Giovanni notò il cuscino giallastro gettato su un capo del divano e la coperta in terra, pensò che il professore non abbandonasse mai  la stanza. Respirava non solo odore di chiuso, ma anche di urina. Parenti si lasciò cadere sul divano, Giovanni rimase in piedi davanti al vecchio che non sollevava il capo e guardava il pavimento polveroso fatto di antiche piastrelle decorate con disegni floreali. C'era un ritratto alla parete, proprio sopra il mobiletto su cui era posato il lume. Una donna che a Giovanni parve molto bella, si riparava dal sole con l'ombrellino bianco.

La signora con l'ombrellino

Parenti sollevò il capo.
-Spostati, vai alla luce. Voglio vederti bene.-disse.
Giovanni fece un passo alla sua destra.
-Ancora.-mormorò Parenti.
Giovanni ebbe voglia di fuggire. Parenti gli faceva paura, era la stessa angoscia che l'aveva assalito nei vicoli del Borgo Vecchio. Ubbidì.
-Tu sei il figlio di Alfonso Riva. Assomigli a tuo padre.-disse Parenti. S'era raddrizzato sul divano e osservava attentamente il ragazzo.
-Lei conosce mio padre?-
Parenti rispose con un gesto indecifrabile.
-Come fai tu, a conoscere Clotilde?-disse con voce più chiara.-Clotilde che mi manda il figlio dell'avvocato Riva, il nipote di Giulio. Che succede?-
Parenti tentò di ridere con un sinistro gorgoglio.
-Come sta tuo padre?-
Giovanni trovò la forza per rispondere.
-Bene. Non pensavo...-
-Non pensavi che uno come me conoscesse tuo padre? Eravamo amici. In gioventù eravamo amici. Cercai di convincerlo, di portarlo dalla nostra parte. Non ci fu verso. E' sempre taciturno?-
Giovanni assentì, cercò di sorridere.
-Ho il dovere di pensare che l'avvocato Riva non sappia nulla della visita di suo figlio al sottoscritto. Che vuoi da me? Ho poco da vivere. Quì.-Parenti si toccò la pancia-Ho un male quì. E Clotilde, è sempre bella? Dopo la morte del marito le chiesi di venir via con me. L'avrei portata a Ginevra, a Parigi. Non volle. Era troppo innamorata di Mario.-
Chiuse gli occhi e gocce di sudore comprvero sull'ampia fronte del vecchio. Giovanni si guardò attorno, sarebbe stato facile raggiungere la porta e andarsene.
-Che cosa vuoi? Sbrigati, tu e io abbiamo poco tempo. Lo sai cosa succede nel mondo?-
Parenti aveva parlato tenendo gli occhi sempre chiusi e con una voce tanto chiara da mettere  brividi nella schiena di Giovanni.
-Bruciano i libri...Vi riempiono la testa di balle. Il popolo di Hegel che brucia i libri.-
Parenti spalancò gli occhi.
-E' terribile!-
Giovanni aveva sentito dire che in Germania si bruciavano i libri degli ebrei.
-Vi fanno crescere stupidi. Vi metteranno una divisa e avanti per due...March.-
-Ma l'Abissinia ci provoca in continuazione.-rispose Giovanni.
Parenti lo guardò.
-Non venire in casa mia a dire coglionate.-

Ora mi caccerà. Sono uno stupido, che m'importa dell'Abissinia?

-Lo dicono tutti.-disse Giovanni, Parenti aveva chiuso di nuovo gli occhi. Giovanni trovò la forza per continuare.
-A me però non basta. Non so bene...La signora Clotilde l'ho conosciuta per caso e...dice di essere ignorante. Ha detto che uno come lei può spiegarmi meglio...-
-Ignorante Clotilde? Ma che balle mi vieni a dire? Un giorno saranno le donne come Clotilde a dirigere questo mondo. E sarà la vendetta sociale...Mi capisci, ragazzo? La vendetta sociale...-
Un violento colpo di tosse interruppe Parenti. Continuò a tossire e le guance gli divennero lucide e quasi viola, le labbra invece erano bianche. Parenti s'abbandonò esausto contro la spalliera del divano.

Questo mi muore davanti. Che faccio?

Giovanni fece un passo, si avvicinò al vecchio. Parenti spalancò di nuovo gli occhi e con un balzo gli afferrò la mano destra. La stringeva con una forza insospettabile.
-Mi hanno detto che debbo morire. Devi dire a Clotilde che venga presto, e tu...Tu devi aver paura di venire qui. Sospetteranno di te, là fuori c'è qualcuno. Mi spiano! Diranno che sei un nemico. Ti impediranno di andare a scuola. Disonori la tua famiglia. Attento! Diranno che sei un nemico della patria...-
Parenti lasciò andare la mano di Giovanni che fece un passo indietro: l'alito fetido del vecchio gli dava la nausea. Si spostò ancora, deciso a fuggire e a non tornare mai più.
-Vai.-disse Parenti.
Giovanni tentò di mormorare qualcosa che somigliasse a un saluto, poi voltò le spalle e fece per uscire dalla stanza.
-Aspetta!-la voce di Parenti lo immobilizzò.
-Se non hai paura, torna. Decidi.-
Giovanni si volse con un brusco movimento del capo, Parenti lo guardava e sorrideva. Gli parve di vedere il Demonio.

Fuori c'era il sole.
Giovanni montò sulla bici e pedalò forte.
E mentre correva  non si curava dei carri, delle rare automobili che incontrava.

