domenica 1 febbraio 2015

Noi cambieremo il mondo. Di Stefano Viaggio. Settima parte. Quarto episodio

-Che farei a Roma? Sto bene qui e di politica non ci capisco niente, Giovanni. Ti ascolto, ti seguo, so che pensi cose giuste e che ci metti l'anima, ma io a Roma che ci vengo a fare?-
Il partito gli aveva chiesto di andare a Roma, lo chiamavano al Centro perché ora, dopo la sconfitta elettorale di aprile, avevano bisogno di compagni come lui. Il 18 aprile il Fronte aveva perso e dopo un siciliano aveva sparato a Togliatti, era chiaro che volevano liquidare i comunisti. C'era una nuova guerra alle porte, e questa volta il nemico di classe sganciava le bombe atomiche. L'avrebbero usata contro la patria del socialismo. Il lavoro che non erano riusciti a fare i nazisti, l' avrebbero concluso gli americani.
-Vieni con me.-
Parole che sbattevano contro il muro del suo rifiuto.
Le aveva detto che non era necessario chiudere la fabbrica di materiale elettrico e nemmeno l'osteria. Agnese l'aveva guardato e aveva scosso il capo. Era come se gli avesse risposto: mi prendi in giro?
-Non vuoi vivere con un comunista. Questa è la verità.-
S'era lasciato cadere su una sedia impagliata e guardava il muro. Quella frase ad Agnese era sembrata enorme. Era la prima volta che litigavano sul serio.
-E non vivo con un comunista?-
Lui aveva continuato a guardare il muro. Ma come faceva a non capire che tutto, si, tutto, tornava come prima. E c'era gente che aveva pagato con la galera, che era morta, che aveva ucciso, pur di cambiare le cose. Quelli di prima erano tornati a comandare, sotto altre vesti, ma erano sempre gli stessi. Il popolo li aveva votati per uno sfilatino, una pagnotta disegnata su un manifesto. E i preti parlavano dal pulpito, e gli americani mandavano il riso e la farina. Tutto, tutto maledettamente apposto. Perdio! E anche loro, i vecchi squadristi ora non avevano paura di farsi vedere in giro. La paura di venir presi di notte per saldare i conti diventava solo un brutto ricordo.
Aveva udito la voce di Agnese.
-La gente è stanca.-
Aveva sentito la sua mano posarsi sulla spalla e s'era voltato finalmente. E gli mancava il cuore, sapeva di aver già deciso. Sarebbe partito senza di lei. Ma come avrebbe fatto a voler bene un'altra? Com'era possibile perdere Agnese? S'era chiesto allora cosa sarebbe accaduto se avesse detto di no al partito. Qualcuno avrebbe commentato: "E' tornato a casa. La famiglia Riva, la vecchia e grande famiglia Riva…Il rischio d'altra parte c'era. Ci siamo sbagliati."
-Stanno ingannando i lavoratori.-le aveva risposto.-Siamo solo a una battuta d'arresto: dobbiamo resistere, diventare più forti. La gente capirà.-
E Agnese s'era inginocchiata davanti a lui, gli aveva afferrato le mani. Lo guardava negli occhi.
-Da me vengono le donne a chieder lavoro per i mariti e io non posso perché la fabbrica è piccola. Dove li trovo i soldi? La gente deve vivere.-
Questo gli aveva detto Agnese.
Si. Tutto vero. La gente deve vivere. Eppure...
-Cosa credi di fare con la tua fabbrichetta?- era la rabbia che lo faceva parlare così.-Diventerai come gli altri, dovrai sfruttare per sopravvivere, licenzierai, se è necessario. Trufferai sul lavoro di quelli che vuoi aiutare. E' stato sempre così, non esistono le anime buone del capitale. E tu non sarai diversa.-
Agnese allora s'era sollevata ed era andata a gettarsi sul letto, offesa aveva chiuso gli occhi e col passare dei minuti, in quel silenzio, mentre la nebbia invadeva la campagna, a Giovanni era parso che si fosse addormentata. Era rimasto a guardare la notte nebbiosa, il silenzio rotto da rari camion diretti verso le montagne. S'era accorto che Agnese piangeva. Era la prima volta che la vedeva piangere di dolore.

Gli era andata incontro correndo,  si faceva largo in mezzo alla folla il giorno della vittoria. Dopo la battaglia alla Cascina Grande fermava i partigiani per la strada e chiedeva dov'era Giovanni Riva.
Le donne allora le avevano urlato:
-Riva è salvo! Guarda, Agnese Vairos. Arrivano!-
-Agnese!-la voce di Giovanni sovrastava tutte le altre, lui saltava giù dal camion e le correva incontro.
Quel giorno Agnese aveva pianto per la felicità.

