Sibilla
(1949)
Con lo spago o un nastrino rosso?
Non ricorda più com’era il
pacchetto delle lettere di Margarethe. Le ha perse quando fuggì su per le
montagne, al confine di Francia e Spagna. Neanche quando aveva attraversato la
frontiera in Valle d'Aosta, ricordava un freddo come quello patito nella fuga
dalla Spagna. Era arrivato a Colliure con i suoi stracci e le scarpe sfondate. Se lo ricorda
ancora il sorrisetto stupido del gendarme. Un tipo proprio francese, con i
baffetti e il chepì duro, che sorrideva mentre gli sconfitti si passavano la
pagnotta dura e la brocca del latte. Perruchon ancora non si vedeva, Giovanni
era convinto che l'avessero preso. E quello non smetteva di sorridere. E allora
uno spagnolo, un uomo già anziano, forse un galiziano, s'era rivolto a tutti
gli altri e aveva detto:
-Compagni, fatene avanzare un
pezzo di quel pane e un sorso del latte che ci danno. Servirà a loro quando
verranno i tedeschi.-
Aveva guardato il gendarme.
-Noi abbiamo resistito tre anni
ai fascisti. Vedremo se sarete più bravi.-
Il gendarme non aveva capito o
aveva finto. Se n'era andato, portando lontano la sua mantellina, il chepì duro
e il sorrisetto stampato sulla faccia.
-Chissà che bel posto è diventato
Colliure?- s'era chiesto un giorno e aveva detto ad Agnese che avrebbe voluto
tornarci.
Non l'ho mai fatto. Nella vita si sprecano le occasioni per star bene. Per
essere felici. Anche per un giorno o due. In riva al mare...
Giovanni varca la soglia del
cimitero. Il guardiano fa un cenno di saluto.
Giovanni si chiede se l'uomo lo
compiange. A poche ore dal funerale è già tornato a trovare Agnese.
"Povero vecchio" dirà l'uomo che abita dall'altra parte della strada,
a tre passi dal cimitero.
-E' tornata in Germania e i
francesi non le rinnovano il visto. Grete era peggiorata. Margarethe doveva
tornare per la bambina.-
Le parole di Costantina non le ha
dimenticate. Si videro pochi giorni prima dell'entrata dei tedeschi a Parigi.
Fu Pietro ad aprir la porta di casa, si abbracciarono. A Pietro veniva da
piangere. Era invecchiato e lo guardava con grande rispetto, perché in Spagna
Giovanni Riva s'era buscato un colpo di
baionetta. Di striscio, per fortuna. Un graffio.
Un altro graffio. Come quello del Camelot...
L'ha conosciuto bene il compagno
che riuscì a farlo indispettire con la
storia del graffio e dei compagni che ci servono vivi! E' morto da un pezzo.
Il ragazzo venne avanti e si
fermò al centro della strada, accanto alla colonnina spartitraffico.
I comunisti occupavano Corso
Vittorio, sui marciapiedi la gente osservava intimorita e curiosa.
-Vedemo n po' come va a finì sta
storia- diceva qualcuno.
Dalla parte di Via del Gesù,
cinque camionette della Celere avanzavano con lentezza esasperante; anche i
carabinieri prendevano posizione davanti al magazzino delle Sorelle Adamoli. Un vecchio, con
l'aria di chi approva, osservava i pochi cartelli salvati alle cariche davanti
a Montecitorio.
NO AL PATTO
ATLANTICO. VIVA LA LOTTA DEI
LAVORATORI GRECI.
Il ragazzo guardò la Celere e poi i comunisti.
Era venuto "a Roma" da Tormarancio per manifestare contro "i
democristiani zozzi che vonno fa la guera ar compagno Stalin". Si volse di
nuovo ai comunisti e gridò:
-Ahò! Che volemo fà?-
Giovanni fu colpito dalla giacchetta che il ragazzo s'era gettata sulle
spalle nude, sotto indossava solo una canottiera logora. Poi anche lui puntò
gli occhi sulla Celere. Le camionette venivano avanti, studiavano il momento
più opportuno per caricare la folla che cresceva. Giovanni si staccò dai
compagni e si avvicinò al pesante autobus, fermo accanto al marciapiede. Veloce,
salì i due gradini. L'autista lo guardò incerto.