Catacombe. Sono tutti morti e io ora porto addosso la stessa puzza.

Dovette rallentare e fermarsi, c'era una vecchia fontanella e andò a bagnarsi la fronte e poi tutto il viso. Montò di nuovo in bicicletta e sentiva la frescura dell'acqua che lo rinfrancava. Poi la paura gli serrò il petto.

Era sorvegliata quella casa? Seguiranno anche me, rovinerò mio padre e mia madre...Clotilde. Si soffoca in casa sua e la puzza del vicolo è come quella del vecchio.

Ora sentiva solo tristezza e vuoto dentro di se. Quando giunse a Villa Riva si precipitò nella sua stanza per gettarsi sul letto senza nemmeno togliere le scarpe. Guardava il soffitto bianco.

Debbo smetterla, lei potrebbe essere mia madre.

Il ricordo del seno di Clotilde stretto al suo petto lo sconvolse. Ma si pentì.

Anche lei è triste. Tutta questa gente è triste. Lavorano, lavorano, lavorano. Solo quello. E se fosse per loro ci caccerebbero da questa casa. Un giorno saranno quelle come Clotilde a comandare? Spero che non venga mai...La vendetta sociale. Sono ignoranti, che fine faranno i libri di nonno Edoardo in mano a loro? E i quadri degli antenati? Sono tristi. Sono tristi anche quando urlano. Le bambine nei sottoscala urlano quando giocano. Per questo è venuto il fascismo, per impedire che la loro tristezza ci stringa il cuore. Ci sono voluti i morti. Zio Giulio ha ragione: i morti ci sono voluti per non diventare come loro. Tutti. Mio padre conosceva il vecchio? Non ha mai parlato di questo Parenti. E mio padre? Non canta la canzone del Piave...muove solo le labbra, parla poco. Ha paura? Di chi ha paura? Anche lui è triste. Perché? Cosa non ha?

Si sollevò dal letto e sentì gran debolezza nel corpo e voglia di cibo. Animalesca voglia di mangiare. Poi mosse qualche passo nella stanza e si avvicinò alla scrivania dov'erano posati i suoi libri. Il greco da ripassare, fisica, chimica, gli Inni Sacri.
Sedette e aprì il libro degli esercizi di greco.

Se continuo di questo passo mi rimandano a settembre e papà non me lo perdonerà mai. Se mi bocciano me ne vado in Africa e cerco fortuna. Non mi lasceranno mai andare in Africa. Se mi bocciano addio vacanze, la mamma ha detto che vuole affittare una villetta in Romagna. Sarebbe bello andare al mare quest'anno. Si va in spiaggia, si fa amicizia. E' tempo. E' tempo che mi trovi una ragazza. E tutte le stranezze finiranno. Al mare tutti sono più liberi, un gelatino e di sera si va in spiaggia. E la mattina a comprare il pesce, quello di prima qualità che piace tanto alla mamma. E' bello quando tornano i battelli dal mare aperto, i pescatori scaricano il pesce e gridano ai turisti. Le ragazzette con le gonne più corte aiutano i padri.

I segni, le parole dell'antica lingua di quei naviganti del Mediterraneo gli parve che potessero rivivere urlate dai pescatori, dalle donne, dai bambini con la pelle già cotta dal sole. Come quelli di Chioggia.

Quanti anni sono passati? Otto. La bambina si prese uno schiaffone dal padre perché non era svelta a lavorare. Io ero più piccolo di lei, guardai la mamma mentre quella piangeva, mamma parlava con zia Ida delle triglie. Di come si cucinano bene le triglie col prezzemolo e l'aglio.

Udì dal salotto una canzone, veniva dalla nuova macchina meravigliosa.

A quel tempo non me la ricordo la radio.

Udì ancora dei passi davanti alla porta della stanza.

E' Agnese. I libri bruciati. Perché? E io...

Non gli interessava più quel greco scritto e stampato sul libro di scuola. Era un muro.
E il muro cadde, si sgretolò davanti ai suoi occhi e mano a mano che gli alfa, gli omega, gli omicron venivano giù, apparivano sulla pagina bianca un giardino e due bambini. Correvano e si chiamavano.

Che tristezza quel giorno, quando è venuta la principessa. Berto in fila insieme a noi non ci poteva stare. E' rimasto dentro, solo. Chi è oggi, Berto? Abbiamo la stessa età. Forse è come suo padre, solo un po' più giovane. I contadini ti guardano e ti pesano. Sembra che ti prendano in giro. Lo sanno quando sta per venire la pioggia e il vento che porta la primavera. Io, cosa direi a Berto? Ti ricordi di quando abbiamo giocato insieme con i miei cavallucci e mi hai prestato quello che t'aveva fabbricato tuo nonno. Questo direi a Berto, e lui, se ne ricorderebbe? Eravamo bambini. Uguali. Oggi siamo diversi. Perché non potrei parlare a Berto, perché staremmo zitti a guardarci come un terrestre e un lunatico? Perché? Perché? Il vecchio ha detto -torna se non hai paura. E io ho paura. Eppure ci vado dal vecchio. Domani. No, domani non posso. Clotilde sarà contenta. Si, io ci torno da Parenti e lo starò a sentire. Poi, poi deciderò.

