domenica 1 febbraio 2015

Noi cambieremo il mondo. Di Stefano Viaggio. Sesta parte. Primo episodio.

 Sibilla
(1949)
Con lo spago o un nastrino rosso?

Non ricorda più com’era il pacchetto delle lettere di Margarethe. Le ha perse quando fuggì su per le montagne, al confine di Francia e Spagna. Neanche quando aveva attraversato la frontiera in Valle d'Aosta, ricordava un freddo come quello patito nella fuga dalla Spagna. Era arrivato a Colliure con i suoi  stracci e le scarpe sfondate. Se lo ricorda ancora il sorrisetto stupido del gendarme. Un tipo proprio francese, con i baffetti e il chepì duro, che sorrideva mentre gli sconfitti si passavano la pagnotta dura e la brocca del latte. Perruchon ancora non si vedeva, Giovanni era convinto che l'avessero preso. E quello non smetteva di sorridere. E allora uno spagnolo, un uomo già anziano, forse un galiziano, s'era rivolto a tutti gli altri e aveva detto:
-Compagni, fatene avanzare un pezzo di quel pane e un sorso del latte che ci danno. Servirà a loro quando verranno i tedeschi.-
Aveva guardato il gendarme.
-Noi abbiamo resistito tre anni ai fascisti. Vedremo se sarete più bravi.-
Il gendarme non aveva capito o aveva finto. Se n'era andato, portando lontano la sua mantellina, il chepì duro e il sorrisetto stampato sulla faccia.
-Chissà che bel posto è diventato Colliure?- s'era chiesto un giorno e aveva detto ad Agnese che avrebbe voluto tornarci.

Non l'ho mai fatto. Nella vita si sprecano le occasioni per star bene. Per essere felici. Anche per un giorno o due. In riva al mare...

Giovanni varca la soglia del cimitero. Il guardiano fa un cenno di saluto.
Giovanni si chiede se l'uomo lo compiange. A poche ore dal funerale è già tornato a trovare Agnese. "Povero vecchio" dirà l'uomo che abita dall'altra parte della strada, a tre passi dal cimitero.
-E' tornata in Germania e i francesi non le rinnovano il visto. Grete era peggiorata. Margarethe doveva tornare per la bambina.-
Le parole di Costantina non le ha dimenticate. Si videro pochi giorni prima dell'entrata dei tedeschi a Parigi. Fu Pietro ad aprir la porta di casa, si abbracciarono. A Pietro veniva da piangere. Era invecchiato e lo guardava con grande rispetto, perché in Spagna Giovanni Riva  s'era buscato un colpo di baionetta. Di striscio, per fortuna. Un graffio.

Un altro graffio. Come quello del Camelot...

L'ha conosciuto bene il compagno che  riuscì a farlo indispettire con la storia del graffio e dei compagni che ci servono vivi! E' morto da un pezzo.
                              
