Quando?
Nel sessanta. Era il sessantatrè?
Erano andati in montagna a
trovare Perruchon che li aveva portati sino al villaggio, a casa sua, e Agnese
s'era affacciata su quella balconata naturale
per vedere se da lassù, proprio di fronte a loro, ma nell'altra valle,
avrebbe visto il suo villaggio. Ci viveva ancora un fratello. Aveva indicato a
Tiziana un punto lontano e le chiedeva se ricordava nonna Amalia.
Giovanni guarda la fotografia.
Tiziana al centro, fra Perruchon e Agnese.
Com'è poi accaduto che... Sì... Il gelato. Il gelato di una domenica. Quel
giorno Tiziana portava la stessa tutina che gli aveva comprato la madre per
portarla in montagna, da Perruchon. Erano secoli che non ci vedevamo con Perruchon.
Lui Agnese la chiamava signora, con me parlava in patois, ma davanti ad Agnese
no. E Tiziana era corsa dietro alle galline...E s'è presa anche una sculacciata
dalla madre. Com'è successo? Prima o dopo l'andata in montagna? Forse prima.
Nell'album c'è un'altra
fotografia di quella gita in Valle d'Aosta. Agnese e Tiziana stanno accanto
alle caprette di Perruchon.
Si. Quella domenica avevamo portato a spasso la bambina e loro s'erano
sedute sulla panchina del lungofiume. Ho detto, vado a prendere il gelato. Era
estate? No, impossibile. Se era il sessanta, con quello che è successo nel
sessanta non potevo essere con loro. Forse solo primavera. Allora era il
sessantatre. Settembre? Settembre. Sono andato a prendere i coni e mi son
sentito chiamare.
-Onorevole Riva, mi scusi, posso
importunarla?-
Era un signore anziano. S'era
presentato e aveva detto quelle cose. I coni si scioglievano al sole e le mani
se le sentiva appiccicose. Era insopportabile. Agnese e Tiziana lo guardavano,
lui ascoltava il signore anziano. Alla fine aveva voluto stringergli la mano.
Quando sono tornato alla panchina, Agnese mi ha chiesto chi era. Cercavo di
pulire il cono, lo avvolgevo in un fazzoletto perché Tiziana portava la tutina
pulita. Guardavo in direzione del gelataio. Quel signore se n'era andato. Non
l'ho mai più visto.-Ma chi era?- Agnese aveva abbassato la voce, come se
Tiziana non dovesse udire una rivelazione pericolosa.-Uno che conosce la mia
vita. Ha detto che si è occupato di me sin da quando ero ragazzo. Conosce anche
te.-Che vuoi dire?-E' andato in pensione da anni. Voleva congratularsi. Ha
detto che siamo una bella famiglia. Ha detto che non avrebbe creduto mai che
io...-
Vincenzo aprì la rivista sulle
pagine centrali occupate interamente da fotografie di gente armata con
impermeabili chiari, stretti alla vita da cinturoni militari e cartucciere. Un
carro armato affondava in un lago di carburante. Qualcuno sul carro aveva
issato la bandiera nazionale ungherese.
Vincenzo guardò Sibilla e
Giovanni.
-Voi mi dovete spiegare se tutto
questo è il vero volto di un'enorme balla che ci siamo raccontati oppure è la
solita invenzione del nemico di classe. Oppure c'è un altro potere, che ci è assolutamente
ignoto, sta rintanato in un cratere della Luna, e ci invia fotografie,
informazioni, notizie. Non esagero affatto. Quello che sto dicendo, qualcuno
l'ha pensato e se n'è convinto: lo scopo è distruggere l'unità del campo
socialista. Ma il campo socialista è a pezzi!-
Rovesciò bruscamente la rivista e
mostrò le fotografie.
-Esci dal partito allora.-
Sibilla parlò con un tono gelido
che non sorprese Giovanni.
-Sono storie terribili.-Vincenzo
ignorò le parole di Sibilla-E' un anno che veniamo bombardati. Si. Questa è la
parola giusta. Bombardati. Da fotografie come queste. E ci sta bene un partito
che prima tentenna, poi giustifica, poi assolve e infine condanna...per poi
mettersi in riga. No. E' ridicolo. Io non ci sto più. La verità. Non possiamo
continuare a giocare con la verità!-
Lo sguardo di Giovanni si spostò
da Sibilla a Vincenzo e poi tornò su Sibilla. Il suo amico e la sua donna
stavano uno di fronte all'altra in quel prato brullo e freddo, l'autunno che
finiva annunciava un inverno duro. Giovanni provò una sensazione di fastidio,
simile al gelo che sentiva salire sulle gambe, s'insinuava nelle pieghe degli
abiti sino a raggiungere il petto.
Quanto bisognerà attendere per riavere il Sole, i fiori, il caldo?
Si chiese se non avesse commesso
un grave errore nel passare a trovare Sibilla insieme a Vincenzo. Sibilla
trattava sempre Vincenzo come un caro amico, erano capaci di punzecchiarsi per
ore, di ridere sino a notte fonda per tutti i pettegolezzi che Vincenzo
conosceva sui dirigenti del partito. Ma questa volta era diverso; Giovanni
conosceva le posizioni di Vincenzo su quello che succedeva a Budapest. E
Sibilla insisteva:
-I russi a Budapest difendono il
socialismo.-
Era la frase, Vincenzo lo
chiamava il ritornello, che ormai si ripeteva in tutte le sezioni da quando il
partito aveva scelto.
-Che gran bordello.-mormorò
Giovanni.
