domenica 1 febbraio 2015

Noi cambieremo il mondo. Di Stefano Viaggio. Settima parte . Primo episodio.

Quando?
Nel sessanta. Era il sessantatrè?

Erano andati in montagna a trovare Perruchon che li aveva portati sino al villaggio, a casa sua, e Agnese s'era affacciata su quella balconata naturale  per vedere se da lassù, proprio di fronte a loro, ma nell'altra valle, avrebbe visto il suo villaggio. Ci viveva ancora un fratello. Aveva indicato a Tiziana un punto lontano e le chiedeva se ricordava nonna Amalia.
Giovanni guarda la fotografia. Tiziana al centro, fra Perruchon e Agnese.

Com'è poi accaduto che... Sì... Il gelato. Il gelato di una domenica. Quel giorno Tiziana portava la stessa tutina che gli aveva comprato la madre per portarla in montagna, da Perruchon. Erano secoli che non ci vedevamo con Perruchon. Lui Agnese la chiamava signora, con me parlava in patois, ma davanti ad Agnese no. E Tiziana era corsa dietro alle galline...E s'è presa anche una sculacciata dalla madre. Com'è successo? Prima o dopo l'andata in montagna? Forse prima.

Nell'album c'è un'altra fotografia di quella gita in Valle d'Aosta. Agnese e Tiziana stanno accanto alle caprette di Perruchon.

Si. Quella domenica avevamo portato a spasso la bambina e loro s'erano sedute sulla panchina del lungofiume. Ho detto, vado a prendere il gelato. Era estate? No, impossibile. Se era il sessanta, con quello che è successo nel sessanta non potevo essere con loro. Forse solo primavera. Allora era il sessantatre. Settembre? Settembre. Sono andato a prendere i coni e mi son sentito chiamare.

-Onorevole Riva, mi scusi, posso importunarla?-
Era un signore anziano. S'era presentato e aveva detto quelle cose. I coni si scioglievano al sole e le mani se le sentiva appiccicose. Era insopportabile. Agnese e Tiziana lo guardavano, lui ascoltava il signore anziano. Alla fine aveva voluto stringergli la mano.

Quando sono tornato alla panchina, Agnese mi ha chiesto chi era. Cercavo di pulire il cono, lo avvolgevo in un fazzoletto perché Tiziana portava la tutina pulita. Guardavo in direzione del gelataio. Quel signore se n'era andato. Non l'ho mai più visto.-Ma chi era?- Agnese aveva abbassato la voce, come se Tiziana non dovesse udire una rivelazione pericolosa.-Uno che conosce la mia vita. Ha detto che si è occupato di me sin da quando ero ragazzo. Conosce anche te.-Che vuoi dire?-E' andato in pensione da anni. Voleva congratularsi. Ha detto che siamo una bella famiglia. Ha detto che non avrebbe creduto mai che io...-

Vincenzo aprì la rivista sulle pagine centrali occupate interamente da fotografie di gente armata con impermeabili chiari, stretti alla vita da cinturoni militari e cartucciere. Un carro armato affondava in un lago di carburante. Qualcuno sul carro aveva issato la bandiera nazionale ungherese.
Vincenzo guardò Sibilla e Giovanni.
-Voi mi dovete spiegare se tutto questo è il vero volto di un'enorme balla che ci siamo raccontati oppure è la solita invenzione del nemico di classe. Oppure c'è  un altro potere, che ci è assolutamente ignoto, sta rintanato in un cratere della Luna, e ci invia fotografie, informazioni, notizie. Non esagero affatto. Quello che sto dicendo, qualcuno l'ha pensato e se n'è convinto: lo scopo è distruggere l'unità del campo socialista. Ma il campo socialista è a pezzi!-
Rovesciò bruscamente la rivista e mostrò le fotografie.
-Esci dal partito allora.-
Sibilla parlò con un tono gelido che non sorprese Giovanni.
-Sono storie terribili.-Vincenzo ignorò le parole di Sibilla-E' un anno che veniamo bombardati. Si. Questa è la parola giusta. Bombardati. Da fotografie come queste. E ci sta bene un partito che prima tentenna, poi giustifica, poi assolve e infine condanna...per poi mettersi in riga. No. E' ridicolo. Io non ci sto più. La verità. Non possiamo continuare a giocare con la verità!-
Lo sguardo di Giovanni si spostò da Sibilla a Vincenzo e poi tornò su Sibilla. Il suo amico e la sua donna stavano uno di fronte all'altra in quel prato brullo e freddo, l'autunno che finiva annunciava un inverno duro. Giovanni provò una sensazione di fastidio, simile al gelo che sentiva salire sulle gambe, s'insinuava nelle pieghe degli abiti sino a raggiungere il petto. 