Il ragazzo venne avanti e si fermò al centro della strada, accanto alla colonnina spartitraffico.
I comunisti occupavano Corso Vittorio, sui marciapiedi la gente osservava intimorita e curiosa.
-Vedemo n po' come va a finì sta storia- diceva qualcuno.
Dalla parte di Via del Gesù, cinque camionette della Celere avanzavano con lentezza esasperante; anche i carabinieri prendevano posizione davanti al magazzino delle Sorelle Adamoli. Un vecchio, con l'aria di chi approva, osservava i pochi cartelli salvati alle cariche davanti a Montecitorio.
NO AL PATTO ATLANTICO. VIVA LA LOTTA DEI LAVORATORI GRECI.
Il ragazzo guardò la Celere e poi i comunisti. Era venuto "a Roma" da Tormarancio per manifestare contro "i democristiani zozzi che vonno fa la guera ar compagno Stalin". Si volse di nuovo ai comunisti e gridò:
-Ahò! Che volemo fà?-
Giovanni fu colpito dalla  giacchetta che il ragazzo s'era gettata sulle spalle nude, sotto indossava solo una canottiera logora. Poi anche lui puntò gli occhi sulla Celere. Le camionette venivano avanti, studiavano il momento più opportuno per caricare la folla che cresceva. Giovanni si staccò dai compagni e si avvicinò al pesante autobus, fermo accanto al marciapiede. Veloce, salì i due gradini. L'autista lo guardò incerto.
-Che voi? Nun se po' salì senza bietto.-disse.
-Tu scendi oppure bruciamo l'autobus, con te dentro. Accendi il motore e scendi.-
Giovanni teneva la mano sinistra affondata nella tasca dell'impermeabile, all'autista parve che nascondesse una pistola.
-Ma che sete matti? Quà me sa che scoppia n'altra guera. E' meglio che me ne vado.-
Accese il motore, poi scese dall'autobus, ma non si allontanò di molto, rimase a guardare cosa faceva quello che sembrava un capo.
Giovanni, alla guida del pesante automezzo, incominciò a sterzare. Fece compiere all'autobus i pochi metri necessari per impedire alle camionette di caricare la folla  con un attacco frontale. Il Questore urlò qualcosa, si udì uno squillo di tromba. I celerini e i carabinieri venivano avanti più rapidamente, ma la forza dell'attacco era smorzata dall'ostacolo. Giovanni era sceso dall'autobus.
Vincenzo gli andò vicino.
-E' meglio che ci ritiriamo a Trastevere.-
-Si. Ormai qui è tutto finito. E' inutile far schedare altri compagni.-
Le loro voci furono sovrastate, la folla urlava insulti ai carabinieri. Una bomba lacrimogena cadde a pochi passi dai due dirigenti, Giovanni con un calcio la rispedì contro i celerini che erano ragazzi, spaventati da quel muro compatto di folla che non si muoveva.
-Via gli americani dall'Italia. Viva Stalin!-urlò Giovanni.
Fu a quel punto che un uomo si staccò dal marciapiede: dalla giacca aveva estratto un corto manganello. Rapido si avvicinò a Giovanni, gli assestò un colpo sulla spalla, non forte. Giovanni sorpreso non ebbe la prontezza di reagire e quello lo afferrò sottobraccio.
-Polizia.-disse-Tu vieni con me.-
Ma un calcio di Vincenzo colpì l'uomo alla schiena, dovette abbandonare la presa e Giovanni arretrò di qualche passo.
-Stronzo!-gli urlò, poi si volse ai compagni e gridò ancora-Come i fascisti, fanno come i fascisti.-

bandiera rossa trionferà...

E i colpi secchi, armi da fuoco che esplodevano in aria e urla. Altri celerini s'erano aggiunti a quelli delle camionette e l'ufficiale con l'elmetto ordinò la carica.
                             
Ma si, come la Grecia...Facciamo anche noi come in Grecia...

Ora la spalla gli faceva male. La ragazza che correva accanto a lui ruppe un tacco della scarpa, poco mancò che scivolasse lunga sul marciapiede. Riuscì a tenersi in equilibrio e si tolse l'altra scarpa, correva a piedi nudi con le scarpe in mano. Come una  abituata sin da bambina ad andar per i campi. Da un vicolo laterale altri celerini sbucarono agitando i manganelli, avrebbero chiuso in una morsa chi fuggiva lungo Corso Vittorio per fermare e schedare più comunisti che potevano.
Vincenzo urlò.
-Vieni! E’ aperto!-
Giovanni vide il pesante portone socchiuso e si mosse per mettersi in salvo, la ragazza esitava a pochi metri da lui. Giovanni la prese per un braccio e la tirò via.
-Vuoi passare la notte in gabbia?-le disse.
-Non vedo nessuno.-rispose lei correndo.
-Attenta ai piedi. Nessuno chi?-chiese Giovanni, avevano raggiunto l'androne del palazzo.
-I miei compagni.-
-Se ci hanno visto è finita. Dai!-urlò Vincenzo. Con un salto fece tre gradini, Giovanni prese la ragazza per mano e la tirò con se. Dopo una rampa di scale sentirono le voci dei celerini ormai nell’androne del palazzo, qualcuno bestemmiava.
-Sono saliti.-disse un altro.
-Avanti!-ordinò il graduato.
Giovanni, Vincenzo e la ragazza fermi sul pianerottolo guardarono in basso, quelli salivano con gli scarponi pesanti.
-Pazienza.-disse Vincenzo, la ragazza sembrava non aver paura.
Si aprì una porta e un signore distinto apparve avvolto in una giacca da camera color vinaccia.
-Venite dentro.-disse-Sono un compagno. Questi sono capaci di arrestare anche me. Fate presto.-
E fu così che Giovanni conobbe Sibilla.
                            
