-Che farei a Roma? Sto bene qui e
di politica non ci capisco niente, Giovanni. Ti ascolto, ti seguo, so che pensi
cose giuste e che ci metti l'anima, ma io a Roma che ci vengo a fare?-
Il partito gli aveva chiesto di
andare a Roma, lo chiamavano al Centro perché ora, dopo la sconfitta elettorale
di aprile, avevano bisogno di compagni come lui. Il 18 aprile il Fronte aveva
perso e dopo un siciliano aveva sparato a Togliatti, era chiaro che volevano
liquidare i comunisti. C'era una nuova guerra alle porte, e questa volta il
nemico di classe sganciava le bombe atomiche. L'avrebbero usata contro la
patria del socialismo. Il lavoro che non erano riusciti a fare i nazisti, l'
avrebbero concluso gli americani.
-Vieni con me.-
Parole che sbattevano contro il
muro del suo rifiuto.
Le aveva detto che non era
necessario chiudere la fabbrica di materiale elettrico e nemmeno l'osteria.
Agnese l'aveva guardato e aveva scosso il capo. Era come se gli avesse
risposto: mi prendi in giro?
-Non vuoi vivere con un
comunista. Questa è la verità.-
S'era lasciato cadere su una
sedia impagliata e guardava il muro. Quella frase ad Agnese era sembrata
enorme. Era la prima volta che litigavano sul serio.
-E non vivo con un comunista?-
Lui aveva continuato a guardare
il muro. Ma come faceva a non capire che tutto, si, tutto, tornava come prima.
E c'era gente che aveva pagato con la galera, che era morta, che aveva ucciso,
pur di cambiare le cose. Quelli di prima erano tornati a comandare, sotto altre
vesti, ma erano sempre gli stessi. Il popolo li aveva votati per uno sfilatino,
una pagnotta disegnata su un manifesto. E i preti parlavano dal pulpito, e gli
americani mandavano il riso e la farina. Tutto, tutto maledettamente apposto.
Perdio! E anche loro, i vecchi squadristi ora non avevano paura di farsi vedere
in giro. La paura di venir presi di notte per saldare i conti diventava solo un
brutto ricordo.
Aveva udito la voce di Agnese.
-La gente è stanca.-
Aveva sentito la sua mano posarsi
sulla spalla e s'era voltato finalmente. E gli mancava il cuore, sapeva di aver
già deciso. Sarebbe partito senza di lei. Ma come avrebbe fatto a voler bene
un'altra? Com'era possibile perdere Agnese? S'era chiesto allora cosa sarebbe
accaduto se avesse detto di no al partito. Qualcuno avrebbe commentato:
"E' tornato a casa. La famiglia Riva, la vecchia e grande famiglia Riva…Il
rischio d'altra parte c'era. Ci siamo sbagliati."
-Stanno ingannando i
lavoratori.-le aveva risposto.-Siamo solo a una battuta d'arresto: dobbiamo
resistere, diventare più forti. La gente capirà.-
E Agnese s'era inginocchiata
davanti a lui, gli aveva afferrato le mani. Lo guardava negli occhi.
-Da me vengono le donne a chieder
lavoro per i mariti e io non posso perché la fabbrica è piccola. Dove li trovo
i soldi? La gente deve vivere.-
Questo gli aveva detto Agnese.
Si. Tutto vero. La gente deve
vivere. Eppure...
-Cosa credi di fare con la tua
fabbrichetta?- era la rabbia che lo faceva parlare così.-Diventerai come gli
altri, dovrai sfruttare per sopravvivere, licenzierai, se è necessario.
Trufferai sul lavoro di quelli che vuoi aiutare. E' stato sempre così, non
esistono le anime buone del capitale. E tu non sarai diversa.-
Agnese allora s'era sollevata ed
era andata a gettarsi sul letto, offesa aveva chiuso gli occhi e col passare
dei minuti, in quel silenzio, mentre la nebbia invadeva la campagna, a Giovanni
era parso che si fosse addormentata. Era rimasto a guardare la notte nebbiosa,
il silenzio rotto da rari camion diretti verso le montagne. S'era accorto che
Agnese piangeva. Era la prima volta che la vedeva piangere di dolore.
Gli era andata incontro
correndo, si faceva largo in mezzo alla
folla il giorno della vittoria. Dopo la battaglia alla Cascina Grande fermava i
partigiani per la strada e chiedeva dov'era Giovanni Riva.
Le donne allora le avevano
urlato:
-Riva è salvo! Guarda, Agnese
Vairos. Arrivano!-
-Agnese!-la voce di Giovanni
sovrastava tutte le altre, lui saltava giù dal camion e le correva incontro.
Quel giorno Agnese aveva pianto
per la felicità.