Le era andato vicino, s'era steso sul letto accanto a lei, le aveva detto che non le pensava quelle cose, che si rimangiava tutte le parole cattive. E le aveva chiesto di perdonarlo, ma lui voleva andare a Roma. E quando Agnese aveva smesso di piangere e s'era calmata, avevano parlato e convenuto insieme che era meglio così. Giovanni doveva partire. Si, per tutti e due era meglio. Poi, poi, si sarebbe visto il da farsi.
-Ti scrivo appena arrivo a Roma, fra due settimane sono di nuovo qui.-le aveva detto alla stazione. Agnese, senza dirlo, gli aveva augurato la buona fortuna.  

Elena parlava con Nanda in dialetto. Così era cambiata la signora Riva. Giovanni aveva spalancato la grande finestra del salotto, lasciava che il sole del primo pomeriggio invadesse la stanza.
Si avvicinò alla soglia per ricevere il calore del sole che lo abbagliò, osservò il giardino riparandosi gli occhi.

Che senso ha pensare a lei dopo dieci anni?

E il pensiero tornò a quella casa, alle finestre che non si aprivano, ai meridionali venuti al nord per lavorare. Fra pochi giorni le elezioni avrebbero detto se dopo Budapest il destino dei comunisti italiani era segnato, oppure... L'Italia aveva bisogno dei comunisti: Giovanni ne era convinto. Gli vennero in mente le parole di Antonio al processo.

Voi distruggerete l'Italia, saranno i comunisti a ricostruirla.

Quanto tempo era passato? Quando s'erano udite le parole di Gramsci? Allora Giovanni era un ragazzino, Elena giovane e bella, Villa Riva aperta e il giardino ogni primavera fioriva. Giovanni era passato davanti a Villa Riva per caso e non era nemmeno entrato a controllare se i calcinacci venivano ancora giù dal cornicione della facciata. Elena s'era raccomandata tanto.

Dobbiamo venderla.

Elena e Nanda in campagna e lui sarebbe tornato a Roma. Tutto il resto erano sogni.
                             
La carezza. Leggevo le parole difficili che non capivo.

-Adesso dormi.-disse Agnese e baciò sulla fronte sua figlia.
-Quando andiamo a trovare zia Elena?-
-Ci andiamo?...Domenica. Ora dormi, domani devi andare a scuola. Buona notte.-
Ancora una bacio. Agnese spense la lucina e uscì dalla camera di Tiziana.

S'è affezionata. Lui non sa niente. Nanda me l'ha detto che lui non sa niente.

Agnese sedette sul letto e rimase così, con le mani abbandonate in grembo. Pensava a quella cosa strana. La vita. Era successo tre anni prima. Una domenica pomeriggio, mentre con Tiziana girovagava senza meta per la campagna, aveva incontrato Elena Riva. A quell'epoca Agnese guidava ancora la vecchia giardinetta. Aveva imboccato una strada secondaria che incrociava la nazionale, Tiziana diceva che voleva far pipì e lei aveva parcheggiato davanti a una villetta signorile a due piani, come quelle che non s'usava più costruire. Ad Agnese ricordava certe ville  dei paesi di Liguria dove andava a passare una settimana d'estate insieme a sua figlia.
E nel giardino c'era una signora, osservava le rose sbocciate appena dietro la bassa inferriata. Era stata Elena che l'aveva chiamata da dietro il cancelletto del cortile. Sorrideva quell'anziana signora.
-Agnese, sono io. La signora Riva.-aveva detto. Agnese s'era tolta gli occhiali scuri e aveva riconosciuto la sua antica padrona. Un giorno le aveva fatto tanto male e poi le aveva chiesto di perdonarla. Era la madre di Giovanni che dopo la partenza di suo figlio per Roma le aveva detto:
-Mi dispiace, ti avrei accolto in casa mia come una figlia.-
Agnese teneva Tiziana per mano.
-Venite. Venite dentro. Oggi è così bello.-
E sulla soglia dell'uscio era comparsa Armandina che allargava le braccia e diceva.
-Agnese. Quanto tempo.-
E allora Tiziana aveva pensato che  dovevano essere delle zie di sua mamma, zie che ancora non conosceva e che le avrebbero regalato  chissà quali giocattoli.
Elena, Agnese e Armandina s'erano sedute in giardino e quando il sole stava per tramontare Elena aveva detto:
-Ora prepariamo tavola. Tiziana mangia tutto, vero?-
E Agnese s'era sentita in dovere di rispondere:
-Non si dia disturbo signora Elena, andiamo a casa.-
-No. No.-era intervenuta Armandina-Ci vuole un minuto.-
Tiziana accarezzava il vecchio gatto che s'era fatto fare di tutto dalla bambina quel pomeriggio. Agnese s'era accorta che Elena osservava Tiziana e che una lacrima stava sul ciglio, pronta a scendere giù.