-Che voi? Nun se po' salì senza
bietto.-disse.
-Tu scendi oppure bruciamo
l'autobus, con te dentro. Accendi il motore e scendi.-
Giovanni teneva la mano sinistra
affondata nella tasca dell'impermeabile, all'autista parve che nascondesse una
pistola.
-Ma che sete matti? Quà me sa che
scoppia n'altra guera. E' meglio che me ne vado.-
Accese il motore, poi scese
dall'autobus, ma non si allontanò di molto, rimase a guardare cosa faceva
quello che sembrava un capo.
Giovanni, alla guida del pesante
automezzo, incominciò a sterzare. Fece compiere all'autobus i pochi metri
necessari per impedire alle camionette di caricare la folla con un attacco frontale. Il Questore urlò
qualcosa, si udì uno squillo di tromba. I celerini e i carabinieri venivano
avanti più rapidamente, ma la forza dell'attacco era smorzata dall'ostacolo.
Giovanni era sceso dall'autobus.
Vincenzo gli andò vicino.
-E' meglio che ci ritiriamo a
Trastevere.-
-Si. Ormai qui è tutto finito. E'
inutile far schedare altri compagni.-
Le loro voci furono sovrastate,
la folla urlava insulti ai carabinieri. Una bomba lacrimogena cadde a pochi
passi dai due dirigenti, Giovanni con un calcio la rispedì contro i celerini che erano ragazzi, spaventati da quel muro compatto di folla che non si muoveva.
-Via gli americani dall'Italia.
Viva Stalin!-urlò Giovanni.
Fu a quel punto che un uomo si
staccò dal marciapiede: dalla giacca aveva estratto un corto manganello. Rapido
si avvicinò a Giovanni, gli assestò un colpo sulla spalla, non forte. Giovanni
sorpreso non ebbe la prontezza di reagire e quello lo afferrò sottobraccio.
-Polizia.-disse-Tu vieni con me.-
Ma un calcio di Vincenzo colpì
l'uomo alla schiena, dovette abbandonare la presa e Giovanni arretrò di qualche
passo.
-Stronzo!-gli urlò, poi si volse
ai compagni e gridò ancora-Come i fascisti, fanno come i fascisti.-
bandiera rossa trionferà...
E i colpi secchi, armi da fuoco
che esplodevano in aria e urla. Altri celerini s'erano aggiunti a quelli delle
camionette e l'ufficiale con l'elmetto ordinò la carica.
Ma si, come la Grecia.. .Facciamo
anche noi come in Grecia...
Ora la spalla gli faceva male. La
ragazza che correva accanto a lui ruppe un tacco della scarpa, poco mancò che
scivolasse lunga sul marciapiede. Riuscì a tenersi in equilibrio e si tolse
l'altra scarpa, correva a piedi nudi con le scarpe in mano. Come una abituata sin da bambina ad andar per i campi.
Da un vicolo laterale altri celerini sbucarono agitando i manganelli, avrebbero
chiuso in una morsa chi fuggiva lungo Corso Vittorio per fermare e schedare più
comunisti che potevano.
Vincenzo urlò.
-Vieni! E’ aperto!-
Giovanni vide il pesante portone
socchiuso e si mosse per mettersi in salvo, la ragazza esitava a pochi metri da
lui. Giovanni la prese per un braccio e la tirò via.
-Vuoi passare la notte in
gabbia?-le disse.
-Non vedo nessuno.-rispose lei
correndo.
-Attenta ai piedi. Nessuno
chi?-chiese Giovanni, avevano raggiunto l'androne del palazzo.
-I miei compagni.-
-Se ci hanno visto è finita.