Quanto bisognerà attendere per riavere il Sole, i fiori, il caldo?

Si chiese se non avesse commesso un grave errore nel passare a trovare Sibilla insieme a Vincenzo. Sibilla trattava sempre Vincenzo come un caro amico, erano capaci di punzecchiarsi per ore, di ridere sino a notte fonda per tutti i pettegolezzi che Vincenzo conosceva sui dirigenti del partito. Ma questa volta era diverso; Giovanni conosceva le posizioni di Vincenzo su quello che succedeva a Budapest. E Sibilla insisteva:
-I russi a Budapest difendono il socialismo.-
Era la frase, Vincenzo lo chiamava il ritornello, che ormai si ripeteva in tutte le sezioni da quando il partito aveva scelto.
-Che gran bordello.-mormorò Giovanni.
Lui e Vincenzo non erano venuti a trovare Sibilla per trascorrere una  vacanza. Il partito aveva mandato in giro per l'Italia compagni fidati per verificare la situazione organizzativa in caso di un colpo di mano contro i comunisti. Giovanni s'era portato dietro Vincenzo, voleva coinvolgerlo in un momento difficile.
-Sono queste le situazioni in cui il compagno dimostra la sua serietà e l'attaccamento al partito.-aveva risposto a coloro che dubitavano sull'opportunità di mandare in giro uno come Vincenzo che non nascondeva le sue posizioni.
Vincenzo era un giornalista e Giovanni s'era sentito chiedere:
-E se, magari in un eccesso di entusiasmo democraticista, questo rivela situazioni e stati d'animo diffusi che possono favorire l'avversario?-
Giovanni aveva risposto che della correttezza di Vincenzo garantiva personalmente.
Ora Vincenzo ribatteva a Sibilla, ma Giovanni invece seguiva i suoi pensieri: rivedeva Vincenzo che dava cazzotti in mezzo alla strada, la sera che i fascisti, i democristiani, i socialdemocratici, tutti uniti per farla finita con i comunisti, erano venuti a via delle Botteghe Oscure. Il giorno prima a Parigi la sede dell'Humanitè era stata incendiata e sette comunisti erano morti nel rogo. Vincenzo prendeva a calci nel culo gli studenti calati in centro da Piazza delle Medaglie d'Oro e dal Tuscolano, i sottoproletari che s'erano messi sul petto i vecchi distintivi col fascio littorio, quelli armati di mazze di ferro: tre giorni prima avevano mandato all'ospedale due compagni della FGCI che vendevano l'Unità alla Garbatella. Un'altra provocazione a cui s'era risposto mobilitando i vecchi partigiani, gli ex gappisti di Roma. Gente che era passata per Via Tasso.

Parigi...

Giovanni contò gli anni. Ne erano passati venti dalla domenica della coltellata del Camelot du Roy. Il Vincenzo che dava cazzotti aveva pubblicato un libretto di racconti, stava scrivendo un romanzo e con Giovanni discuteva di Sartre e della grande letteratura borghese del secolo.
Ma ora, in quel momento, davanti a Vincenzo e Sibilla che non scherzavano più e parlavano con l'astio sulla punta della lingua, Giovanni sentiva che il suo amico andava oltre quella critica costruttiva che avrebbe consentito a tutto il partito di superare una situazione difficile e affrontare i tempi nuovi. Perché era questo che Giovanni aveva capito di tutte le incertezze, i ripensamenti del gruppo dirigente di cui anche lui faceva parte. E Giovanni condivideva la posizione assunta, ne era convinto: difendere l'Unione Sovietica era l'unica strada possibile.

Matteo è morto gridando il nome di Stalin. Questo hanno raccontato i testimoni. Come può ora Sibilla...

Giovanni sentì il gelo diventare più insistente e fastidioso sulle ginocchia.

Posso permettere che Vincenzo utilizzi la stessa parola, imperialismo, per definire l'azione dei russi a Budapest? Io, Giovanni Riva, posso accettare che laggiù si sia costruito tutto sul delitto e sull'errore? Ma queste non erano le cose che ci dicevamo in segreto quando sentivamo parlare dei processi? E quello che ho visto...

-E' un luogo di peccato!-gridò Sibilla.-Così ha detto il parroco domenica in chiesa, ma non ha convinto nessuno. La gente in cooperativa c'è venuta lo stesso e tutti dicono: i russi fanno bene e in Ungheria è tornato il fascismo.-

E' l'intuito di contadina. Lei è una proletaria e loro si fidano ancora. Hanno ragione, pensano col cuore. Perdio! Diamo ascolto alla voce del cuore.

