domenica 1 febbraio 2015

Noi cambieremo il mondo. Di Stefano Viaggio. Sesta parte. Episodio due

-Rimango io con lui. Armandina ha tenuto la cena in caldo.-
Gli era capitato altre volte di tenere la mano di chi moriva. Prese nella sua la mano del padre, fra poco la vita sarebbe andata via dal corpo...Giovanni sentiva la presenza di Elena accanto a se. Si chiese come e quanto s'erano amati i suoi genitori. Si ricordò di una fotografia di Elena ragazza. La camicetta di merletto chiusa sino al collo e la collana di perle. La fronte alta e libera dai  capelli ben acconciati per l'occasione e l'espressione del viso di chi si aspetta tutto dalla vita. E una notte, durante una licenza  dal fronte, l'uomo che ora moriva aveva abbracciato la ragazza  e da quell'abbraccio era nato un figlio. Giovanni. Che se n'era andato per il mondo...

E'stato proprio così?

Giovanni ascoltò il rantolo di suo padre.

Lei, ha mai provato piacere con quest'uomo? Si. Deve essere così. Non può essere che così.

Avrebbe dovuto vergognarsi delle idee che gli passavano per la mente? La morte dei poveri era più semplice. Quel ragazzo della Garbatella che era caduto dall'impalcatura, un volo di cinque metri. "Nessuna speranza." aveva detto il dottore  alla madre e alle tre sorelle. Da quella casa Giovanni aveva solo udito un sommesso e continuo pianto collettivo. Tra se aveva detto  che anche questa è la forza del popolo... Ma ora, come sempre, nessuno urlava, nessuno piangeva, nessuno si disperava in casa Riva. Giovanni desiderò avere accanto a se la ragazzetta entusiasta per quello che facevano in Russia, si rivide insieme a lei sul ponte Santangelo.

Perché con lei non ho parlato apertamente? Perché non ho detto a lei e a tutti gli altri che Tito, il compagno Tito, che ho conosciuto prima di partire per Barcellona, non è un traditore della causa socialista mondiale?

Perché tutto era rinchiuso in quelle reciproche confessioni segrete, fatte durante una passeggiata domenicale in cui il dubbio si confessava solo al compagno-amico?
Giovanni s'accorse di esser rimasto solo con suo padre.
Quando l'aveva incontrato dopo gli anni di lontananza e sul suo capo pendeva la condanna a morte emessa dai fascisti di Salò, Alfonso non aveva celato al figlio le sue lacrime. Elena l'aveva abbracciati entrambi e stretti contro di se, sulle scale la vecchia Armandina piangeva. Ma una domenica, a guerra già finita e s'avvicinava il magro Natale del quarantacinque, Alfonso aveva detto a Giovanni:
-Il libero mercato è insostituibile, siete votati al fallimento.-
Giovanni a quel tempo era il segretario della Federazione Comunista della città. In famiglia non s'era mai parlato del suo futuro, ma tutti dicevano che Giovanni Riva era un personaggio importante dell’epoca nuova. E quella frase di Alfonso poneva sul piatto una questione pubblica e privata.
Come potevano fallire loro, i comunisti, quelli che avevano guidato la lotta più dura per il riscatto dell'umanità?

E' sempre lo stesso uomo.

Elena aveva sollevato gli occhi dal piatto e aveva guardato  padre e figlio che dopo quella frase non avevano aggiunto altre parole.

Il rumore dei piatti e delle forchette. Agnese che gira con il cabaret fra le signore e le baggianate di zio Giulio. I suoi amici in camicia nera. Questa casa piena di gente vestita di nero. Questa era la casa dei Riva...Caro padre, quello che hai visto non ti ha insegnato niente.

Elena aveva letto tutto questo negli occhi di suo figlio.
Allora aveva pensato, s'era studiata di trovare una parola che riconducesse tutto alla normalità di un pranzo domenicale, allo scorrere quotidiano di una vita che ricominciava.

Dirò a Giovanni di portare a casa Agnese.

-Si. E' meglio la concorrenza e la libertà. Non voterò per voi.-aveva aggiunto Alfonso, dopo quel silenzio.

Zitto. Zitto, per carità stai zitto!