Le era andato vicino, s'era steso
sul letto accanto a lei, le aveva detto che non le pensava quelle cose, che si
rimangiava tutte le parole cattive. E le aveva chiesto di perdonarlo, ma lui
voleva andare a Roma. E quando Agnese aveva smesso di piangere e s'era calmata,
avevano parlato e convenuto insieme che era meglio così. Giovanni doveva
partire. Si, per tutti e due era meglio. Poi, poi, si sarebbe visto il da
farsi.
-Ti scrivo appena arrivo a Roma,
fra due settimane sono di nuovo qui.-le aveva detto alla stazione. Agnese,
senza dirlo, gli aveva augurato la buona fortuna.
Elena parlava con Nanda in
dialetto. Così era cambiata la signora Riva. Giovanni aveva spalancato la
grande finestra del salotto, lasciava che il sole del primo pomeriggio
invadesse la stanza.
Si avvicinò alla soglia per
ricevere il calore del sole che lo abbagliò, osservò il giardino riparandosi
gli occhi.
Che senso ha pensare a lei dopo dieci anni?
E il pensiero tornò a quella
casa, alle finestre che non si aprivano, ai meridionali venuti al nord per
lavorare. Fra pochi giorni le elezioni avrebbero detto se dopo Budapest il
destino dei comunisti italiani era segnato, oppure... L'Italia aveva bisogno
dei comunisti: Giovanni ne era convinto. Gli vennero in mente le parole di
Antonio al processo.
Voi distruggerete l'Italia, saranno i comunisti a ricostruirla.
Quanto tempo era passato? Quando
s'erano udite le parole di Gramsci? Allora Giovanni era un ragazzino, Elena
giovane e bella, Villa Riva aperta e il giardino ogni primavera fioriva.
Giovanni era passato davanti a Villa Riva per caso e non era nemmeno entrato a
controllare se i calcinacci venivano ancora giù dal cornicione della facciata. Elena
s'era raccomandata tanto.
Dobbiamo venderla.
Elena e Nanda in campagna e lui
sarebbe tornato a Roma. Tutto il resto erano sogni.
La carezza. Leggevo le parole difficili che non capivo.
-Adesso dormi.-disse Agnese e
baciò sulla fronte sua figlia.
-Quando andiamo a trovare zia
Elena?-
-Ci andiamo?...Domenica. Ora
dormi, domani devi andare a scuola. Buona notte.-
Ancora una bacio. Agnese spense
la lucina e uscì dalla camera di Tiziana.
S'è affezionata. Lui non sa niente. Nanda me l'ha detto che lui non sa
niente.
Agnese sedette sul letto e rimase
così, con le mani abbandonate in grembo. Pensava a quella cosa strana. La vita.
Era successo tre anni prima. Una domenica pomeriggio, mentre con Tiziana
girovagava senza meta per la campagna, aveva incontrato Elena Riva. A
quell'epoca Agnese guidava ancora la vecchia giardinetta. Aveva imboccato una
strada secondaria che incrociava la nazionale, Tiziana diceva che voleva far
pipì e lei aveva parcheggiato davanti a una villetta signorile a due piani,
come quelle che non s'usava più costruire. Ad Agnese ricordava certe ville dei paesi di Liguria dove andava a passare
una settimana d'estate insieme a sua figlia.
E nel giardino c'era una signora,
osservava le rose sbocciate appena dietro la bassa inferriata. Era stata Elena
che l'aveva chiamata da dietro il cancelletto del cortile. Sorrideva
quell'anziana signora.
-Agnese, sono io. La signora
Riva.-aveva detto. Agnese s'era tolta gli occhiali scuri e aveva riconosciuto
la sua antica padrona. Un giorno le aveva fatto tanto male e poi le aveva
chiesto di perdonarla. Era la madre di Giovanni che dopo la partenza di suo
figlio per Roma le aveva detto:
-Mi dispiace, ti avrei accolto in
casa mia come una figlia.-
Agnese teneva Tiziana per mano.
-Venite. Venite dentro. Oggi è
così bello.-
E sulla soglia dell'uscio era
comparsa Armandina che allargava le braccia e diceva.
-Agnese. Quanto tempo.-
E allora Tiziana aveva pensato
che dovevano essere delle zie di sua
mamma, zie che ancora non conosceva e che le avrebbero regalato chissà quali giocattoli.
Elena, Agnese e Armandina s'erano
sedute in giardino e quando il sole stava per tramontare Elena aveva detto:
-Ora prepariamo tavola. Tiziana
mangia tutto, vero?-
E Agnese s'era sentita in dovere
di rispondere:
-Non si dia disturbo signora
Elena, andiamo a casa.-
-No. No.-era intervenuta
Armandina-Ci vuole un minuto.-
Tiziana accarezzava il vecchio
gatto che s'era fatto fare di tutto dalla bambina quel pomeriggio. Agnese s'era
accorta che Elena osservava Tiziana e che una lacrima stava sul ciglio, pronta
a scendere giù.