-Benvenuto Cellini nelle sue memorie racconta di aver ucciso il comandante dei lanzichenecchi che mettevano a sacco Roma, nel millecinquecento...con un colpo d'archibugio. Ma forse se l'è inventato.-
La voce di Vincenzo si allontanò. I compagni gli stavano attorno e quando s'incamminò in direzione di Castel Santangelo, gli andarono dietro ubbidienti.

Come una guida turistica... Che differenza c'è fra me e il parroco che porta i parrocchiani a visitare la città eterna? Ora glielo dico. Ne verranno di parrocchiani. Il Giubileo è vicino…

Giovanni sentì la presenza di Sibilla accanto a se. Non s'era unita agli altri per ascoltare le spiegazioni di Vincenzo, aveva preferito fermarsi a parlare con il compagno che se l'era tirata dentro quel portone il giorno prima. Era venuta a Roma insieme a un gruppo di compagni della zona di Vercelli per seguire un corso sui sistemi di collettivizzazione agricola in Unione Sovietica. Al paese di Sibilla i contadini avevano fondato una cooperativa per sfruttare le terre occupate quattro anni prima, nell'estate del quarantacinque.
Era stato Vincenzo a proporre ai compagni di Vercelli il giro turistico serale e Giovanni, nonostante il dolore alla spalla per la manganellata alla manifestazione, aveva accettato l’invito. Non voleva star solo.
Infilò la mano nella tasca della giacca per cercare le sigarette e  invece trovò il telegramma.

A che ora parte un treno domani mattina? Quante ore? Quali stazioni avranno ricostruito nel frattempo?