Così avrebbe voluto dirgli Elena. Giovanni sorrideva.
-Il mondo nuovo fatica a nascere. Nessuno ti ha chiesto il voto.-

Zitto. Zitto anche tu.

Elena guardava Alfonso che aveva chinato il capo e continuava a mangiare senza dir nulla.

Si. Gli dirò di portare l'Agnese a casa. L'accoglierò come una figlia.

Il pranzo era terminato poco dopo e Giovanni aveva fretta di andare in qualche posto, certamente in campagna a parlare con i contadini, e quella sera avrebbe fatto ritorno solo a tarda notte.
                             
Giovanni rilesse ancora la lettera che gli aveva consegnato Elena. Ne ricordava ogni parola.
"Mio amatissimo Giovanni. Voglio raccontarti una storia di cui si è sempre parlato poco in famiglia. Un nostro antenato, si chiamava Sebastiano, più di  cento anni fa abbandonò questa città e fuggì in America del Sud. Era accusato di essere un cospiratore, mio nonno diceva che Sebastiano era fuggito in Francia e da un porto dell'Atlantico aveva preso il mare per il Nuovo Mondo. Prima di partire aveva scritto una lettera alla famiglia, purtroppo si è persa e di lui non si ebbero più notizie. In tutti questi anni mi sono chiesto se non hai avuto nella vita la stessa sorte di Sebastiano. Certo, tu sei tornato, ma questo fatto non cambia di molto la somiglianza alla vita di quell'antenato. Anch'io ebbi voglia di andarmene, non credere che mi piacesse molto quello che mi stava attorno. Non credere che amassi il trionfo della volgarità che si chiamò ventennio fascista. Ricordo bene il dolore  del nonno quando apprese la morte di Giovanni Amendola. M'imposi di rimanere e lo feci anche per tua madre, e per te. Tutto questo fa parte di quel sistema che è basato sulla libertà, e io ancora credo in questo valore, per me supremo. Si sceglie di andare oppure di rimanere. E si paga, io l'ho pagata la mia scelta. Con qualche rimorso. E il più grande è quello di non aver avuto il coraggio di parlarti molto tempo fa. Ho sbagliato, lo ammetto. Furono i miei silenzi e quelli che imposi a tua madre a spingerti verso la donna che forse ti parlò di un mondo che noi non volevamo vedere. Tempo fa, sapevo che stava per giungere la mia ora, ho voluto conoscere la Signora Clotilde Calosso, la tua Vedova Rossa. Ha una grande stima di te. Ho voluto sapere tutto:  come vi siete conosciuti, come scopristi quel mondo  di cui né io né tua madre ti avremmo potuto parlare. Debbo ammettere il mio fallimento e pago con un dolore e un dubbio che mi porterò nella tomba, spero di essere perdonato. Ti auguro di giungere alla fine dei tuoi giorni più sereno di come ci sto arrivando io, ho appreso con dolore la rottura del legame che ti univa alla donna alla quale porgesti il piatto quando era una piccola cameriera in casa nostra. Mi dispiace, pazienza. Stai vicino a tua madre, anche dalla lontananza della capitale, e vivi secondo quel che ti detta la coscienza, come del resto ho fatto io, con tutti i miei errori. Arrivederci, so che non credi, ma te lo dico ugualmente. Tuo padre."

Giovanni si chiese come fosse la casa di Sibilla.  Sarebbe andato a trovarla e nella quiete di quella casa avrebbe riletto la lettera del padre. Una grande pace sarebbe scesa in lui. E Sibilla gli avrebbe detto:
       -Vieni con me. Vieni.-
Una passeggiata sul sentiero lungo il torrente per poi raggiungere i campi dove c'erano i contadini che li avrebbero salutati agitando le braccia. E il commento di qualcuno:
-E' la Sibilla, la sorella di Matteo. Quello che le sta insieme è un compagno di Roma. E’  un partigiano, un dirigente.-
E un altro avrebbe risposto:
-La Sibilla ha fatto presto, è andata a Roma e zac!-

Com'era Matteo?Avranno già posato una lapide per lui? Fra venti, trent'anni chi guarderà la lapide vecchia, annerita dalla polvere che s'è mischiata alla neve, alla pioggia...Debbo andare a trovare Clotilde, non credo che venga al funerale. Avrà da mostrarmi quell'articolo dell'Unità. -organizzatrice della lotta clandestina- così l'hanno definita...E Agnese? Avrà saputo di me che sono qui e di lui che muore? La vedrò al funerale. Si, certo,  lei verrà. Cosa debbo fare? Padre, cosa debbo fare? Vorrei che potessimo dirci quelle parole che non abbiamo mai detto fra noi. Vorrei spiegarti, vorrei parlarti di Margarethe che forse è bruciata in un forno o in fondo a una miniera, fra gli sputi e l'offesa. E Grete, le comprai un orsacchiotto...