-Elena ho bisogno di un consiglio.-
-Dimmi.-
-E' morto il Professor Parenti.-
-Non lo conoscevo. Dove insegnava?-
-Non insegnava. Non insegnava più. Era stato allontanato.-
-Ah...E tu...-
-Avevamo studiato insieme al liceo, lo persi di vista e lo incontrai a Torino negli ultimi anni dell'Università. Era diventato un estremista. Anch'io, anch'io…te l'ho raccontato…ero affascinato dal socialismo. Ma Parenti andava oltre, s'era impegnato, aveva conosciuto una donna più anziana di lui, molto bella, che l'aveva influenzato. Si sposarono, ma lei morì dopo pochi anni di matrimonio. Nel Venti, mi pare. Seppi che Parenti era diventato comunista e per questo fu espulso dall'insegnamento. Viveva di lezioni private, era un grande appassionato del Rinascimento. Una mente. Si è rovinato in quel modo. Ora c'è il problema del funerale.-
-E tu vorresti andare?-
-Io potrei andare.-
-E in tribunale? Che diranno in tribunale se vengono a sapere che sei andato al funerale di un sovversivo? E Giulio?-
-Di quello che pensa Giulio, lo sai... Ma forse per il tribunale hai ragione.-
-Ma perché non mi hai mai parlato di Parenti? Troppo spesso sei un enigma.-
-Sono fatto a modo mio.-
-Allora, che farai? In fondo, cosa possono dirti? Un'amicizia è solo un'amicizia. Non ti sei mai compromesso tu, e hai la tessera.-
-Già, la tessera...-
-Ma che ti succede? Sento i discorsi che fai con Giulio, non mi pare che tu...-
-Non ho niente, non ho niente. Non mi piace se penso al futuro, a quell'Hitler, ai pericoli. Ce n'è bastata una di guerra e si potrebbe vivere in pace, e invece tutti sembra che aspettino qualcosa. Forse sono io, forse sono io che avrei dovuto nascere un secolo fa. A quest'ora sarei già sotto terra e chi s'è visto s'è visto.-
-Non voglio ascoltare! Che farai con questo funerale?-
-Non lo so. Ci penserò.-
Giovanni, non visto aveva spiato il dialogo fra i suoi genitori, e alla tristezza per la morte del Professor Parenti ora s'aggiungeva l'altra tristezza di osservare quei due esseri a cui doveva  la vita e che un giorno avrebbe visto morire, starsene così in salotto a valutare indecisi cosa era più opportuno fare. Presi dai dubbi i suoi genitori erano ormai differenti da lui che al funerale di Parenti invece ci voleva andare.
-No.-aveva detto Clotilde-I sacrifici inutili non servono a nessuno. Le spie non mancano mai quando uno dei nostri se ne va all'altro mondo.-
-Vorrei portare dei fiori.-aveva insistito Giovanni.
-Ci andrai. Fra qualche giorno ci andrai, sulla tomba del povero Parenti. Per ora tieniti fuori. Te lo chiede il partito.-

Il partito. E' quell'unione di uomini e donne che lotta per il rovesciamento dell'esistente. E io ne faccio parte. Il partito è più importante di me, dei fiori, di Clotilde, di Tunin e dello stesso Parenti che è morto. I libri, i libri di Parenti non li deve trovare nessuno. Controllerò se sono ben nascosti. Se quel baule se lo son proprio dimenticato.

Era tornato a trovare Parenti e lui l'aveva accolto in silenzio, a Giovanni era sembrato che il professore respirasse con meno fatica.
-Li avevo preparati nel caso...-aveva detto, poi s'era disteso sul divano. Giovanni aveva preso uno sgabello e seduto accanto a quell'uomo aveva ascoltato nomi di persone di cui ignorava l'esistenza.
Da Parenti aveva sentito per la prima volta nomi di un certo Amedeo Bordiga, di un altro che si chiamava Antonio Gramsci e che ora stava rinchiuso in un penitenziario. L'Unità era il titolo di un giornale che un tempo si stampava nella vicina Torino. Ora non si poteva leggere e averlo tra le mani, solo tenerlo in casa voleva dire guadagnarsi la galera.
E Parenti gli aveva spiegato cosa era avvenuto in Russia e perché era stata inevitabile quella rivoluzione. Anche della guerra avevano parlato, di quella guerra terribile, così diversa dalle altre del passato.
-Non ho molto tempo.-aveva detto Parenti la terza volta che Giovanni era andato a trovarlo.-Quei libri, li hai letti?-
-Li sto leggendo. Debbo farlo di nascosto.-
-Certo. Stai attento. Sono importanti i libri. Forse li hanno fatti sparire dalle biblioteche...-
S'era messo a tossire e Giovanni questa volta l'aveva tenuto sollevato per aiutarlo a respirare.
-Sta per venire anche Clotilde.-aveva detto Giovanni e Parenti con gli occhi chiusi aveva risposto che li ringraziava  per quello che facevano.
-Il ritratto di mia moglie...Lo vedi? Staccalo dal muro, mettilo vicino alla luce. Voglio vederla bene.-
Clotilde era arrivata pochi minuti dopo, aveva lavato Parenti e gli aveva fatto un'iniezione. Era rimasta a tenergli la mano sino a quando l'effetto della morfina aveva sprofondato il professore in un sonno profondo.
-Vai, starò io con lui. Non preoccuparti.-aveva detto a Giovanni.
Quando il ragazzo era partito, aveva pianto perché sapeva che un altro compagno lasciava questo mondo. E tutti gli anni le erano pesati addosso. Se pensava a Giovanni, nel cuore si apriva una speranza, ma la spina non cessava di pungere e far sanguinare.

Cosa sarà di lui, se lo scoprono?

La notte seguente il professor Parenti era spirato.