Dai!-urlò Vincenzo. Con un salto fece tre gradini, Giovanni prese la ragazza
per mano e la tirò con se. Dopo una rampa di scale sentirono le voci dei
celerini ormai nell’androne del palazzo, qualcuno bestemmiava.
-Sono saliti.-disse un altro.
-Avanti!-ordinò il graduato.
Giovanni, Vincenzo e la ragazza
fermi sul pianerottolo guardarono in basso, quelli salivano con gli scarponi
pesanti.
-Pazienza.-disse Vincenzo, la
ragazza sembrava non aver paura.
Si aprì una porta e un signore
distinto apparve avvolto in una giacca da camera color vinaccia.
-Venite dentro.-disse-Sono un
compagno. Questi sono capaci di arrestare anche me. Fate presto.-
E fu così che Giovanni conobbe
Sibilla.
-Benvenuto Cellini nelle sue
memorie racconta di aver ucciso il comandante dei lanzichenecchi che mettevano
a sacco Roma, nel millecinquecento...con un colpo d'archibugio. Ma forse se l'è
inventato.-
La voce di Vincenzo si allontanò.
I compagni gli stavano attorno e quando s'incamminò in direzione di Castel
Santangelo, gli andarono dietro ubbidienti.
Come una guida turistica... Che differenza c'è fra me e il parroco che porta i
parrocchiani a visitare la città eterna? Ora glielo dico. Ne verranno di
parrocchiani. Il Giubileo è vicino…
Giovanni sentì la presenza di
Sibilla accanto a se. Non s'era unita agli altri per ascoltare le spiegazioni
di Vincenzo, aveva preferito fermarsi a parlare con il compagno che se l'era
tirata dentro quel portone il giorno prima. Era venuta a Roma insieme a un
gruppo di compagni della zona di Vercelli per seguire un corso sui sistemi di
collettivizzazione agricola in Unione Sovietica. Al paese di Sibilla i
contadini avevano fondato una cooperativa per sfruttare le terre occupate
quattro anni prima, nell'estate del quarantacinque.
Era stato Vincenzo a proporre ai
compagni di Vercelli il giro turistico serale e Giovanni, nonostante il dolore
alla spalla per la manganellata alla manifestazione, aveva accettato l’invito.
Non voleva star solo.
Infilò la mano nella tasca della
giacca per cercare le sigarette e invece
trovò il telegramma.
A che ora parte un treno domani mattina? Quante ore? Quali stazioni avranno
ricostruito nel frattempo?
La voce di Sibilla lo distolse
dal pensiero dell'imminente morte di suo padre.
-Fa ancora male?-
Giovanni accese una sigaretta.
-Vuoi?-ne offrì a Sibilla. Lei
scosse il capo.
-Perché? Hai paura. Non siamo
quelli che vogliono l'uguaglianza?-disse Giovanni.
-Non lo so, è meglio di no.-
I compagni erano lontani. Sibilla
aveva paura delle donne più anziane del gruppo.
-Ho messo la Vegetallumina , mi ha
fatto bene.-disse Giovanni.
Sibilla guardò la cupola. Il
tramonto romano tingeva il cielo di viola.
-E'bella.-disse-Peccato che è del
Papa.-
-Lo sai chi mi ha aiutato a
scappare in Francia?-
Lo interrogò con uno sguardo di
grande curiosità.
A Giovanni piaceva stare insieme
a lei, sul ponte, davanti alla cupola, con quel cielo e le stelle che
apparivano e la Luna. A
far niente. Nessuna riunione quella sera turbava la pace che gli veniva dalla
presenza di Sibilla.
-Un prete.-
Sibilla spalancò gli occhi per la
meraviglia.
-Un prete valdostano. Un amico
che ha fatto la guerra in Spagna insieme a me, dice che è ancora vivo. E si
ricorda di me: per un prete è difficile dimenticare di aver aiutato qualcuno a
diventare comunista.-
-Al mio paese il parroco ha
aiutato i partigiani, ma quello del paese vicino l'hanno fatto correre perché
era una spia. Ora è ritornato.-
Giovanni chinò il capo, avvertì
il dolore alla spalla.