Le labbra ormai esangui di Alfonso scoprivano i denti ingialliti e le gengive bianche. Il volto era teso, lucido, i muscoli impegnati nello sforzo di afferrare la vita.
Giovanni si volse, alle sue spalle c'era di nuovo Elena, dietro di lei Giulio. I loro volti erano di pietra.
-Vai. Restiamo noi con lui.-disse Elena e Giovanni abbandonò la stanza. Si mosse quasi come un automa, uscì all'aperto e lentamente percorse il corto viale sino al cancello della casa di campagna. Si fermò sulla soglia. Oltre la strada, la campagna e, più lontano, le luci della città. Laggiù abitava Agnese. Era facile prendere la bicicletta e  bussare ad un portone, farsi riconoscere. E se Agnese l'avesse lasciato sulla porta, se alle sue spalle fosse comparso un giovane con le labbra ancora bagnate dal vino di un pasto serale interrotto? E se invece lo avesse abbracciato, se lo fosse tenuto stretto, stretto al petto. Se lui avesse giocato con i suoi lunghi capelli legati ancora con un nastro di velluto, simile a quello che gli aveva regalato cinque anni  prima?     

Come le dame delle antiche storie che mi raccontavi, prendi questo e mettilo sulla giacca. Ti porterà fortuna.

Le parole di Agnese le ricordava tutte, una ad una. Dette in una notte di quiete prima che la guerra finisse.

Baciai quel velluto e le parlai della pace e del mondo nuovo che volevamo costruire. Giusto, libero dalla guerra e dal fascismo. Lei mi ascoltava e a un tratto baciò la cicatrice che non è scomparsa e le parlai di Margarethe che mi aveva curato. Le dissi di quei tempi difficili, di incertezza e di dubbio. Lei mi raccontò qualcosa di se.

-Quando lasciai la casa di tua madre, sapevo soltanto che non sarei tornata al villaggio. Nessuno avrebbe creduto a qualcosa che nemmeno io sapevo spiegare. Speravo, Dio mio, non sai quanto lo speravo, che mi comparissi davanti e mi dicessi che era stato solo un brutto sogno. Avevo fame, mai avevo sentito una fame così forte e cattiva. Entrai all'Osteria del Gallo e mi offrirono un lavoro di sguattera, divenni la padrona perché sposai un vecchio che non mi ha mai toccata e oggi le storie dei fascisti e dei miei amanti sono bugie. Faccio il mercato nero? Lo fanno in tanti, anche i tuoi amici. C'è chi aiuta voi e i fascisti...-

-Lo so.-le risposi. Era la prima volta che potevamo rimanere insieme una notte intera e dirci tutto.

-Ho avuto uomini. Certo che ne ho avuti, ma con Paolieri non ci ho fatto proprio niente. Spero che si salvi, è un brav'uomo, non sembra nemmeno uno di loro.-

La sua voce a un tratto s'era fatta più dura, poi mi accorsi che piangeva.

-Ho visto quei tre ragazzi ieri, erano appena morti...Perché accade tutto questo? E' proprio necessario? Voi li vendicherete, lo so. Ma è proprio necessario continuare a uccidersi così? E tu, non corri rischi? Dimmelo. Non potrei sopportare di perderti. Dimmelo, ti prego.-