-Cosa possiamo fare?-
Clotilde toglieva gli spilli dopo aver imbastito i bordi di una giacca. Al funerale di Parenti, Clotilde aveva incontrato i vecchi compagni e uno di loro gli aveva detto:
-Bisogna raccogliere i soldi per Cesarina Perotto, le hanno dato il permesso finalmente. Ma con quali denari ci arriva fino all'isola dove sta  il marito? E con tre bambini.-
Clotilde si tolse uno spillo che teneva fra i denti.
-Sono loro che comandano oggi. Ma noi dobbiamo far conoscere le nostre idee. Sono sempre i poveri che pagano il prezzo della guerra e in fabbrica nessuno si muove perché hanno paura. E non dobbiamo abbandonare i compagni.-
-Che vuoi dire?-
Giovanni stava in piedi davanti a lei che non sollevava gli occhi dal suo lavoro.
-C'è una compagna che ha bisogno di soldi per andare dal marito in prigione su un'isola della bassa Italia.-
Clotilde s'era un poco piegata sulla stoffa per via di uno spillo che non voleva venir via.
-Tu puoi trovare un po' di soldi? Ha tre bambini. Ho raccolto un po' di denaro fra i compagni, ma non basta. Se riusciamo a mandare Cesarina dal marito tutti sapranno che il partito esiste e non si perderanno di coraggio.-
-Va bene.-disse Giovanni-Troverò io il denaro.-

Pedalava lentamente per il viale che costeggiava il lungofiume, tre operai piazzavano la nuova ringhiera in ferro battuto. La vecchia Torre dell'Innamorato osservava il lento scorrere del fiume nel pomeriggio primaverile. Giovanni smontò dalla bici e si fermò a guardare il fiume, la Torre e gli operai.

Ora mi sono impegnato e non posso tornare indietro.  I miei risparmi non bastano. C'è una soluzione però.

Sentì qualcuno che lo chiamava.
Erano due suoi compagni di scuola che passavano in bicicletta, li salutò sollevando in alto il braccio. Un operaio, il più giovane dei tre, lo osservava e sorrideva.
-Bella la vita, eh.-disse rivolto al suo compagno e con un cenno del capo indicò Giovanni. L'altro gettò un'occhiata al ragazzo e continuò a lavorare. Giovanni, come una ferita, sentì su di se il sorriso, l'ammiccare e forse l'invidia del giovanotto.
Salì sulla bici e s'allontanò in fretta.
La soluzione, l'unica per aiutare Cesarina Perotto, era rubare.
Giovanni superò la porta di casa deciso a compiere il furto in più occasioni, nel giro di una settimana pensava di mettere insieme i soldi necessari.

E se scoprono qualcosa? A chi daranno la colpa?

Avrebbero accusato Agnese, Armandina l'avrebbe picchiata e  cacciata dalla Villa. Salì le scale lentamente, non era più così certo di voler compiere quel furto.
A cena Giovanni fu servito da Agnese, guardava la ragazza  andare e venire dalla cucina. Da sua madre seppe che l'indomani c'erano visite.
Agnese ritirava i piatti, ormai era lei la donna della casa. Armandina si limitava a trasmettere gli ordini della signora.
Giovanni guardò sua madre e  si chiese dove fossero i soldi.

Voglio rubare e non so nemmeno dov'è il denaro. Ci sarà certamente un portafoglio.

Elena disse qualcosa a proposito della domenica seguente.

La inganno come un mascalzone.

Li avevano invitati a una passeggiata sulle colline.
-Vengono i Cristoferi.-disse Elena.
Giuseppina Cristoferi, unica figlia del Colonnello Cristoferi, aveva la stessa età di Giovanni. Giuseppina, dai lunghi capelli neri e il seno già di donna.
Agnese entrò in sala. Giovanni catturò lo sguardo di lei mentre attendeva il cenno della signora. Si udì il rumore della porta di casa che si apriva e passi nel salone d'ingresso.
-Tuo padre aveva telefonato per dire che avrebbe fatto tardi stasera.-
L'avvocato Riva comparve sulla porta della sala.
-Avete fatto bene a far cena. Ho avuto una giornata assai complicata, ho bisogno di certe carte. Fammi portare un brodo caldo, per favore.-
Baciò sua moglie sulla fronte e in fretta si ritirò nello studio.

Il rumore di qualcosa che cadeva sul pavimento proveniva dall'interno della sua stanza. Giovanni tese l'orecchio, dal basso giunsero le chiacchiere di Elena con le amiche.
Posò la mano sulla maniglia dicendosi che stava perdendo tempo prezioso: quello era il momento buono per cercare i soldi con calma.
Chi trafficava a quell'ora nella sua camera?
Era tornato dal campo di calcio, c'erano agli allenamenti per la partita dell'indomani, e s'era fermato un momento a salutare. Scusandosi con le signore, aveva detto che doveva correre a studiare. S'era fermato davanti alla porta della sua stanza a riflettere e trovare il coraggio di compiere qualcosa che non avrebbe mai pensato di fare.

Non ho mai visto questa Cesarina Perotto e mai la conoscerò. E lui? Sta sull'isola in prigione. Saprà mai che il denaro per pagare il viaggio a sua moglie e ai figli è arrivato da un giovin signore della classe borghese che il comunismo vorrebbe abolire?