-E va bene.-disse Vincenzo-Sarà pure come dici tu, la gente è convinta che in Ungheria è tornato il fascismo. Ma erano fascisti anche tutti i compagni che vennero liquidati prima della guerra? Gente che la rivoluzione l'aveva fatta, eccome se l'aveva fatta! Nel trentaquattro fecero un congresso, il settanta per cento dei delegati a quel congresso fu eliminato, nel trentotto erano tutti morti. Lo capisci? Tutti morti.-
-Non sono mica scema.-
E allora Giovanni udì per la millesima volta le parole di giustificazione. Giustificare l'errore, ecco la parola d'ordine che volava, di sezione in sezione, da un comitato federale all'altro.
-...erano assediati e non avevano alternative. I fascisti hanno occupato l'Austria, la Cecoslovacchia e alla fine la Polonia...-

Si. E' vero, ma che c'entra con i processi e le congiure inventate?

-...l'Unione Sovietica era un paese di contadini, e i contadini hanno la testa dura. Li conosco troppo bene, io! E allora bisognava costruire i trattori per trasformare...-

Sembra che siano migliaia, forse milioni i morti di quegli anni. C'era un'altra strada? Chi provò a dirlo fu fatto fuori. Eppure è vero, me lo ricordo bene: il nemico erano loro. I bolscevichi. Per quelli che venivano in casa mia allora, erano i nemici da distruggere. Lo diceva mio zio, pace all'anima sua, lo dicevano i suoi amici, e forse lo pensava, certamente lo pensava, anche mio padre.

Udì la voce di Vincenzo che intercettava le giustificazioni di Sibilla.
-Non parlare della Polonia. Tutto il partito polacco è stato liquidato; i compagni polacchi, e di ebrei ce n'erano tanti  fra loro, che si erano rifugiati in Russia sono stati consegnati ai nazisti nel trentanove. I compagni hanno consegnato altri compagni ai fascisti, Sibilla. Ti rendi conto! E oggi ci sorprende che in Polonia gli operai insorgano contro il partito e l'Armata Rossa. Sono pagati dagli americani anche gli operai polacchi? Non facciamoli diventare più forti di quello che sono, questi benedetti americani!-

Ma gli operai polacchi lo volevano il comunismo?

-Ne bastano dieci.-ora Sibilla rispondeva-Il partito in Polonia oggi ha ripreso in mano la situazione. Stanno cambiando...-
-Può darsi. Ma la sostanza? E' saltato tutto. E' un sistema che va per aria. Il socialismo è o non è un modo di vivere diverso e superiore alla democrazia borghese? Lo abbiamo detto, ripetuto e scritto, quante volte? Ma oggi scopriamo che la democrazia borghese, che ci fa schifo, garantisce il diritto di parola e la libertà di stampa...-
-Sino a quando non dai fastidio sul serio.-
-Va bene. Ma ci sarà pure il modo di trovare una diversa forma di democrazia che consenta a tutti, in una società libera dal dominio di classe, di esprimere opinioni, punti di vista, idee diverse e addirittura contrastanti fra loro? Altrimenti è una presa per il culo! Al posto di una classe proprietaria ci sarà un'altra classe. Chiamali come vuoi: tecnici, burocrati, funzionari di partito. E avrà nuovamente quel potere economico espropriato alle vecchie classi dirigenti. La libertà è inscindibile dal socialismo, parlo della libertà vera.-

Ecco l'individualismo dell'intellettuale borghese. Le sento già le voci di chi mormora in terza fila, e poi il compagno che si alza e interviene per criticare il vizio dell'ipercrititca.

Ma Sibilla non era un funzionario, non possedeva quell'allenamento.
-Inscindibile! Ecco i paroloni. Tu scrivi sui giornali, scrivi i libri, e allora vieni a scrivere di noi che quest'anno abbiamo avuto la gelata. E quando gela, tutto va in malora. E quelli ci stanno addosso, pronti a distruggere tutto il lavoro che abbiamo fatto in questi anni. Il partito ha fatto bene a dire quello che ha detto.-
Giovanni guardò Vincenzo.

Non ci crede più. E io che debbo dire, a questo punto?