La sua vita non è stata facile...
In quello strano pomeriggio non
avevano parlato di Giovanni. Ma poi, quando Agnese le aveva chiesto di suo
figlio, Elena aveva chiuso le mani in segno di preghiera e aveva detto.
-Sta in Parlamento.-
Questo Agnese lo sapeva.
-Certo, debbo essere contenta. Ma
la vita che ha scelto...-
Elena non era andata avanti.
-E' la sua vita. Ci crede molto
in quelle cose, è una fortuna che ci siano anche loro. Io non ho smesso di
votare per il partito di Giovanni.-aveva risposto Agnese.
Elena s'era messa a ridere.
-Un giorno mi ha detto che non
votavo per i comunisti, ne era certo. E io glielo lascio credere. Io voto per i
comunisti da quando è finita la guerra. Il padre, mio marito, non lo sapeva.-
Così era nata questa amicizia.
Agnese salutando Elena e
Armandina aveva chiamato Tiziana che cercava ancora il gatto, poi aveva detto:
-Il padre non c'è.-
-E' una bella bambina. Sei
fortunata.-aveva risposto Elena.
Un patto s'era stabilito fra loro:
Giovanni non doveva saper niente di quelle visite settimanali. Dopo la morte di
Armandina, Agnese telefonava ad Elena una volta al giorno. Era capitato che per
impegni di lavoro dovesse lasciarle la bambina e Tiziana s'era affezionata a
quella signora che considerava certamente una zia, come quelle della montagna,
le mogli dei fratelli di Agnese, che però non vedeva mai.
Agnese s'era preparata per la
notte, ma non aveva sonno. Il ricordo del giovanottino che un giorno aveva
accarezzato e baciato i suoi riccioli neri non l'abbandonava. E quel
giovanottino era diventato l'uomo che aveva incontrato in una casa solitaria.
Aveva ripetuto lo stesso gesto. Le era capitato di avvertire la tenerezza di
quel ricordo mentre sorrideva a Tiziana: se le raccontava una favola per farla
addormentare, quando rimaneva sola in ufficio. Le segretarie se ne andavano a casa e Agnese restava ancora
mezz'ora a lavorare. Le accadeva di avvertire le dita di Giovanni fra i
capelli. E lo aveva atteso. Perchè negarlo? Aveva sperato che Giovanni bussasse
alla sua porta. Quante volte il cuore aveva cominciato a battere più forte ad
uno squillo particolare del telefono.
Il telefono fa un altro suono se
chiamano da Botteghe Oscure?
Si inquietava con se stessa e si dava della
stupida.
Agnese prese fra le dita una
ciocca di capelli e la osservò alla luce della lampada. Ne vide uno, due,
bianchi.
-Se mi vorrà.-mormorò timorosa
che qualcuno ascoltasse. Elena le aveva detto che la storia con una di
Vercelli, una funzionaria del partito, così credeva, era finita da un pezzo.
Agnese si volse a guardare in direzione della stanza di Tiziana, si lasciò
andare contro il cuscino e allungò le gambe sul letto.
Perché quel giorno entrò nella stanza mentre tenevo in mano il libro? Un
giorno e un ora precisa. Ha scoperto me che volevo sapere cos'erano quei segni misteriosi
e aveva per la testa un furto. Me lo raccontò dopo la guerra, mi disse che
voleva aiutare una donna a raggiungere il marito prigioniero su un'isola. E se
non fossi stata lì, quel giorno, non avrei saputo che il figlio dei padroni era
un cospiratore, non avrei chiesto lavoro all'Osteria del Gallo, non sarei
quella che sono. La
Signora Vairos , proprietaria di una fabbrica con trenta
operai e cinque impiegati. Una figlia. Nessun marito. Una donna libera. Si,
libera...Dio mio! Giovanni non l'ho dimenticato. C'è il nome sul manifesto.
Vado al comizio? Sai lo scandalo. E se mi vede, forse non mi riconosce nemmeno.
Ci sarà tanta gente. E se non mi riconosce per davvero? Figurati se non mi
riconosce! Non mi ha cercata. Clotilde ha detto che non s'è sposato e quando
parla di Giovanni le viene da piangere. Le ha raccolto il carbone in mezzo alla
strada. Lui quarant'anni ce l'ha tutti. Eccome se ce l'ha! Fra tre mesi ne
compio trentotto. E se Elena avesse rotto il patto, gli avesse raccontato che
siamo amiche, che ho una figlia e che la lascio da lei quando non trovo nessuno
che me la tiene e lui telefonasse ora, se il telefono squillasse e ci fosse lui
dall'altra parte e mi dicesse vieni, ho voglia di vederti, di parlare con te
perché voglio ringraziarti per quello che fai per mia madre...Solo
questo? Ma come farei? Non posso lasciare Tiziana sola di notte e uscire di
casa! Non mi chiede mai di suo padre, ma un giorno dovrò spiegarle tutto.