Giovanni sorrise divertito per quel gioco un po' strano. Ma subito avvertì un senso di vuoto nel petto. Eppure doveva portare sino in fondo ciò che aveva deciso di fare. Entrare nella camera  dei suoi genitori, cercare il denaro e prenderlo. Avrebbe aperto i cassetti e rubato i soldi, non per pagarsi una donna, come facevano i suoi amici, ma per aiutare una sconosciuta con tre figli e il marito lontano.
E ora questo rumore inatteso.
Spinse leggermente la porta e vide Agnese, gli volgeva le spalle.
La ragazza si volse di scatto.
Posò il libro sulla scrivania e chinò il capo. Era tutta rossa in viso. Giovanni fece un passo verso di lei.
-Non dica niente alla signora. Per piacere.-
Agnese piangeva. Giovanni guardò il libro posato sulla scrivania.
-Ti interessano i miei libri?-
Agnese non rispose.
-E' tuo, te lo regalo.-
Agnese piangeva più forte, i singhiozzi le scuotevano il petto. Giovanni cercò un fazzoletto e prima che lei potesse cavar di tasca il suo, la costrinse ad accettarlo.
-L'ho sentita parlare ad alta voce in quella lingua strana e m'è venuta la curiosità...Non dica niente alla signora.-disse Agnese mentre si soffiava il naso.
-Ti ho detto che è tuo.-
Giovanni le porse il libro.

Ma che faccio? Le regalo un libro di lingua greca che non potrà mai leggere? No.

Sapeva che Agnese stava per fuggire.

Lei ed io siamo diversi.

In lontananza, le chiacchiere delle amiche di sua madre.
-Molto tempo fa, in un posto che si chiama Grecia, scrivevano così.-
Giovanni sfogliò il libro.
-Guarda.- e mise la pagina sotto gli occhi di Agnese.-Questo significa uomo, e questo donna. E Dio. E poi di nuovo uomo e donna.-
Il suo indice vagava da una parola all'altra. Agnese seguì lo strano percorso. Sentì in lei una grande tristezza.
-Io non so niente...-mormorò-Non lo dica alla signora.-
-Sai leggere?-
Agnese scosse il capo.
-Per niente?-
-No, per niente no. Faccio fatica.-
-Posso insegnarti.-
Agnese stava con gli occhi piantati su un punto imprecisato di una piastrella.
Si udì la voce di Armandina.
-Posso...-disse Giovanni, ma Agnese  che aveva già raggiunto la soglia della stanza, si volse e gli sorrise.                         

Stava ad ascoltare me che ripetevo il greco e io non la degnavo di uno sguardo.

Il denaro era nel cassetto di sua madre. Prese solo due biglietti: nel giro di una settimana avrebbe portato a Clotilde la somma necessaria.
Giovanni si svegliò ch'era ancora buio, guardò l'ora e pensò che quel mattino avrebbe assistito al sorgere del sole.

Lei si alza alle sei.

E pensò allo sconosciuto che aspettava l'arrivo della moglie e dei figli. Dov'era l'isola? Clotilde gli aveva detto che li portavano in mezzo al mare, dalle parti di Napoli.

Ulisse, i pirati, i mercanti, i saraceni. Ne avrà viste tante, l'isola. E adesso  ci mandano i sovversivi. Catene e sangue. Oro, catene e sangue. Questa è la storia. Sfruttati e sfruttatori, è questo il conflitto che libera l'umanità dalle catene. Un giorno gli operai aboliranno lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. E finalmente sarà la libertà. Ma prima la vendetta di classe farà sorgere una nuova storia e un nuovo uomo. Libero.

Giovanni si avvicinò alla finestra. Non ci aveva mai pensato, ma dalla finestra della sua camera poteva vedere lo stanzino in cui dormiva Agnese.

Fra poco si sveglierà e dovrà lavorare al servizio di mia madre, di mio padre, al mio servizio. Perché? Quella libertà che verrà quando il sovversivo distruggerà il potere secolare, cancellerà anche tutto questo. Ma per quanto tempo ancora?

-Agnese. Agnese.-mormorò Giovanni Riva.

Mi piace il suo nome.


(da un'intervista a Giovanni Riva del 1986)