-Vorrei andare a trovare Don
Veysendaz e anche Perruchon, il mio amico. Mi ha messo in mano una pala e ha
detto che se volevo essere un vero comunista dovevo imparare a lavorare. Io non
avevo mai toccato una pala: mi chiamavano lo studente. Sapessi, le piaghe...-
Giovanni volse le palme delle
mani a Sibilla, quasi per mostrare ancora le cicatrici.
Sibilla si mise a ridere.
-Eppure quella sera mi chiamarono
per dirmi che era tutto apposto, che dall'Italia avevano scritto. Ero uno
fidato, un compagno. Era stata la mia amica Clotilde.-
Sibilla ancora rideva di lui.
-Tu ridi, ma io divento vecchio.-
-E l'autobus di traverso? Chi ci
avrebbe pensato.-
-Cosa pensi di fare nella
vita?-le chiese Giovanni.
Lei smise di ridere.
-Mi piaceva fare la maestra. Ma a
casa non potevano...e dopo la morte di Matteo, mia madre era sola con i fratelli
più piccoli. Per papà la morte di mio fratello è stato un gran colpo. E' cambiato.
Il palo dove l'hanno impiccato lo vede ogni giorno quando va a lavorare...-
Stava per piangere. Giovanni ebbe
voglia di farle una carezza, Sibilla soffocò il ricordo di Matteo impiccato
dopo una notte di calci e pugni. A lei avevano impedito di vederlo.
-Vorrei lavorare per il partito.
Non lo so, mi sento piccola quando ascolto storie come la tua, eppure c'è tanto
da fare. Ho paura che quelli tornino, quelli che hanno ammazzato mio fratello,
voglio dire. Ti ho visto quando hai urlato che sono come i fascisti.-
Giovanni si toccò la spalla.
-Ti fa male?-
-Passerà.-
E invece il dolore non passava.
Si mise allora a raccontare la sua vita.
-I compagni quando ritornai in
città non mi conoscevano e io non conoscevo loro. Poi, pensa, si diffuse la
voce che il figlio dei Riva era tornato e s'era messo alla testa dei comunisti.
Gettò scompiglio. Un professore, un popolare che nel diciannove era stato eletto
in comune, aveva detto tutto preoccupato: "quando finisce la guerra, se
non stiamo attenti questi ci mangiano e ci fumano. Ci portano via i
nostri..." Capisci, quel signore era già impensierito. Ecco perché è
durata così poco la nostra unità di antifascisti. Sono tornati i vecchi arnesi
guidati dagli interessi di sempre. Certo: potrebbe tornare. Potrebbero tornare
quelli che hanno ammazzato tuo fratello in quel modo, certo...E io,
mentre quel signore si preoccupava, perdevo tempo a spiegare ai compagni che
non dovevamo parlare di rivoluzione e di comunismo. Una grande lotta
patriottica insieme ai monarchici e ai badogliani...Ci litigavo con i compagni.
Ma quand'è che non abbiamo litigato nel partito?-
Era scesa la notte, Vincenzo e i compagni di Vercelli
sempre più lontani.
E mentre le raccontava quelle
storie, Giovanni si accorgeva che la guerra, Parigi, il partito di allora, la Spagna e tutto il resto,
erano solo una parte della sua vita.
Il ricordo di Clotilde che cuciva
nella piccola stanza fredda, la carezza di Costantina dopo la coltellata del
Camelot e i capelli di Margarethe...il colore del grano... E la paura per non
sapere se avrebbe visto sorgere il sole il giorno dopo. E la morte degli altri.
Quel sospiro di liberazione, necessario, perché, nonostante tutto, la pelle
l'hai salvata.
-Ma dimmi, cosa volete fare al
tuo paese?-
-Organizzeremo meglio la
cooperativa.-rispose Sibilla-Il comune è nostro e se riusciamo a mettere
insieme la gente, i democristiani ce li togliamo di torno definitivamente. Da
noi i preti un po' di forza ce l'hanno ancora. Ti dicevo di quel prete che
stava con i partigiani. Che gli vai a dire, adesso?-
E’ bello starla ad ascoltare. E’ tutta futuro.