Giovanni tirò dalla sigaretta appena accesa ed espulse con violenza il fumo, era anche questo un modo per vincere quel sentirsi un escluso. Se gli altri litigavano non riusciva più a imporre la sua voce e da quando erano iniziate le discussioni nel partito, avvertiva qualcosa che lo portava lontano da quello che gli accadeva attorno. Ricordava di aver letto le poesie di un giovane friulano che era venuto a Roma, l'aveva conosciuto una sera in una vecchia trattoria di Testaccio e pochi giorni dopo Vincenzo gli aveva mostrato un libro del poeta. Era una poesia importante quella che aveva scritto Pasolini, così era sembrato a Giovanni. Una passeggiata serale fra il Mattatoio e il vecchio cimitero, detto "degli inglesi". Giovanni provò a ricordare i versi, ma la  memoria non gli venne in aiuto. Ma perché, si chiese, proprio ora, in quel luogo lontano da Testaccio e dalla tomba di Antonio, con Sibilla e Vincenzo che litigavano sull'Ungheria, gli veniva in mente la poesia?

Le ceneri di Gramsci. Questo è il titolo.

Guardò Sibilla, non era sua moglie, soltanto la compagna che andava a trovare ogni quindici giorni. Come faceva Sibilla a trasferirsi a Roma? I fratelli crescevano. I genitori anziani. Il lavoro. La cooperativa. E lui, dopo la sua elezione in Parlamento, mai una sera passata in casa. Una moglie?

Compagni e amanti. Siamo riusciti a non doverci sposare per forza. Siamo stati bravi, però. Altri non ce l'hanno fatta.

La mamma di Sibilla sapeva bene a cosa servivano le andate in città della figlia, quando arrivava Giovanni.
-Un giorno lo prendo di petto e dovrà starmi a sentire.-aveva detto Giuseppina, ma tutto era continuato come prima. E loro ci stavano attenti, perché un figlio...Allora sì. A quel punto sarebbe stato inevitabile il matrimonio.
-Sei un intellettuale borghese!-
Altre volte Giovanni aveva udito quell'insulto. Guardò la sua compagna e gli sembrò brutta.

Mi sembra una cosa stupida, che stiamo facendo oggi?

Sibilla si accorse dello sguardo e lo scambiò per un rimprovero. Ora la sua rabbia si placava perché temeva Giovanni.

E' questo, cos’è?

Giovanni provò ancora la sensazione sgradevole di una Sibilla che per un momento diventava cattiva, brutta ai suoi occhi.
Provò a dire qualcosa.
-Fa freddo qui. Io non sono venuto per litigare.-
Giovanni s'era rivolto a Sibilla, lei guardava altrove. La campagna, le siepi lontane, un casolare.
-Ha ragione Sibilla.-disse Vincenzo-Me ne vado dal partito. Non ci sto alle mezze verità, non è il mio modo di vivere.-
Giovanni frenò un moto di rabbia.

Allora pensi che ho scelto la menzogna?

Giovanni e Vincenzo si guardarono negli occhi.

Chissà se è vera la storia degli occhi di Stalin?

A Sibilla, scossa dalla gravità delle parole di Vincenzo, ora  dispiaceva di aver litigato con il migliore amico del suo compagno.

Non dice sul serio. L'ho fatto arrabbiare, che stupida.

E un'idea le passò per la testa.

Ma è possibile rompere il giuramento? Noi, è come se avessimo giurato. Si. E' quello che abbiamo fatto. Nessuno lo dice, ma quando prendiamo la tessera noi giuriamo. Come i corsari che mischiavano il sangue tra loro. E se qualcuno rompe, tradisce? Se Vincenzo andrà via non si saluteranno più. Si. E' possibile che diventino nemici. E' colpa mia. Dio mio! No. E che c'entra Dio? Lo so che non esiste. Mamma ci crede.

E fu allora che Sibilla ebbe paura. Non riusciva a dominarla. La sera era sempre più fredda, ma quella paura le fece sudare le mani. Comprese che fra loro, fra Vincenzo e Giovanni che si guardavano senza dir niente, fra lei e i due amici che potevano diventare avversari, s'insinuava un fantasma. Era la morte. Non quella fisica. No, nessuno sarebbe morto quella sera, ma tutti avrebbero avuto la gola stretta da un nodo scorsoio immaginario che non li avrebbe lasciati dormire, mangiare, amare, forse nemmeno parlare. Sibilla provò il bisogno di tenersi il capo fra le mani e la vertigine le provocò  quasi la voglia di vomitare  il cibo di molte ore prima. Furono secondi che passarono. Un tempo impercettibile: il silenzio fra Giovanni e Vincenzo. E tutto all'improvviso si trasformò in calma e voglia di starsene lontana, per conto suo.

Oddio! Se fossero rimasti a Roma.