"Diventare antifascista? Era veramente difficile.  Ho sentito nominare Togliatti, Gramsci, Bordiga, Di Vittorio, Terracini,  da Parenti. Illustri sconosciuti. Ma non sto aggiungendo niente di nuovo a quello che altri hanno detto e scritto su quel periodo e sul perché l'antifascismo fosse assai minoritario nell'Italia del ventennio. Puoi andarti a leggere gli atti di quel convegno importante su fascismo e antifascismo. E' del 60 o del 61’?  Saranno ormai vent'anni. Li pubblicò Feltrinelli. Non ricordo bene, scusa. Eppoi tu li conosci. L'ha scritto molto bene Lajolo nel Voltagabbana: uno zio, un amico…qualcuno. Altrimenti venivi abbagliato dalle divise, le canzoni, la scenografia. Era un fatto nuovo. Capisci? Insomma, ci voleva una parola diversa per smascherare l'imbroglio. Come in fondo è successo a me...Con Clotilde. L'incontro con Parenti, dicevo, è stato molto importante. Non ho fatto in tempo a conoscerlo come avrei voluto. Sai, era il tipico rappresentante di quella classe intellettuale di provincia e  di origine borghese che ha scelto il proletariato e  paga di persona. Un animale raro in Italia. Almeno a quell'epoca. Certo, Amendola, Sereni, e su un piano diverso i Rosselli, Lussu. Ma furono pochi. Io? Lasciamo perdere. Ero un ragazzo che non sapeva niente. Lui avrebbe potuto fare una vita assai diversa. L'Università, per esempio. Aveva tutti i numeri per fare il professore universitario, ma Parenti fece una scelta  e gli costò il carcere, l'isolamento e la morte. Con Clotilde a tenergli la mano sino all'ultimo respiro. Quando seppi che con mio padre erano stati amici e di nascosto assistetti alla conversazione fra i miei genitori provai, lo confesso, una punta di disprezzo nei loro confronti. Non avrei dovuto...Parenti mi aveva raccontato molte cose che non sapevo e che non avrei mai potuto conoscere dalla mia famiglia. La guerra, diceva, era stata la grande prova generale del fascismo. Fare la guerra era un buon motivo per mettere in un angolo la classe operaia e il socialismo italiano. La borghesia s'era spaventata dopo il primo sciopero generale e  la settimana rossa, ma allo stesso tempo aveva un grande appetito. I vantaggi potevano giungere da una vittoria insieme a Francia e Inghilterra. Trento, Trieste, le terre irredente: balle per ingannare le mezze maniche e gli idealisti del nazionalismo. Come del resto accade sempre con le guerre e, vedrai, succederà in futuro, quando spero d'esser morto. In realtà mandarono milioni di contadini a farsi ammazzare per riempire meglio le loro tasche e partecipare a un banchetto senza precedenti. Ma non avevano i coglioni e le carte apposto per stare sullo stesso piano di Clemanceau e Loyd George. E Wilson li fregò. E nello stesso tempo qualcosa di straordinario era avvenuto, l'orologio non poteva esser più portato indietro. La guerra aveva cambiato l'Italia. Al pericolo della rivoluzione, la vecchia Italia rispose affidandosi a quella gente nuova, abituata a combattere e senza scrupoli. I fascisti. Quelli che non sarebbero mai tornati a fare gli impiegati diventarono i capi, i gregari, gli intellettuali di Mussolini. Mio zio Giulio era un caso tipico. Avrebbe dovuto cercarsi un lavoro adeguato alla sua classe di appartenenza e prendersi delle responsabilità. Essere insomma, un borghese attivo nella società del tempo. Più comodo per lui e tanti altri, compreso mio padre, ma con molte attenuanti, fu  mettersi una divisa, il teschio degli arditi sul berretto e scorrazzare di notte a dar la caccia ai socialisti. Da Parenti seppi che gli operai avevano resistito, anche con le armi, per non farsi piegare. Ma gli altri erano più forti. Devi sapere che uno come Parenti non era affatto stupito dal fatto che la gente stravedesse per Mussolini. La gente cambia, tienilo bene in testa: questa verità me l'ha insegnata Parenti. Solo in alcuni e precisi momenti della storia avvengono le grandi trasformazioni, quelle che segnano un'epoca. Poi tutto ritorna alla normalità, o quasi. E l'anormalità ero io e altri come me che stavamo maturando in mezzo all'orgia generale per l'impero in Africa. Ma come ho fatto? A volte penso che è arrivato qualcuno da Marte a darci la benedizione. E non ero il solo. Altri casi come il mio, direi fenomeni, accadevano qua e là. Grazie anche al lavoro clandestino, ma per quanto mi riguarda tutto è avvenuto per fatti personali. Dicevamo della gente...E' accaduto lo stesso nel quarantacinque. Anch'io pensavo che fosse arrivato il momento giusto per la rivoluzione. Ma non corriamo troppo. Allora...quando rubai quei soldi dal portafoglio di mia madre e parlai per la prima volta con Agnese, non immaginavo nemmeno lontanamente che piega avrebbe preso la mia vita. Anche se...Anche se, te lo confesso, ero perfettamente cosciente che prima o poi qualcuno avrebbe scoperto tutto."

Quella sera Giovanni sbirciò in cucina. Armandina non c'era e Agnese puliva la verdura. Non gli accadeva mai di metter piede nella vasta cucina di Villa Riva. Si avvicinò ad Agnese.
-Ho deciso.-disse-Ti insegnerò a leggere.-
Il cuore di Agnese cominciò a battere forte.
-La signora...-provò a dire. Stava con i ciuffi di cicoria fra le mani.
-Mia madre non dovrà saperlo. Verrò a trovarti, questa sera.-
-No.-
Agnese scuoteva il capo, lo guardava diritto negli occhi.
-Io non sono come gli altri.-

Ma che vuole da me? E se la madre  mi caccia? Debbo tornare al villaggio. E mia madre? Dio, mia madre ci muore se torno e dico che m'hanno cacciata perché ho combinato un guaio col figlio della padrona. E se con questo mi mette incinta? Dove vado?

E il villaggio le parve assai lontano. Era un mondo che stava lassù, e lei, ne era certa, non ci sarebbe tornata a vivere. Il coraggio le venne di colpo. Era come quella sera, quando aveva fatto il giuramento e aveva sentito il sapore del sangue sulle labbra ferite.
-Va bene.-disse-Tu verrai, ma io terrò un bastone vicino a me e se provi a toccarmi, vedi.-

Gli ho dato del tu. Sono stupida.

-Rimaniamo intesi, allora.-rispose Giovanni, serio. Né la minaccia, né il modo in cui Agnese gli aveva parlato l'avrebbero fatto tornare indietro nella decisione.
                       
-Mare nostrum!-esclamò il professore.
-Roma sconfisse Cartagine e conquistò la chiave del Mediterraneo. Dopo Cartagine fu la volta dell'Egitto.-disse lo studente.
La porta dell'aula si aprì, era il bidello che annunciava  l’interruzione della lezione, studenti e professori dovevano scendere in cortile per ascoltare un discorso del Preside.
Tutti cantarono la nuova canzone.
"Sole che sorgi..."