Gli ricordava Costantina,
giovanissima doveva esser stata come lei. I capelli neri come il carbone,
tirati su e sostenuti da un fiocco azzurro. E il viso illuminato dal debole
chiarore del lampione. Lo sguardo attento mentre spiegava che era meglio un
trattore collettivo che tanti aratri vecchi e faticosi.
Costantina era rimasta in Francia
e non era più tornata a Parigi, ora viveva vicino Arles. La figlia s'era già sposata e aveva avuto un bambino.
Le voci dei compagni lo
distolsero da quei pensieri. Sibilla si trasse indietro di colpo dal parapetto
del ponte, i loro corpi si sfiorarono.
-Ce l'hai un fidanzato?-le disse
Giovanni.
Lei guardava i compagni e le
compagne con timore, poi lui, così adulto. Così sicuro.
-No...Il fidanzato sarà anche il
marito. Per ora non c'è nessuno.-
Sibilla aveva ritrovato nella
risposta la paesana sicurezza. Quel controllo di se che aveva saputo mantenere
anche quando le si era spezzato il tacco. S'era tolta l'altra scarpa per
correre meglio, con un movimento deciso della mano e della gamba. Già si udiva
qualcuno che diceva:
-Voi due...-
E Vincenzo dava spago ai commenti
di tutti sui separatisti del Ponte Santangelo.
Giovanni le aveva detto che anche
lui sarebbe partito per il nord, a causa della malattia di suo padre.
-Passa a trovarci, Vercelli non è
lontana.-disse Sibilla.
Le aveva promesso che sarebbe
andato a salutarla alla stazione e c'era riuscito.
-Vedrò, con il partito. Vedrò,
c'è un sacco da fare...-rispose Giovanni.
Gli altri chiamavano Sibilla
sporgendosi dai finestrini.
-Dammi notizie di tuo padre, e di
te...Se non puoi venire, scrivi.-disse ancora Sibilla. Giovanni tentò un gesto,
forse una carezza o un semplice saluto. Non sapeva nemmeno lui cosa voleva. Le
loro mani si toccarono e Sibilla
credette che Giovanni stesse per baciarla.
Quella sera Giovanni prese un
treno per il Nord e dopo un lungo viaggio che durò tutta la notte e le prime
ore del giorno seguente, giunse in vista della sua città.
Sentiva l'odore della campagna,
vedeva con piacere le verdi colline.
Quante volte le aveva percorse in bicicletta.
E più lontano le Alpi: in quella mattinata magnifica si distingueva il Monte
Rosa tutto intero. Si chiese se avrebbe trovato il tempo per vedere i compagni,
ma subito scacciò questo pensiero.
Clotilde? Sarebbe passato a
salutarla.
Due giorni prima Vincenzo gli
aveva detto che a suo parere il partito lo avrebbe mandato in Parlamento alle
prossime elezioni.
Sarebbe la prima volta. In famiglia nessun deputato, niente senatori. Ora
ci penso io, con i comunisti.
Saltò sul marciapiede e afferrò
la valigetta, presto raggiunse l'atrio della stazione e s'avvicinò all'edicola.
Posò le monete nel piattino e
dispiegò l'Unità, ma sollevò il capo. I titoli del giornale in realtà non lo
interessavano. L'edicolante lo guardava come un cliente che non ha terminato
gli acquisti.
-Desidera altro?-disse.
-No, no. Grazie.-
Giovanni, infilò l'Unità nella
tasca della giacca e prese la valigetta. Resisteva alla voglia di guardarsi
indietro; fece qualche passo in direzione dell'uscita, ma dovette fermarsi.
Posò la valigia e si volse. Nel vano della porta centrale gli parve di vedere,
desiderò che comparisse, una figura che altre volte l'aveva atteso, cercato con
gli occhi quando arrivava un treno da Roma.