La sua vita non è stata facile...

In quello strano pomeriggio non avevano parlato di Giovanni. Ma poi, quando Agnese le aveva chiesto di suo figlio, Elena aveva chiuso le mani in segno di preghiera e aveva detto.
-Sta in Parlamento.-
Questo Agnese lo sapeva.
-Certo, debbo essere contenta. Ma la vita che ha scelto...-
Elena non era andata avanti.
-E' la sua vita. Ci crede molto in quelle cose, è una fortuna che ci siano anche loro. Io non ho smesso di votare per il partito di Giovanni.-aveva risposto Agnese.
Elena s'era messa a ridere.
-Un giorno mi ha detto che non votavo per i comunisti, ne era certo. E io glielo lascio credere. Io voto per i comunisti da quando è finita la guerra. Il padre, mio marito, non lo sapeva.-
Così era nata questa amicizia.
Agnese salutando Elena e Armandina aveva chiamato Tiziana che cercava ancora il gatto, poi aveva detto:
-Il padre non c'è.-
-E' una bella bambina. Sei fortunata.-aveva risposto Elena.
Un patto s'era stabilito fra loro: Giovanni non doveva saper niente di quelle visite settimanali. Dopo la morte di Armandina, Agnese telefonava ad Elena una volta al giorno. Era capitato che per impegni di lavoro dovesse lasciarle la bambina e Tiziana s'era affezionata a quella signora che considerava certamente una zia, come quelle della montagna, le mogli dei fratelli di Agnese, che però non vedeva mai.
                            
Agnese s'era preparata per la notte, ma non aveva sonno. Il ricordo del giovanottino che un giorno aveva accarezzato e baciato i suoi riccioli neri non l'abbandonava. E quel giovanottino era diventato l'uomo che aveva incontrato in una casa solitaria. Aveva ripetuto lo stesso gesto. Le era capitato di avvertire la tenerezza di quel ricordo mentre sorrideva a Tiziana: se le raccontava una favola per farla addormentare, quando rimaneva sola in ufficio. Le segretarie  se ne andavano a casa e Agnese restava ancora mezz'ora a lavorare. Le accadeva di avvertire le dita di Giovanni fra i capelli. E lo aveva atteso. Perchè negarlo? Aveva sperato che Giovanni bussasse alla sua porta. Quante volte il cuore aveva cominciato a battere più forte ad uno squillo particolare del telefono.

Il telefono fa un altro  suono se chiamano da Botteghe Oscure?

Si  inquietava con se stessa e si dava della stupida.
Agnese prese fra le dita una ciocca di capelli e la osservò alla luce della lampada. Ne vide uno, due, bianchi.
-Se mi vorrà.-mormorò timorosa che qualcuno ascoltasse. Elena le aveva detto che la storia con una di Vercelli, una funzionaria del partito, così credeva, era finita da un pezzo. Agnese si volse a guardare in direzione della stanza di Tiziana, si lasciò andare contro il cuscino e allungò le gambe sul letto.