Allora la tenni stretta a me e le parlai a lungo, ci guardavamo negli occhi, le dissi che non doveva giustificarsi con me e che un giorno avremmo riso di tutte le paure.
-Io non ce la faccio.-mi rispose-Non ne posso più. Quando viene l'ultima battaglia?
-Speriamo di non farla.-le dissi.
Speravo veramente di non farla quella battaglia. Sarebbe stata l'ultima e nell'ultima si può anche morire.
-Paolieri può essere anche in buona fede. E' rimasto con i fascisti per l'onore? Il suo onore non vale niente. Ci hanno portato alla guerra, hanno invaso il mondo e volevano un nuovo feudalesimo. Oggi sono sconfitti e si porteranno dietro il peso di tutto quello che hanno fatto. Da noi è arrivato uno che stava in Polonia, ha visto l'Ucraina. Ci ha raccontato cose atroci che i tedeschi fanno agli ebrei. Nessuno sa niente, ma un giorno il mondo dovrà sapere di quelle fosse con migliaia di donne, vecchi, bambini, tutti ammazzati nei primi giorni dell'invasione, nel 41'. C'era un ragazzo ebreo che ascoltava, gli hanno portato via tutta la famiglia. Vedessi, Agnese, la pena che mi faceva. E' diventato pallido come un morto, ha tre sorelle...-Questo le dissi quella notte, ma lei non smetteva di piangere. Non sono morto in quell'ultima battaglia che c'è stata per davvero. Non sono morto. Quando li bloccammo sulla strada di Milano, invece di arrendersi si misero a sparare e i colpi li sentì anche Agnese dall'Osteria del Gallo. Mi ha raccontato che all'improvviso capirono che tutto era finito e una contadina venne correndo a dire che c'erano morti e feriti attorno alla Cascina Grande. E Agnese venne a cercarmi insieme con le altre donne, insieme alla madre di un ragazzo che era scappato di casa dieci giorni prima per venire con noi. E mi disse che s'erano gettate nei campi perché avevano sentito il rumore dei camion, ci avevano presi per i fascisti. Mi aveva visto, ero sul camion. Mi aveva chiamato con tutto il fiato che aveva in petto, ma non udii la sua voce. Avevamo vinto, andavamo a liberare la città.

Giovanni si volse e vide Elena, allora tornò indietro e poco dopo chiuse gli occhi a suo padre.