La voce di Sibilla lo distolse dal pensiero dell'imminente morte di suo padre.
-Fa ancora male?-
Giovanni accese una sigaretta.
-Vuoi?-ne offrì a Sibilla. Lei scosse il capo.
-Perché? Hai paura. Non siamo quelli che vogliono l'uguaglianza?-disse Giovanni.
-Non lo so, è meglio di no.-
I compagni erano lontani. Sibilla aveva paura delle donne più anziane del gruppo.
-Ho messo la Vegetallumina, mi ha fatto bene.-disse Giovanni.
Sibilla guardò la cupola. Il tramonto romano tingeva il cielo di viola.
-E'bella.-disse-Peccato che è del Papa.-
-Lo sai chi mi ha aiutato a scappare in Francia?-
Lo interrogò con uno sguardo di grande curiosità.
A Giovanni piaceva stare insieme a lei, sul ponte, davanti alla cupola, con quel cielo e le stelle che apparivano e la Luna. A far niente. Nessuna riunione quella sera turbava la pace che gli veniva dalla presenza di Sibilla.
-Un prete.-
Sibilla spalancò gli occhi per la meraviglia.
-Un prete valdostano. Un amico che ha fatto la guerra in Spagna insieme a me, dice che è ancora vivo. E si ricorda di me: per un prete è difficile dimenticare di aver aiutato qualcuno a diventare comunista.-
-Al mio paese il parroco ha aiutato i partigiani, ma quello del paese vicino l'hanno fatto correre perché era una spia. Ora è ritornato.-
Giovanni chinò il capo, avvertì il dolore alla spalla.
-Vorrei andare a trovare Don Veysendaz e anche Perruchon, il mio amico. Mi ha messo in mano una pala e ha detto che se volevo essere un vero comunista dovevo imparare a lavorare. Io non avevo mai toccato una pala: mi chiamavano lo studente. Sapessi, le piaghe...-
Giovanni volse le palme delle mani a Sibilla, quasi per mostrare ancora le cicatrici.
Sibilla si mise a ridere.
-Eppure quella sera mi chiamarono per dirmi che era tutto apposto, che dall'Italia avevano scritto. Ero uno fidato, un compagno. Era stata la mia amica Clotilde.-
Sibilla ancora rideva di lui.
-Tu ridi, ma io divento vecchio.-
-E l'autobus di traverso? Chi ci avrebbe pensato.-
-Cosa pensi di fare nella vita?-le chiese Giovanni.
Lei smise di ridere.
-Mi piaceva fare la maestra. Ma a casa non potevano...e dopo la morte di Matteo, mia madre era sola con i fratelli più piccoli. Per papà la morte di mio fratello è stato un gran colpo. E' cambiato. Il palo dove l'hanno impiccato lo vede ogni giorno quando va a lavorare...-
Stava per piangere. Giovanni ebbe voglia di farle una carezza, Sibilla soffocò il ricordo di Matteo impiccato dopo una notte di calci e pugni. A lei avevano impedito di vederlo.
-Vorrei lavorare per il partito. Non lo so, mi sento piccola quando ascolto storie come la tua, eppure c'è tanto da fare. Ho paura che quelli tornino, quelli che hanno ammazzato mio fratello, voglio dire. Ti ho visto quando hai urlato che sono come i fascisti.-
Giovanni si toccò la spalla.
-Ti fa male?-
-Passerà.-
                        
E invece il dolore non passava. Si mise allora a raccontare la sua vita.
-I compagni quando ritornai in città non mi conoscevano e io non conoscevo loro. Poi, pensa, si diffuse la voce che il figlio dei Riva era tornato e s'era messo alla testa dei comunisti. Gettò scompiglio. Un professore, un popolare che nel diciannove era stato eletto in comune, aveva detto tutto preoccupato: "quando finisce la guerra, se non stiamo attenti questi ci mangiano e ci fumano. Ci portano via i nostri..." Capisci, quel signore era già impensierito. Ecco perché è durata così poco la nostra unità di antifascisti. Sono tornati i vecchi arnesi guidati dagli interessi di sempre. Certo: potrebbe tornare. Potrebbero tornare quelli che hanno ammazzato tuo fratello in quel modo, certo...E io, mentre quel signore si preoccupava, perdevo tempo a spiegare ai compagni che non dovevamo parlare di rivoluzione e di comunismo. Una grande lotta patriottica insieme ai monarchici e ai badogliani...Ci litigavo con i compagni. Ma quand'è che non abbiamo litigato nel partito?-
Era scesa la  notte, Vincenzo e i compagni di Vercelli sempre più lontani.
E mentre le raccontava quelle storie, Giovanni si accorgeva che la guerra, Parigi, il partito di allora, la Spagna e tutto il resto, erano solo una parte della sua vita.
Il ricordo di Clotilde che cuciva nella piccola stanza fredda, la carezza di Costantina dopo la coltellata del Camelot e i capelli di Margarethe...il colore del grano... E la paura per non sapere se avrebbe visto sorgere il sole il giorno dopo. E la morte degli altri. Quel sospiro di liberazione, necessario, perché, nonostante tutto, la pelle l'hai salvata.
-Ma dimmi, cosa volete fare al tuo paese?-
-Organizzeremo meglio la cooperativa.-rispose Sibilla-Il comune è nostro e se riusciamo a mettere insieme la gente, i democristiani ce li togliamo di torno definitivamente. Da noi i preti un po' di forza ce l'hanno ancora. Ti dicevo di quel prete che stava con i partigiani. Che gli vai a dire, adesso?-

E’ bello starla ad ascoltare. E’ tutta futuro.