Ma nessuno si affacciò nel cono
di luce. E quell'assenza lo riportò indietro nel tempo: alla fine di un altro
inverno di guerra.
Soffiò il fumo verso il soffitto
basso, opprimente. Il bavero del cappotto nascondeva il suo viso agli occhi
della donna che invece stava accanto al camino. La lampada a petrolio
illuminava la sua figura. Il compagno parlò. La donna rispose. Il cuore di
Giovanni batteva, correva a precipizio.
-Hai detto che passeranno per
Borghetto?-disse il compagno.
-Vanno ad Alessandria.-rispose
lei-Sono tre camion di farina e sigarette, ma non debbono arrivare a
destinazione. Loro li fanno sparire e poi rivendono tutto. Se arrivate prima,
ve li prendete.-
Il reale significato delle parole
sfuggiva a Giovanni. Il compagno si volse a guardarlo. Lui non poteva parlare.
-Se ci tiri dentro un pasticcio,
un'imboscata, per te è finita. Lo sai?-
-Dovete fidarvi. Oppure
rinunciate.-
-La tua osteria è sempre piena di
fascisti.-
-Non mi piacciono, ma che
c'entra? Io debbo vivere, il vino lo vendo a tutti.-
-E' vero che sei l'amante di
Paolieri?-
-A voi questo non deve
interessare, eppoi è una bugia. Mi pento quasi di esser venuta: se vi fidate
bene, oppure amici come prima.-
Era la voce di una donna che è
abituata a tener a bada gli altri. Il compagno si volse a guardare Giovanni,
lui gli fece un cenno di avvicinarsi. Parlarono sottovoce.
-Ho detto quello che so. Voglio
andarmene, questo posto non mi piace per nulla.-insistette lei.
-Lui vuole parlarti.-
Il compagno in fretta sparì
dietro una porticina. Lei fece un passo, avanzò verso Giovanni che intanto
s'era levato in piedi.
Era nervosa, fra le mani
stringeva i guanti, se l'era sfilati e
li stropicciava.
Invece Giovanni sentì il cuore
battere con un ritmo regolare.
Le situazioni da romanzo in mezzo alle tragedie vere.
-Buona sera, Agnese.-disse.
Non poteva vederlo in viso a
causa di quell'ampio bavero ben tirato in alto.
-Tu chi sei?-
Giovanni notò il timbro duro,
leggermente gutturale, che non ricordava.
-Sei riuscita a imparare il
greco?-
Lei rimase immobile, poi si
appoggiò con la mano destra allo spigolo del tavolo traballante. Giovanni
fece un passo verso Agnese e tirò giù il bavero del cappotto. Dopo anni
di lontananza le differenze erano evidenti, lei con un bel cappotto ornato di
volpe e un cappello dalle falde larghe che le nascondeva i lunghi capelli, lui
stretto in un cappottone frusto e pesante. S'era fatto crescere la barba.
-Da quando...-
Giovanni ignorò la domanda.
-Ho riconosciuto la tua voce. E
cambiata solo un poco.-disse.
Avvertiva con fastidio la canna
della pistola sotto il cappotto. Giovanni pensò al compagno che attendeva al
freddo.
-Siamo diventata grandi.-disse
Agnese.
-E' sicura
l'informazione?-rispose Giovanni.
-Si...Chi me l'ha passata conosce
molte cose.-
-E' il tuo amico. Paolieri?-
Agnese scosse il capo.
-No. Lui non sta più qui, è
andato a Milano.-
-Che schifo...-
Agnese chinò il capo.