Sibilla ebbe voglia di respirare il profumo della neve che forse sarebbe caduta fra qualche ora. Sola avrebbe vagato per i campi. Vide la cucina della sua casa e la famiglia riunita, Matteo che li osservava dalla fotografia. 

Oggi Matteo sarebbe un uomo fatto, i suoi figli mi chiamerebbero zia Sibilla. Li caricherei sulla canna della bici e li porterei con me, in giro per i campi. Matteo ogni sera mi interroga. Mi chiede: hai svolto bene il tuo compito? Teresa, Edvige hanno già i figli e la sera non trovano il tempo per venire alle riunioni. Ci sei tu. Mi dicono così. Dobbiamo discutere della scuola elementare, quella nuova, meno lontana dal borgo. E la vaccinazione per i bambini, e poi la farmacia. E io parlo e mi chiedo perché la lettera di Giovanni non arriva. Lo vedo insieme a un'altra. Una compagna più istruita di me, camminano lungo quel fiume dove ci siamo parlati per la prima volta. Com'è stato bello, Dio mio!

Udì Vincenzo che diceva qualcosa della sua vita e parlava anche di Carlo Marx e di un comunismo senza i vincoli soffocanti...

Marx?

E la voce di Giovanni che interrompeva Vincenzo.
-...per me sarebbe impossibile...-
Giovanni appariva teso nello sforzo di respingere le idee di Vincenzo e spiegare il suo pensiero.
-Lo capisco. Per te è impossibile...-diceva Vincenzo.
-Non si tratta della mia storia personale...-rispondeva Giovanni.-Se rimarremo uniti avremo la possibilità concreta di tentare ancora...una via nostra. Capisci Vincenzo?-
-Ci sono troppi morti...troppi cadaveri di mezzo. E'il metodo che porta alla rovina: dobbiamo dirlo alla classe operaia. Alla storia dell'unità a tutti i costi non ci credo più.-
La risposta di Vincenzo era netta. Fra Giovanni e Sibilla con uno sguardo si stabilì un'intesa. Vincenzo rimaneva un amico, ma il sottile e particolare legame si spezzava, diventava già un ricordo.
Fu Sibilla a parlare, come se non fosse accaduto niente di irreparabile.
-Muoviamoci, fa freddo e non voglio ammalarmi per voi due.-
E fu come se all'improvviso tutto tornasse come prima.
-Saremmo noi quelli che litigano?-la punzecchiò Vincenzo.
-Ho detto solo come la penso.-rispose lei, fingendosi ancora leggermente offesa.
Vincenzo rispose qualcosa, ma Sibilla non lo ascoltò. Guardava Giovanni che le faceva paura. Il volto del suo uomo era teso, ma al tempo stesso spento. Le sembrò d'un tratto quello di un vecchio.
Presero la strada sterrata che si allontanava dai campi, costeggiava il vecchio cimitero e portava sino alla nazionale. Ora tacevano, Sibilla e Vincenzo camminavano un poco avanti a Giovanni.

Vai pure Vincenzo. Vai! Sono certo che tornerai e non ci crederò, anche se qualcuno lo dirà, che stai seduto al tavolo per consumare il banchetto, quello vero, succulento e grasso che imbandiranno quando non ci saremo più noi.

Giovanni respirò l'odore della terra.

Il tavolo...il banchetto...saremo finiti...Ma che cazzo vai a pensare?

Sentì il braccio di Sibilla attorno al suo, era un modo per  ricordargli la sua presenza.

Fra poco accenderanno la radio, laggiù, nelle case accanto a quella di Sibilla. Gente come Luigi e Giuseppina scuoteranno il capo e diranno che sono le bugie della radio dei democristiani. Altri rimarranno in silenzio e ci sarà chi prenderà il cappello per andare in sezione e sapere cosa dice il partito, come bisogna parlare in fabbrica. Domani.

Vincenzo s'era spinto un poco più avanti a loro: si volse e li attese. Giovanni si chinò a baciare Sibilla sulla fronte.

Hanno bisogno di me.

Anche Sibilla voleva qualcosa da lui, Giovanni lo sapeva.

Non vi abbandono.


Sentiva Sibilla che accelerava il passo per raggiungere Vincenzo. Appena furono vicini, lei afferrò un braccio di Vincenzo e lo tirò forte a se. Come altre volte, camminarono insieme lungo la strada del cimitero. In altre occasioni Vincenzo aveva provato a spaventare Sibilla con storie di fantasmi, ma ora stava zitto e calcolava il tempo necessario, pensava alle giustificazioni con i suoi amici. Si chiedeva quale treno avrebbe potuto prendere per giungere al più presto a Roma.

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