Gli ricordava Costantina, giovanissima doveva esser stata come lei. I capelli neri come il carbone, tirati su e sostenuti da un fiocco azzurro. E il viso illuminato dal debole chiarore del lampione. Lo sguardo attento mentre spiegava che era meglio un trattore collettivo che tanti aratri vecchi e faticosi.
Costantina era rimasta in Francia e non era più tornata a Parigi, ora viveva vicino Arles. La figlia  s'era già sposata e aveva avuto un bambino.
Le voci dei compagni lo distolsero da quei pensieri. Sibilla si trasse indietro di colpo dal parapetto del ponte, i loro corpi si sfiorarono.
-Ce l'hai un fidanzato?-le disse Giovanni.
Lei guardava i compagni e le compagne con timore, poi lui, così adulto. Così sicuro.
-No...Il fidanzato sarà anche il marito. Per ora non c'è nessuno.-
Sibilla aveva ritrovato nella risposta la paesana sicurezza. Quel controllo di se che aveva saputo mantenere anche quando le si era spezzato il tacco. S'era tolta l'altra scarpa per correre meglio, con un movimento deciso della mano e della gamba. Già si udiva qualcuno che diceva:
-Voi due...-
E Vincenzo dava spago ai commenti di tutti sui separatisti del Ponte Santangelo.
                             
Giovanni le aveva detto che anche lui sarebbe partito per il nord, a causa della malattia di suo padre.
-Passa a trovarci, Vercelli non è lontana.-disse Sibilla.
Le aveva promesso che sarebbe andato a salutarla alla stazione e c'era riuscito.
-Vedrò, con il partito. Vedrò, c'è un sacco da fare...-rispose Giovanni.
Gli altri chiamavano Sibilla sporgendosi dai finestrini.
-Dammi notizie di tuo padre, e di te...Se non puoi venire, scrivi.-disse ancora Sibilla. Giovanni tentò un gesto, forse una carezza o un semplice saluto. Non sapeva nemmeno lui cosa voleva. Le loro mani si toccarono e  Sibilla credette che Giovanni stesse per baciarla.
Quella sera Giovanni prese un treno per il Nord e dopo un lungo viaggio che durò tutta la notte e le prime ore del giorno seguente, giunse in vista della sua città.

Sentiva l'odore della campagna, vedeva con piacere le verdi  colline. Quante volte le aveva percorse in  bicicletta. E più lontano le Alpi: in quella mattinata magnifica si distingueva il Monte Rosa tutto intero. Si chiese se avrebbe trovato il tempo per vedere i compagni, ma subito scacciò questo pensiero.
Clotilde? Sarebbe passato a salutarla.
Due giorni prima Vincenzo gli aveva detto che a suo parere il partito lo avrebbe mandato in Parlamento alle prossime elezioni.

Sarebbe la prima volta. In famiglia nessun deputato, niente senatori. Ora ci penso io, con i comunisti.

Saltò sul marciapiede e afferrò la valigetta, presto raggiunse l'atrio della stazione e s'avvicinò all'edicola.
Posò le monete nel piattino e dispiegò l'Unità, ma sollevò il capo. I titoli del giornale in realtà non lo interessavano. L'edicolante lo guardava come un cliente che non ha terminato gli acquisti.
-Desidera altro?-disse.
-No, no. Grazie.-
Giovanni, infilò l'Unità nella tasca della giacca e prese la valigetta. Resisteva alla voglia di guardarsi indietro; fece qualche passo in direzione dell'uscita, ma dovette fermarsi. Posò la valigia e si volse. Nel vano della porta centrale gli parve di vedere, desiderò che comparisse, una figura che altre volte l'aveva atteso, cercato con gli occhi quando arrivava un treno da Roma.
Ma nessuno si affacciò nel cono di luce. E quell'assenza lo riportò indietro nel tempo: alla fine di un altro inverno di guerra.
                            