-Scusami.-disse Giovanni-Non ho
diritto di parlarti in questo modo. Mi riferivo al mercato nero, ai fascisti
che fanno sparire la merce destinata a loro stessi e poi la rivendono tre volte
tanto. Ci sono bambini che hanno fame...-
-Lo so, è per questo che vi ho
cercato. Quando finisce tutto questo, Giovanni?-
-Presto. Credo. E' vero quello
che diceva il compagno sulla tua...osteria. Se te la fai con i fascisti corri
dei rischi.-
-Non è vero. Vorrei raccontarti
tutto. Ma tu, come è possibile...-
-Anch'io vorrei raccontarti molte
cose. Ora noi ce ne andremo...-
-Ho un permesso per girare dopo
il coprifuoco.-
-Come sei venuta sin qui?-
-In bicicletta. Il Gallo, te lo
ricordi, non è distante. Cinque minuti. Non temere.-
-Si, certo, ma tu aspetta prima
di muoverti. Non far nulla se senti spari o altro. Capisci.-
Agnese assentì. Fece ancora un
passo verso Giovanni.
-Non aver paura. Abbiamo preso le
nostre precauzioni.-disse lui, le prese la mano e la strinse fa le sue.
-Ti rivedrò?-disse Agnese.
-Lo spero. Non si è mai
sicuri...-
-Non dire così. Sono contenta di
averti rivisto.-
-Anch'io.-
Rimasero per pochi secondi in
silenzio. Il compagno fuori attendeva al freddo. Giovanni abbracciò Agnese,
ebbe il timore di pungerle il viso con la barba lunga e dura.
-Scusa.-disse, staccandosi
leggermente da lei che aveva posato il capo sulla sua spalla.
-Voglio rivederti,
Giovanni.-disse Agnese. Le sussurrò quelle parole. E allora Giovanni riconobbe
la sua voce, come quando imparava a leggere nello stanzino di Villa Riva e lui
moriva dal desiderio di giocare con i riccioli neri che gli sfioravano il viso.
Il Commendatore sollevò la
cornetta.
-Pronto.-
Tossì. Spense la sigaretta nel
posacenere.
-Oh, buonasera, è lei. Che mi
dice di bello?-
-Giovanni Riva è in città.-
-E da quando?-
-Da stamattina, c'è suo padre che
non sta bene, anzi...-
-Mi dispiace per lui. Non ha
fatto una bella vita l'avvocato Riva, e con questo figlio...Ma è una visita
privata?-
-I comunisti potrebbero
approfittare della sua presenza per organizzare qualche manifestazione, un
comizio.-
-E va bene. Noi che ci possiamo
fare? Siamo in democrazia, o no?-
-Certo, certo. Debbo disporre
qualcosa?-
-No. Direi proprio di no. Le
normali misure che la procedura richiede in questi casi, poi si vedrà. Il Riva
ha incontrato qualcuno?-
-No. E' andato in campagna, i
genitori vivono in campagna.-
-E lo zio di Riva, che fa?-
-Niente. Lo vedono al caffè,
sembra di cent'anni.-
-Si vergogna. Era un fascistone.
E Giovanni Riva non aveva una specie di fidanzata, di amante?-
-Si, ma ci risulta che fra i due
è tutto finito. Dall'epoca del trasferimento a Roma di Riva, dopo le elezioni.-
-E che fa questa signora? Si
consola?-
-L'Agnese Vairos è la
proprietaria della Lampoelettricità...-
-Accidenti! Non me lo ricordavo,
tutto apposto?-
-Tutto apposto. Non ho ritenuto
di dover raccogliere particolari informazioni sulla signora.-
-Sarebbe interessante invece.
Vecchi amori, politica. Voglio dire: contatti...con certi ambienti. I comunisti
sono abilissimi nel ficcare il naso anche a casa del Diavolo, o di Dio. Segua pure questa indicazione.
Abbiamo contatti alla Lampoelettricità?-
-I normali contatti che...-
-Attiviamoli. E' meglio mettere
orecchi nei salotti che un piantone davanti a ogni sezione del PCI. Non se lo
dimentichi.-
-Sarà fatto commendatore.-
-Mi tenga informato. Giovanni
Riva è un pesce grosso e domani ce lo troviamo in Parlamento. La saluto.-
-I miei ossequi.-
Il commendatore posò il
ricevitore e infilò nel bocchino un'altra Turmac senza filtro.
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