Che me ne frega del sole e dell'estate. Ho altro da fare. 

Giovanni provò a muovere le labbra, soltanto le labbra, come suo padre.

Agnese se la porta al mare. Certo che se la porta al mare. Saremo ancora più vicini, ma bisogna fare attenzione.

Scendeva quando poteva nello stanzino di Agnese e aveva imparato a camminare come un gatto per non farsi sentire. La sua vita la divideva fra le visite in casa di Clotilde e le lezioni segrete ad Agnese. Armandina era sorda e i genitori dormivano nell'altro lato della Villa.
Agnese teneva la finestra aperta perché quella sera faceva caldo.
Giovanni indicò la Luna che  ora gli uomini potevano guardare con potenti cannocchiali. Le disse che la Luna faceva crescere e abbassare il mare.
Agnese non ci credeva.
-Potrai vederlo quando andremo al mare. Ho letto che nel nord, sull'oceano, il mare si ritira per centinaia di metri. C' un posto, è un antico monastero, che rimane isolato. Una volta al giorno accade questo fenomeno. Si chiama Monte San Michele.-
-Un fenomeno?-
Giovanni tacque.

Le parole semplici.

Rifletteva.
-Una cosa che accade, che è diversa dalle cose di tutti i giorni. E' come quando viene la febbre.-
Agnese arrossì un poco.
-Cos'hai?-
Tenevano una candela accesa sul pavimento e sedevano sulla graniglia dura, vicini, senza toccarsi in quel metro e mezzo di spazio. Agnese piegava le gambe sotto di se e tirava bene la gonna perché lui non le vedesse niente.
-Niente.-rispose Agnese.
Giovanni guardò il cielo. Le stelle e la Luna formavano una geografia sconosciuta. Mondi lontani, uno spazio immenso nel quale per un momento Giovanni immerse i suoi occhi dimenticando tutto quello che c'era attorno a lui. Anche Agnese.

Esiste Dio?

Agnese sentiva che Giovanni se ne andava lontano. Nella serietà del suo viso intuiva qualcosa di segreto. Le insegnava a scrivere, parlava della Luna e delle comete. Eppure non capiva sino in fondo perché veniva quasi ogni sera da lei.
Una sera Giovanni le aveva detto:
-Immagina se ora, nel cielo passasse una cometa. Succedono grandi cose quando passano le comete.-
-Come quando è nato Gesù.-
Giovanni aveva guardato Agnese e la piccola croce che le pendeva sul petto.

Per chi sei morto?

Aveva presto il quaderno e aveva corretto un errore di Agnese, e lei s'era chinata per capire meglio e un ricciolo dei suoi capelli gli aveva sfiorato la fronte.
Ora le loro mani erano vicine. Al chiarore della Luna i volti avrebbero potuto toccarsi, Agnese desiderava che Giovanni prendesse la sua mano. Da quando erano cominciate quelle lezioni notturne e segrete ad Agnese capitava di osservare il cancello della Villa e desiderare di poterlo varcare e perdersi nella città che le pareva immensa.

Mamma, la nonna, le zie sono state sempre lassù, tutta la vita l'hanno passata al villaggio. Tante donne però se ne sono andate. Vivono in America, in Francia. E io? Io non tornerò lassù. Sarebbe bello se mi sposasse e potessimo stare sempre insieme, la sera a guardare i figli che giocano. Sa tante cose e io imparerei da lui. E' timido. Ha paura di me. Possibile?

Questo pensava Agnese prima di addormentarsi e si chiedeva:
-S'è innamorato?-
Allora non riusciva a prender sonno e l'indomani rimaneva strana per tutto il giorno. Le era accaduto poco dopo la fine del suo ciclo mensile e quando Giovanni era venuto a trovarla aveva sentito un brivido prenderla sul petto.
Giovanni le aveva chiesto di scrivere alcune parole su un quaderno e Agnese aveva scritto quelle parole così difficili. Gli errori Giovanni li aveva corretti e le era sembrato che quegli errori gli facessero dispiacere. Agnese c'era rimasta male, non per gli errori, ma per lui che ci metteva tanto impegno a farle da maestro. Un giorno avevano fatto esercizi di addizione e sottrazione.
-Così si contano i soldi.-disse Agnese.
-Si. A me i soldi non interessano.-rispose Giovanni.

Chissà perché? Senza i soldi si patisce la fame.

Giovanni raccontò a Clotilde di Agnese e delle sue lezioni notturne.
-Impara la tua fidanzatina?-gli chiese Clotilde.
Sulle labbra della Vedova Rossa comparve un sorriso divertito. Giovanni, vergognandosi di arrossire, desiderò non aver mai svelato a nessuno il segreto. E insieme fu colto da uno struggimento che non conosceva.

Se lei fosse qui, sarebbe bello. Agnese, la mia fidanzatina? Agnese, mia moglie? Agnese, la madre dei miei figli?

E s'immaginò lui e Agnese nella Villa, in un futuro lontano. I suoi genitori morti da anni e loro già anziani. E questa fantasia si abbatté su Giovanni Riva come una vertigine.
-Cesarina è partita una settimana fa. A quest'ora sarà già arrivata.-annunciò Clotilde, cambiando discorso.
Cesarina Perotto portava cucito nella fodera di una vecchia giacca, un foglio. Con l'inchiostro simpatico Clotilde aveva trascritto un  documento del Komintern sui pericoli di guerra che le era giunto almeno un anno prima. Quel messaggio i confinati l'avrebbero discusso. 
Giovanni desiderava ritornare da Agnese e portarla fuori dalla Villa.