Soffiò il fumo verso il soffitto basso, opprimente. Il bavero del cappotto nascondeva il suo viso agli occhi della donna che invece stava accanto al camino. La lampada a petrolio illuminava la sua figura. Il compagno parlò. La donna rispose. Il cuore di Giovanni batteva, correva a precipizio.
-Hai detto che passeranno per Borghetto?-disse il compagno.
-Vanno ad Alessandria.-rispose lei-Sono tre camion di farina e sigarette, ma non debbono arrivare a destinazione. Loro li fanno sparire e poi rivendono tutto. Se arrivate prima, ve li prendete.-
Il reale significato delle parole sfuggiva a Giovanni. Il compagno si volse a guardarlo. Lui non poteva parlare.
-Se ci tiri dentro un pasticcio, un'imboscata, per te è finita. Lo sai?-
-Dovete fidarvi. Oppure rinunciate.-
-La tua osteria è sempre piena di fascisti.-
-Non mi piacciono, ma che c'entra? Io debbo vivere, il vino lo vendo a tutti.-
-E' vero che sei l'amante di Paolieri?-
-A voi questo non deve interessare, eppoi è una bugia. Mi pento quasi di esser venuta: se vi fidate bene, oppure amici come prima.-
Era la voce di una donna che è abituata a tener a bada gli altri. Il compagno si volse a guardare Giovanni, lui gli fece un cenno di avvicinarsi. Parlarono sottovoce.
-Ho detto quello che so. Voglio andarmene, questo posto non mi piace per nulla.-insistette lei.
-Lui vuole parlarti.-
Il compagno in fretta sparì dietro una porticina. Lei fece un passo, avanzò verso Giovanni che intanto s'era levato in piedi.
Era nervosa, fra le mani stringeva i guanti, se l'era sfilati e  li stropicciava.
Invece Giovanni sentì il cuore battere con un ritmo regolare.

Le situazioni da romanzo in mezzo alle tragedie vere.

-Buona sera, Agnese.-disse.
Non poteva vederlo in viso a causa di quell'ampio bavero ben tirato in alto.
-Tu chi sei?-
Giovanni notò il timbro duro, leggermente gutturale, che non ricordava.
-Sei riuscita a imparare il greco?-
Lei rimase immobile, poi si appoggiò con la mano destra allo spigolo del tavolo traballante.  Giovanni  fece un passo verso Agnese e tirò giù il bavero del cappotto. Dopo anni di lontananza le differenze erano evidenti, lei con un bel cappotto ornato di volpe e un cappello dalle falde larghe che le nascondeva i lunghi capelli, lui stretto in un cappottone frusto e pesante. S'era fatto crescere la barba.
-Da quando...-
Giovanni ignorò la  domanda.
-Ho riconosciuto la tua voce. E cambiata solo un poco.-disse.
Avvertiva con fastidio la canna della pistola sotto il cappotto. Giovanni pensò al compagno che attendeva al freddo.
-Siamo diventata grandi.-disse Agnese.
-E' sicura l'informazione?-rispose Giovanni.
-Si...Chi me l'ha passata conosce molte cose.-
-E' il tuo amico. Paolieri?-
Agnese scosse il capo.
-No. Lui non sta più qui, è andato a Milano.-
-Che schifo...-
Agnese chinò il capo.
-Scusami.-disse Giovanni-Non ho diritto di parlarti in questo modo. Mi riferivo al mercato nero, ai fascisti che fanno sparire la merce destinata a loro stessi e poi la rivendono tre volte tanto. Ci sono bambini che hanno fame...-
-Lo so, è per questo che vi ho cercato. Quando finisce tutto questo, Giovanni?-
-Presto. Credo. E' vero quello che diceva il compagno sulla tua...osteria. Se te la fai con i fascisti corri dei rischi.-
-Non è vero. Vorrei raccontarti tutto. Ma tu, come è possibile...-
-Anch'io vorrei raccontarti molte cose. Ora noi ce ne andremo...-
-Ho un permesso per girare dopo il coprifuoco.-
-Come sei venuta sin qui?-
-In bicicletta. Il Gallo, te lo ricordi, non è distante. Cinque minuti. Non temere.-
-Si, certo, ma tu aspetta prima di muoverti. Non far nulla se senti spari o altro. Capisci.-
Agnese assentì. Fece ancora un passo verso Giovanni.
-Non aver paura. Abbiamo preso le nostre precauzioni.-disse lui, le prese la mano e la strinse fa le sue.
-Ti rivedrò?-disse Agnese.
-Lo spero. Non si è mai sicuri...-
-Non dire così. Sono contenta di averti rivisto.-
-Anch'io.-
Rimasero per pochi secondi in silenzio. Il compagno fuori attendeva al freddo. Giovanni abbracciò Agnese, ebbe il timore di pungerle il viso con la barba lunga e dura.
-Scusa.-disse, staccandosi leggermente da lei che aveva posato il capo sulla sua spalla.
-Voglio rivederti, Giovanni.-disse Agnese. Le sussurrò quelle parole. E allora Giovanni riconobbe la sua voce, come quando imparava a leggere nello stanzino di Villa Riva e lui moriva dal desiderio di giocare con i riccioli neri che gli sfioravano il viso.
                            