I compagni della Federazione Comunista chiesero a Giovanni di partecipare a una riunione pubblica. Il funerale di Alfonso Riva, per volontà di Elena, era avvenuto in forma strettamente privata. Elena ricevette da Agnese un biglietto di condoglianze. Giovanni accettò la proposta dei compagni: sentiva il bisogno di ritornare alla sua vita, a fatti concreti come il comizio contro una possibile aggressione degli Stati Uniti d'America all'URSS ed alle nuove democrazie socialiste. Sui muri della città comparvero di nuovo i manifesti con il suo nome. Qualche ora prima della manifestazione Giovanni fu invitato a presiedere una riunione del Direttivo della Federazione. Quella sera il teatro cittadino  accoglieva una grande folla. Erano venute famiglie intere ad ascoltare e gli operai del turno di notte dell'acciaieria, non avevano voluto mancare. Giovanni rivide e salutò vecchi compagni e partigiani, qualcuno aveva saputo della morte di Alfonso Riva e Giovanni ricevette le loro condoglianze. Si accorse che seduta nelle prime file della platea, c'era Clotilde. Senza chiamarla si avvicinò e le toccò lievemente la spalla. Clotilde si volse di scatto, Giovanni notò che i suoi capelli erano tutti bianchi. Si abbracciarono.
-Come sta tua madre?-gli chiese subito Clotilde, senza dargli il tempo dire altre parole.
-Cosa vuoi...non c'erano speranze.-rispose Giovanni, sapendo che qualunque cosa avesse detto sarebbe apparsa banale. Con Elena non aveva mai parlato di Clotilde.
-Non ho voluto, sai...-
-Sarei venuto da te domani, ma sapevo che ti avrei visto stasera. Come stai?-
-Divento vecchia. Ci vedo poco. E tu? A Roma ti trovi bene, non senti la nostalgia di...-
Giovanni temette che Clotilde gli chiedesse se aveva rivisto Agnese. I compagni prendevano posto sul palco.
-Ci vediamo quando finisce la manifestazione, non scappare. Ti accompagno a casa, i compagni mi hanno dato una macchina. Ciao.-
Si baciarono ancora sulle guance e Giovanni raggiunse il suo posto al tavolo della Presidenza.
Dopo un breve discorso del Segretario della Federazione e un intervento del responsabile dei Comitati per la pace, toccò a Giovanni prendere la parola.
Quando pronunciò il nome di Stalin ci fu un grande applauso, l'ovazione durò per qualche minuto. Stalin, disse Giovanni, aveva guidato la battaglia contro il fascismo, era il capo del socialismo mondiale  destinato a vincere la lotta contro l'imperialismo americano che si sostituiva al fascismo nel tentativo di opporsi all'avanzata del progresso nel mondo.
-C'è il pericolo di una nuova guerra?-chiese Giovanni, scandendo bene le parole.-Si! Una nuova guerra potrebbe scoppiare perché oggi gli americani fanno una scelta precisa. Americani e inglesi sostengono i revanscisti tedeschi! Ma se credono e s'illudono che ciò che è accaduto solo pochi anni fa possa essere cancellato, parlo dell'avanzata del socialismo in Europa e nella lontana Cina, si sbagliano. La prova di tutto questo siete voi. Voi siete qui, con la vostra forza e l’entusiasmo di ogni giorno. Ogni giorno, nelle fabbriche, nei quartieri, nei campi, nelle scuole, rafforzate il Partito Comunista Italiano, il solo partito che ha combattuto il fascismo e che oggi è in grado di mobilitarsi contro una guerra più terribile e dolorosa di quella che abbiamo appena combattuto e vinto. Ma coloro che siedono sulle poltrone del potere, i ricchi, i capitalisti che sempre hanno appoggiato e favorito ogni avventura, debbono sapere che i lavoratori hanno imparato la lezione della storia e che la patria del socialismo non si tocca! Il mondo intero insorgerebbe contro una nuova guerra di aggressione all'Unione Sovietica. Certo, il signor Scelba, ci manda e continuerà a mandarci contro la polizia, come è avvenuto in questi giorni a Roma, ma sappiate che all'indomani di quella grande manifestazione di protesta contro un patto che ci unisce ai circoli guerrafondai dell'imperialismo, abbiamo triplicato la vendita del nostro giornale e che proprio dai quartieri della capitale dove vivono i lavoratori, è venuta la richiesta di aumentare il nostro impegno in difesa della pace e della fraternità dei popoli. E lasciatemi dire, compagni, voglio esprimere tutta la nostra fraterna solidarietà ai coniugi Rosemberg, oggi condannati ingiustamente. Domani avranno il loro posto fra coloro che la storia indicherà come i difensori della lotta dei popoli per la liberazione dell'umanità dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Compagni...Compagni... Ho ascoltato la relazione del compagno responsabile dei Comitati: sono risultati positivi, certo, ma il nostro impegno deve crescere, perché è dalla lotta per la pace, è dal messaggio internazionalista, che il nostro paese troverà le energie per liberarsi dal dominio dei vecchi potentati, di chi oggi vorrebbe tornare a prosperare all'ombra dello scudocrociato e ben protetto dalla flotta americana.-