E'come una prigioniera. Debbo vederla alla luce del sole. Basta.

Per la testa gli passò anche l'idea di chiedere a sua madre il permesso di dar lezioni ad Agnese. Forse Elena avrebbe dato il suo consenso, ma certamente avrebbe voluto essere presente. E allora diventava un'altra cosa. Ma portarla fuori poteva, c'erano un milione di scuse da inventare.
Quando Giovanni abbandonò la casa di Clotilde, nella mente della Vedova Rossa passarono tristi pensieri.

Non verrà più a trovarmi.

Cercò di concentrarsi sul filo e sull'ago, strinse forte le dita e la stoffa avrebbe voluto lacerarla in mille pezzi, l'avrebbe gettata dalla finestra e a quelli del vicolo con il naso all'insù avrebbe gridato:

Nessuno ha il diritto di tenermi prigioniera!

Con l'ago si punse e macchiò di sangue la stoffa bianca.

Non aveva il coraggio di prenderle la mano. Passeggiavano uno accanto all'altra sul lungofiume e Agnese con il viso già di donna splendeva agli occhi di Giovanni.
Tutto era avvenuto in fretta.
Dopo la frase di Clotilde sulla fidanzatina, Giovanni aveva fatto in modo di trovarsi solo con Agnese.
-I cavalieri, le dame di cui ti parlavo sono vissuti veramente. Ti piacerebbe vedere dove abitavano?-
-Si che mi piacerebbe. Ma come faccio? Ho paura.-rispose lei, abbassando la voce.
-Di cosa hai paura?-
Ora anche Giovanni bisbigliava.
-E' capitato solo una volta, sono uscita per accompagnare la signora.-
-Ci daremo un appuntamento. Dobbiamo trovare, inventare, una scusa.-
-Armandina...-
-Armandina è credulona. Non aver paura: ti aiuterò io. Non aver paura.-
E Giovanni andò via. E Agnese rimase con la paura e il desiderio di vedere quelle cose che erano come un mondo di fiaba.
Il giorno successivo, nel pomeriggio, un fatto accelerò i progetti di Giovanni.
Armandina cadde da una panca in giardino e per poco non si ruppe una gamba. Quella sera la signora Elena disse a Giovanni:
-Per favore puoi accompagnare la ragazzina a consegnare un pacco per il matrimonio di Andreina Gastaldi? Ho paura che si perda. Non è mai uscita sola.-
Giovanni riuscì a controllare l'emozione e disse che l'indomani era abbastanza libero per la commissione.
Rispose a sua madre con indifferenza, come se la presenza o meno della cameriera non lo interessasse affatto.
-Potresti offrire un gelato ad Agnese. Poverina, non esce mai, è così pallida. Ma io che ci posso fare? Ho scritto alla mamma che me la porto al mare quest'estate.-
Giovanni avrebbe voluto dare un bacio a sua madre. E sentiva dentro di se il rimorso per le menzogne con cui stava costruendo la sua vita.

Agnese si volse a guardare la Torre dell'Innamorato.
-E' lì che fu rinchiuso. Il barone gli aveva proibito di vedere sua figlia, ma lui non ubbidì.-
-E c'è morto là dentro?-
-No. Anche se da torri come questa era difficile uscire vivi. Gli andò bene. La figlia del barone non l'aveva dimenticato e il vecchio a cui l'avevano data in sposa si ruppe l'osso del collo. Isabella, libera e vedova, fece scarcerare il suo innamorato e segretamente lo sposò. Ebbero cinque figli.-
-Che bella storia...-mormorò Agnese.
-Due figli parteciparono alle Crociate.-
-Le guerre per liberare la Terra Santa. Lo vedi, lo tengo a mente quello che mi racconti.-
-La religione c'entrava poco in quelle guerre.-
-Ma gli innamorati parlavano la lingua che studi tu? Scrivevano gli sgorbi che non riuscirò mai a leggere?-
Giovanni avvertì fra le dita la morbidezza di un gessetto che s'era infilato in tasca dopo l'interrogazione di fisica.
-Non è poi tanto difficile. Guarda.-
Erano accanto alla nuova balaustra di ferro. Giovanni tracciò sul ferro brunito alcuni "sgorbi".
Agnese osservò.
-Che vuole dire?-
-Il prigioniero della torre conosceva la lingua degli antichi e incise queste parole su una pietra, erano per la sua innamorata. Scrisse "io ti voglio bene".-
Giovanni prese la mano di Agnese e l'appoggiò alla balaustra, lei con l'indice seguì le lettere bianche.
-Io ti voglio bene.-mormorò.
Divenne rossa in viso. Guardò Giovanni, lui sostenne lo sguardo. Era la prima volta che gli capitava, non l'aveva mai detto a una ragazza. Agnese sorrise, poi volse gli occhi altrove e Giovanni sentì addosso una paura che non riusciva a capire.
Non sapevano niente dell'amore, ma fu Agnese che  si avvicinò a Giovanni. Si toccarono con le labbra mentre divenivano entrambi di fuoco e il respiro si trasformava in affanno. Giovanni credette di farle male, quando strinse nella sua la mano di lei.
-Dobbiamo andare. E' tardi.-disse Agnese. Un vecchio signore rimase a guardarli per un momento, poi fischiò al suo cane e se ne andò nella direzione opposta.

fine della seconda parte

 

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