Il Commendatore sollevò la cornetta.
-Pronto.-
Tossì. Spense la sigaretta nel posacenere.
-Oh, buonasera, è lei. Che mi dice di bello?-
-Giovanni Riva è in città.-
-E da quando?-
-Da stamattina, c'è suo padre che non sta bene, anzi...-
-Mi dispiace per lui. Non ha fatto una bella vita l'avvocato Riva, e con questo figlio...Ma è una visita privata?-
-I comunisti potrebbero approfittare della sua presenza per organizzare qualche manifestazione, un comizio.-
-E va bene. Noi che ci possiamo fare? Siamo in democrazia, o no?-
-Certo, certo. Debbo disporre qualcosa?-
-No. Direi proprio di no. Le normali misure che la procedura richiede in questi casi, poi si vedrà. Il Riva ha incontrato qualcuno?-
-No. E' andato in campagna, i genitori vivono in campagna.-
-E lo zio di Riva, che fa?-
-Niente. Lo vedono al caffè, sembra di cent'anni.-
-Si vergogna. Era un fascistone. E Giovanni Riva non aveva una specie di fidanzata, di amante?-
-Si, ma ci risulta che fra i due è tutto finito. Dall'epoca del trasferimento a Roma di Riva, dopo le elezioni.-
-E che fa questa signora? Si consola?-
-L'Agnese Vairos è la proprietaria della Lampoelettricità...-
-Accidenti! Non me lo ricordavo, tutto apposto?-
-Tutto apposto. Non ho ritenuto di dover raccogliere particolari informazioni sulla signora.-
-Sarebbe interessante invece. Vecchi amori, politica. Voglio dire: contatti...con certi ambienti. I comunisti sono abilissimi nel ficcare il naso anche a casa del Diavolo, o  di Dio. Segua pure questa indicazione. Abbiamo contatti alla Lampoelettricità?-
-I normali contatti che...-
-Attiviamoli. E' meglio mettere orecchi nei salotti che un piantone davanti a ogni sezione del PCI. Non se lo dimentichi.-
-Sarà fatto commendatore.-
-Mi tenga informato. Giovanni Riva è un pesce grosso e domani ce lo troviamo in Parlamento. La saluto.-
-I miei ossequi.-
Il commendatore posò il ricevitore e infilò nel bocchino un'altra Turmac senza filtro.

                             

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