Oddio, quel sogno! Aspetta, aspetta che me lo ricordo ancora. C'erano Clotilde
e Armandina, perché non c'era Elena? E poi mia madre e Tiziana che vuole sempre
giocare alla fontana quando la porto dalla nonna montanara e io che mi
spavento. E c'era lui. Certo che c'era Giovanni. Me lo ricordo bene, era
vestito come il giorno che l'ho visto per la strada. Parlava con i ragazzi.
Politica. Sempre politica. Sua madre, com'è che ha detto? E' onorevole del
PCI...Povera Elena. E' stato come se dicesse, un lavoro vero e proprio non ce
l'ha. Ma quanto guadagna un onorevole del PCI? Dicono che danno tutto al
partito, e Giovanni figurati se non si leva pure la camicia...Possibile che la
vita per lui sia solo questo? Forse con i ragazzi parlavano del manifesto...GIOVANNI RIVA DEGNO COMPARE DI
MORANNINO. CITTADINI ONESTI FATE ATTENZIONE I BANDITI SONO TORNATI...così c'era
scritto...I banditi? Li ho visti appesi i ragazzi che combattevano con
Giovanni. E gli altri vogliono vendicarsi dopo quello che è successo a
Budapest. Forse i russi un po' di ragione ce l'hanno. Chi sta con quelli
dell'Ungheria che si sono ribellati? I fascisti di qui. E allora: dimmi con chi
vai e ti dirò chi sei. Giovanni sarà in pericolo? C'è chi lo ammazzerebbe, c'è
chi li ammazzerebbe tutti i comunisti. Quello, quello che fa il grossista l'ha
detto alla riunione, "il migliore è il comunista morto" ha detto e io
stavo per...poi sono stata zitta. Ho fatto male: dovevo dirgli in faccia quello
che penso di loro. Che bella casa era Villa Riva. Elena mi ha detto che si
vende quando muore. Me lo ricordo quando
ci sono entrata la prima volta. E se a Giovanni gli fanno qualcosa? No. Le dita
di Giovanni come la cera. Così sono i morti. Le dita che m'hanno accarezzato i
capelli, il petto, i fianchi...Dio. Dio. Ma stasera che succede? Non è
possibile. Lo proteggeranno, è piena di vecchi partigiani la città e il suo
partito gli vuole bene. Ma cosa vado a pensare. Mamma mia com'ero felice quando
sono tornata alla villa quel giorno, quando mi ha scritto ti voglio bene in
greco. Ci abbiamo riso tanto dieci anni fa...quarantaquattro...quarantotto.
Quattro anni come marito e moglie. Perché Tiziana non è figlia sua? Che stupida
sono stata. Ora potrei dirgli: guarda che tua figlia sta per finire le
elementari...Guai a chi me la tocca Tiziana! Il padre...che faccia aveva il
padre? Quante ragazze ci cascano e ci restano. Io almeno avevo la fabbrica e me ne sono fregata, l'ho messa al mondo
questa figlia e me la portavo in ufficio e gli operai sgranavano gli occhi. Che
ridere! Quella sera, nel quarantaquattro, che spavento...Ero tornata all'osteria e avevo appena rivisto
Giovanni. M'hanno detto che avevano appeso due come lui al crocevia, sono corsa
e me lo vedevo già morto. Come i due ragazzi. Lo so io quanto mi sono
disperata. Volevo la libertà, la mia. E la vita che ho fatto me la sono voluta,
e se adesso lui parte e non mi vede? E' l'ultima occasione però. E se c'è una
donna che lo aspetta a Roma? Una compagna, una del Parlamento, che sa parlare
di politica, così si chiamano fra loro. Compagna Agnese. Mi chiamavano così
dopo la guerra, anche a me. Non deve partire senza vedermi. E se mi prendesse
la mano per non lasciarla più? Mai più. Stasera ragiono come una ragazzina. Le
cose capitano una volta nella vita. Al cinema però...Sei proprio scema. La vita
mica è un film d'amore. E vai! Se ti vuole ancora, bene, sennò amen e tutto
torna come prima. Io a Elena però non dico niente. Pensa se ci presentassimo
da Elena insieme. Pensa...Lui riparte per Roma e tu stai qui a chiederti se.
Vai! Io sono una signora, che ci faccio al comizio dei comunisti? Sono
diventata una signora...
Agnese si sollevò dal letto e
scalza s'avvicinò alla porta della stanza di Tiziana che era solo accostata.
Beata lei. Elena le ha chiesto cosa vuol fare da grande e ha risposto che
vuole guidare l'aeroplano. L'ha vista in televisione la pilota, la signorina
americana...
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