Perché quel giorno entrò nella stanza mentre tenevo in mano il libro? Un giorno e un ora precisa. Ha scoperto me che volevo sapere cos'erano quei segni misteriosi e aveva per la testa un furto. Me lo raccontò dopo la guerra, mi disse che voleva aiutare una donna a raggiungere il marito prigioniero su un'isola. E se non fossi stata lì, quel giorno, non avrei saputo che il figlio dei padroni era un cospiratore, non avrei chiesto lavoro all'Osteria del Gallo, non sarei quella che sono. La Signora Vairos, proprietaria di una fabbrica con trenta operai e cinque impiegati. Una figlia. Nessun marito. Una donna libera. Si, libera...Dio mio! Giovanni non l'ho dimenticato. C'è il nome sul manifesto. Vado al comizio? Sai lo scandalo. E se mi vede, forse non mi riconosce nemmeno. Ci sarà tanta gente. E se non mi riconosce per davvero? Figurati se non mi riconosce! Non mi ha cercata. Clotilde ha detto che non s'è sposato e quando parla di Giovanni le viene da piangere. Le ha raccolto il carbone in mezzo alla strada. Lui quarant'anni ce l'ha tutti. Eccome se ce l'ha! Fra tre mesi ne compio trentotto. E se Elena avesse rotto il patto, gli avesse raccontato che siamo amiche, che ho una figlia e che la lascio da lei quando non trovo nessuno che me la tiene e lui telefonasse ora, se il telefono squillasse e ci fosse lui dall'altra parte e mi dicesse vieni, ho voglia di vederti, di parlare con te perché voglio ringraziarti per quello che fai per mia madre...Solo questo? Ma come farei? Non posso lasciare Tiziana sola di notte e uscire di casa! Non mi chiede mai di suo padre, ma un giorno dovrò spiegarle tutto. Oddio, quel sogno! Aspetta, aspetta che me lo ricordo ancora. C'erano Clotilde e Armandina, perché non c'era Elena? E poi mia madre e Tiziana che vuole sempre giocare alla fontana quando la porto dalla nonna montanara e io che mi spavento. E c'era lui. Certo che c'era Giovanni. Me lo ricordo bene, era vestito come il giorno che l'ho visto per la strada. Parlava con i ragazzi. Politica. Sempre politica. Sua madre, com'è che ha detto? E' onorevole del PCI...Povera Elena. E' stato come se dicesse, un lavoro vero e proprio non ce l'ha. Ma quanto guadagna un onorevole del PCI? Dicono che danno tutto al partito, e Giovanni figurati se non si leva pure la camicia...Possibile che la vita per lui sia solo questo? Forse con i ragazzi parlavano del manifesto...GIOVANNI RIVA DEGNO COMPARE DI MORANNINO. CITTADINI ONESTI FATE ATTENZIONE I BANDITI SONO TORNATI...così c'era scritto...I banditi? Li ho visti appesi i ragazzi che combattevano con Giovanni. E gli altri vogliono vendicarsi dopo quello che è successo a Budapest. Forse i russi un po' di ragione ce l'hanno. Chi sta con quelli dell'Ungheria che si sono ribellati? I fascisti di qui. E allora: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Giovanni sarà in pericolo? C'è chi lo ammazzerebbe, c'è chi li ammazzerebbe tutti i comunisti. Quello, quello che fa il grossista l'ha detto alla riunione, "il migliore è il comunista morto" ha detto e io stavo per...poi sono stata zitta. Ho fatto male: dovevo dirgli in faccia quello che penso di loro. Che bella casa era Villa Riva. Elena mi ha detto che si vende quando  muore. Me lo ricordo quando ci sono entrata la prima volta. E se a Giovanni gli fanno qualcosa? No. Le dita di Giovanni come la cera. Così sono i morti. Le dita che m'hanno accarezzato i capelli, il petto, i fianchi...Dio. Dio. Ma stasera che succede? Non è possibile. Lo proteggeranno, è piena di vecchi partigiani la città e il suo partito gli vuole bene. Ma cosa vado a pensare. Mamma mia com'ero felice quando sono tornata alla villa quel giorno, quando mi ha scritto ti voglio bene in greco. Ci abbiamo riso tanto dieci anni fa...quarantaquattro...quarantotto. Quattro anni come marito e moglie. Perché Tiziana non è figlia sua? Che stupida sono stata. Ora potrei dirgli: guarda che tua figlia sta per finire le elementari...Guai a chi me la tocca Tiziana! Il padre...che faccia aveva il padre? Quante ragazze ci cascano e ci restano. Io almeno avevo la fabbrica e me ne sono fregata, l'ho messa al mondo questa figlia e me la portavo in ufficio e gli operai sgranavano gli occhi. Che ridere! Quella sera, nel quarantaquattro, che spavento...Ero  tornata all'osteria e avevo appena rivisto Giovanni. M'hanno detto che avevano appeso due come lui al crocevia, sono corsa e me lo vedevo già morto. Come i due ragazzi. Lo so io quanto mi sono disperata. Volevo la libertà, la mia. E la vita che ho fatto me la sono voluta, e se adesso lui parte e non mi vede? E' l'ultima occasione però. E se c'è una donna che lo aspetta a Roma? Una compagna, una del Parlamento, che sa parlare di politica, così si chiamano fra loro. Compagna Agnese. Mi chiamavano così dopo la guerra, anche a me. Non deve partire senza vedermi. E se mi prendesse la mano per non lasciarla più? Mai più. Stasera ragiono come una ragazzina. Le cose capitano una volta nella vita. Al cinema però...Sei proprio scema. La vita mica è un film d'amore. E vai! Se ti vuole ancora, bene, sennò amen e tutto torna come prima. Io a Elena però non  dico niente. Pensa se ci presentassimo da Elena insieme. Pensa...Lui riparte per Roma e tu stai qui a chiederti se. Vai! Io sono una signora, che ci faccio al comizio dei comunisti? Sono diventata una signora...

Agnese si sollevò dal letto e scalza s'avvicinò alla porta della stanza di Tiziana che era solo accostata.

Beata lei. Elena le ha chiesto cosa vuol fare da grande e ha risposto che vuole guidare l'aeroplano. L'ha vista in televisione la pilota, la signorina americana...

                             

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