Al termine della manifestazione che si concluse senza alcun turbamento dell'ordine costituito, Giovanni accompagnò Clotilde a casa. Lei avrebbe volentieri fatto quattro passi a piedi, ma Giovanni la costrinse a salire in macchina.
Giovanni sedette nel salottino di Clotilde, sempre ingombro di stoffa, aghi, fili e forbici. Clotilde lo lasciò per preparare l'infuso di erbe che prendeva ogni sera prima di andare a dormire. Era buono e  faceva bene. Anche Giovanni ne bevve una tazza.
Parlarono di politica, Clotilde raccontò a Giovanni gli ultimi avvenimenti in città dopo la sua partenza, diede giudizi sul partito e sui compagni. Giudizi politici che Giovanni ascoltò con attenzione, come se quella fosse la prosecuzione della riunione del tardo pomeriggio.
-Dopo tanti sacrifici, vedere in giro i padroni e le facce di sempre, fa dispiacere.-disse Clotilde.
-E' una battuta d'arresto.-le rispose Giovanni, aveva estratto il pacchetto di sigarette.
-Fuma, fuma pure.-disse Clotilde accorgendosi che esitava ad accendere.-Anzi, una me la fumo anch'io. Ho imparato in carcere.-
Giovanni le accese la sigaretta. Clotilde invecchiava.
-Hai bisogno di qualcosa?-
Clotilde comprese e rispose.
-Di niente, il lavoro non manca e i compagni non mi lasciano mai sola.-
Era da quando aveva fatto salire Clotilde in macchina che Giovanni ci pensava.
-Volevo farti leggere questa.-le disse. Lei prese l’ultima lettera di Alfonso Riva e la spiegò sulle ginocchia. Lesse quella lettera due volte. Poi si lasciò andare contro schienale della poltrona e parve a Giovanni che volesse riflettere bene prima di parlare.
-Quando ci conoscemmo, quando tu venivi da me, quando ci scoprirono e poi in carcere, quando seppi che eri a Parigi e che lavoravi per il partito, ho sempre pensato, mi sono chiesta, se era male o bene, se non dovessi provare un poco di rimorso per quello che avevo fatto. Ero orgogliosa di te, e insieme avevo paura per quello che ti poteva accadere. Seppi che eri andato in Spagna, e poi la guerra e rimanemmo tutti l'uno così distante dall’altro...Ma un pensiero mi sosteneva. Pensavo che eri giovane, lo sei ancora, e che per te, per tutti voi, poteva esserci un modo migliore di vivere. Mi ricordavo di quando ero ragazza, di quanto si pativa a quei tempi, a com'era la filanda e a come avevo conosciuto Mario. Di quando lui aveva abbracciato il socialismo. Altri tempi, sembrano lontanissimi da oggi. E' morta tanta gente e quelli se vanno in giro. Quando ci incontrano, almeno da queste parti, chinano la testa o guardano da un'altra parte. Siamo un grande partito, anche se vorrebbero farci star zitti. Ma non si può tornare indietro. Tu allora eri questa speranza. C'era il fascismo, i compagni in galera e  la guerra in Africa, tutti in fila, inquadrati. Poi arrivasti tu. Solo tu in questa città fra quelli del tuo ambiente, venivi a trovare me che ti mandavo da Parenti. E chi l'aveva mai letto un libro di Marx? Nemmeno adesso ci capisco niente, se ci provo. Questo l'ho detto anche a tuo padre. Mi ha risposto e non ho capito subito quello che voleva dire, "signora la storia ha le sue vittime, a me tocca recitare questa parte". Certo eravamo proprio tanti al teatro, ma oggi mi chiedo: se non cambia niente, a cosa è servita tutta questa infelicità e le vittime di tutta questa storia. Anche la sofferenza di tuo padre e di tua madre? Perché io lo so, tu li hai fatti soffrire. Tuo padre me l'ha detto.-

"Sei spietata Clotilde."

Giovanni si sporse  verso di lei e le prese le mani nelle sue.
-Ti ricordi.-le disse-di quando mi parlasti delle donne e delle sottane. Di quella volta che mi chiedesti di mettere le mie mani nelle tue. Fu da quel giorno che cominciò tutto, mi chiesi chi ero e cosa facevo a questo mondo. Mio padre si sbagliava, avrei voluto dirglielo. La storia, che è poi anche la nostra vita, non è un palcoscenico su cui occorre recitare una parte che altri hanno scritto per te...-
-Ma forse lui non ha avuto la possibilità. E tua madre? Era di una famiglia ricca, ma sei proprio sicuro che a quell'epoca anche le ragazze di buona famiglia fossero sempre felici?-
Giovanni chinò il capo.
-Da te imparo sempre qualcosa.-mormorò.
Clotilde rise.
-Non ho perso il vizio di farti la predica, ecco tutto. Lo sai che in carcere, quando seppero di tutta la storia, i compagni mi fecero certi discorsi? Mi fecero piangere.-
-Questo non me l'avevi mai detto.-
Ma Giovanni non era sorpreso affatto.
-Ma sì. La Vedova rossa e un ragazzo. Uno me lo disse apertamente: ti sei consolata con il giovane di buona famiglia. C'è ancora da fare, tanto da fare. Quante teste di legno ci sono tra noi? Tante.-
-Ci provarono anche con me.-
-Davvero?-
-Si, ma troncai subito. Serio, veramente arrabbiato.-
-Io e te? Ma pensa un po'.-
Clotilde rideva, le veniva la tosse. Giovanni continuava a tenere le sue mani.
-Hai visto Agnese?-gli chiese quando riuscì a calmarsi.
-No, è meglio di no.-rispose Giovanni, si accorse che Clotilde lo scrutava attenta.
-Ci pensi ancora?-
-E' una storia finita. Ci siamo scritti per un po'.-
-Dicono che la fabbrichetta dà lavoro a tanta gente. E' diventata una signora. Peccato...-
-Ho conosciuto una compagna.-disse Giovanni.
-Di Roma?-
-No, è di vicino Vercelli. L'ho conosciuta a Roma qualche giorno fa, me la sono trovata vicina alla manifestazione contro il Patto Atlantico.-
-E che faceva a Roma?-
-Un corso del partito, lavora in una cooperativa.-
-E l'andrai a trovare?-
-Forse. Roma, Vercelli. Non lo so.-
-Vedi di non farla soffrire.-
-No, certo. No. Si chiama Sibilla, è giovane. Fra me e lei ci saranno dieci anni.-
-Non vuol dire niente. Sibilla è un bel nome, deciditi. Diventi vecchio anche tu.-
Giovanni annuì.
-E' vero.-disse.
-Valla a trovare. Vercelli, Roma? Una soluzione si trova sempre.-
-Ho ancora due giorni, passerò da lei. Voglio vedere cosa succede da quelle parti.-
-Cosa vuoi che succeda... Lo sai che si parla di Turbini in lista con i democristiani?-
-Turbini! Il camerata Turbini. Quanto ha pagato per rifarsi la verginità?-
-Non lo so se ha pagato, oppure hanno pagato lui, ma è certo che questi non sono scomparsi affatto. E...-
-Non è poi tutto male quello che succede. Vedi, sono costretti a ricorrere a gente come Turbini, una spia, un venduto ai fascisti, uno che s'è tolto il distintivo e poi se l'è rimesso dopo il discorso di Graziani. Noi siamo molto forti, e cresciamo in iscritti e in organizzazione. Te lo dico perché queste cose le vedo tutti i giorni. Dobbiamo utilizzare, ora che siamo all'opposizione, gli strumenti che la democrazia borghese ci mette a disposizione. Saranno loro a non poter fare a meno di violare gli impegni che hanno preso con il paese, e a violare le regole democratiche. Quello sarà l'inizio di una fase nuova che ci porterà a prendere il potere e instaurare una democrazia socialista. Oggi dall'opposizione dobbiamo ricostruire questo paese imponendo scelte a favore dei lavoratori, scelte che allarghino forme di partecipazione democratica, per esempio all'interno delle fabbriche...Ma non solo, dobbiamo guardare anche al modo di amministrare...-
-E se loro licenziano i compagni?-
-Noi denunceremo il comportamento del padronato nei confronti dei lavoratori più coscienti.-
-Tutto mi sembra un po' troppo tirato per le lunghe. Se qualcosa doveva accadere era quando eravate voi la polizia nelle città. Oggi gli americani, gli inglesi e addirittura Stalin, non ci faranno fare la rivoluzione. Non vedi la Grecia?-
-In Grecia sono stati commessi errori, noi siamo in una situazione differente, agiamo sul terreno della democrazia. La costituzione l'abbiamo scritta anche noi e i Savoia li abbiamo mandati a casa. Questo non devi dimenticarlo e non possono scordarselo nemmeno De Gasperi e compagnia bella.-
Clotilde represse uno sbadiglio.
-Hai sonno. Ti saluto, starei a parlare con te per tutta la notte.-disse Giovanni.
-No, no, io di notte dormo e tu torna a casa. Fai compagnia un poco a tua madre.-rispose Clotilde.
Si ricordò di sua madre. Non aveva più pensato ad Elena per tutto il pomeriggio, distratto dalla riunione e dal comizio e poi da Clotilde, dalla politica e dai suoi amori, quelli passati e quelli dal futuro incerto.

Forse mi aspetta ancora.

Giovanni baciava Clotilde e le prometteva che avrebbe scritto.
-Vai a trovare Sibilla.-gli disse Clotilde.
                             

Nella casa di campagna sarebbero rimaste Elena e Armandina. Giovanni aveva insistito, ma Elena non voleva tornare alla Villa dei Riva, a due passi dal centro e dai negozi.

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