Lui e Vincenzo non erano venuti a
trovare Sibilla per trascorrere una
vacanza. Il partito aveva mandato in giro per l'Italia compagni fidati
per verificare la situazione organizzativa in caso di un colpo di mano contro i
comunisti. Giovanni s'era portato dietro Vincenzo, voleva coinvolgerlo in un
momento difficile.
-Sono queste le situazioni in cui
il compagno dimostra la sua serietà e l'attaccamento al partito.-aveva risposto
a coloro che dubitavano sull'opportunità di mandare in giro uno come Vincenzo
che non nascondeva le sue posizioni.
Vincenzo era un giornalista e
Giovanni s'era sentito chiedere:
-E se, magari in un eccesso di
entusiasmo democraticista, questo rivela situazioni e stati d'animo diffusi che
possono favorire l'avversario?-
Giovanni aveva risposto che della
correttezza di Vincenzo garantiva personalmente.
Ora Vincenzo ribatteva a Sibilla,
ma Giovanni invece seguiva i suoi pensieri: rivedeva Vincenzo che dava cazzotti
in mezzo alla strada, la sera che i fascisti, i democristiani, i
socialdemocratici, tutti uniti per farla finita con i comunisti, erano venuti a
via delle Botteghe Oscure. Il giorno prima a Parigi la sede dell'Humanitè era
stata incendiata e sette comunisti erano morti nel rogo. Vincenzo prendeva a
calci nel culo gli studenti calati in centro da Piazza delle Medaglie d'Oro e
dal Tuscolano, i sottoproletari che s'erano messi sul petto i vecchi distintivi
col fascio littorio, quelli armati di mazze di ferro: tre giorni prima avevano
mandato all'ospedale due compagni della FGCI che vendevano l'Unità alla
Garbatella. Un'altra provocazione a cui s'era risposto mobilitando i vecchi
partigiani, gli ex gappisti di Roma. Gente che era passata per Via Tasso.
Parigi...
Giovanni contò gli anni. Ne erano
passati venti dalla domenica della coltellata del Camelot du Roy. Il Vincenzo
che dava cazzotti aveva pubblicato un libretto di racconti, stava scrivendo un
romanzo e con Giovanni discuteva di Sartre e della grande letteratura borghese
del secolo.
Ma ora, in quel momento, davanti
a Vincenzo e Sibilla che non scherzavano più e parlavano con l'astio sulla
punta della lingua, Giovanni sentiva che il suo amico andava oltre quella
critica costruttiva che avrebbe consentito a tutto il partito di superare una
situazione difficile e affrontare i tempi nuovi. Perché era questo che Giovanni
aveva capito di tutte le incertezze, i ripensamenti del gruppo dirigente di cui
anche lui faceva parte. E Giovanni condivideva la posizione assunta, ne era
convinto: difendere l'Unione Sovietica era l'unica strada possibile.
Matteo è morto gridando il nome di Stalin. Questo hanno raccontato i testimoni.
Come può ora Sibilla...
Giovanni sentì il gelo diventare
più insistente e fastidioso sulle ginocchia.
Posso permettere che Vincenzo utilizzi la stessa parola, imperialismo, per
definire l'azione dei russi a Budapest? Io, Giovanni Riva, posso accettare che
laggiù si sia costruito tutto sul delitto e sull'errore? Ma queste non erano le
cose che ci dicevamo in segreto quando sentivamo parlare dei processi? E quello
che ho visto...
-E' un luogo di peccato!-gridò
Sibilla.-Così ha detto il parroco domenica in chiesa, ma non ha convinto
nessuno. La gente in cooperativa c'è venuta lo stesso e tutti dicono: i russi
fanno bene e in Ungheria è tornato il fascismo.-
E' l'intuito di contadina. Lei è una proletaria e loro si fidano ancora.
Hanno ragione, pensano col cuore. Perdio! Diamo ascolto alla voce del cuore.
-E va bene.-disse Vincenzo-Sarà
pure come dici tu, la gente è convinta che in Ungheria è tornato il fascismo.
Ma erano fascisti anche tutti i compagni che vennero liquidati prima della
guerra? Gente che la rivoluzione l'aveva fatta, eccome se l'aveva fatta! Nel
trentaquattro fecero un congresso, il settanta per cento dei delegati a quel
congresso fu eliminato, nel trentotto erano tutti morti. Lo capisci? Tutti
morti.-
-Non sono mica scema.-
E allora Giovanni udì per la
millesima volta le parole di giustificazione. Giustificare l'errore, ecco la
parola d'ordine che volava, di sezione in sezione, da un comitato federale
all'altro.
-...erano assediati e non avevano
alternative. I fascisti hanno occupato l'Austria, la Cecoslovacchia e
alla fine la Polonia.. .-
Si. E' vero, ma che c'entra con i processi e le congiure inventate?
-...l'Unione Sovietica era un
paese di contadini, e i contadini hanno la testa dura. Li conosco troppo bene,
io! E allora bisognava costruire i trattori per trasformare...-
Sembra che siano migliaia, forse milioni i morti di quegli anni. C'era
un'altra strada? Chi provò a dirlo fu fatto fuori. Eppure è vero, me lo ricordo
bene: il nemico erano loro. I bolscevichi. Per quelli che venivano in casa mia
allora, erano i nemici da distruggere. Lo diceva mio zio, pace all'anima sua,
lo dicevano i suoi amici, e forse lo pensava, certamente lo pensava, anche mio
padre.
Udì la voce di Vincenzo che
intercettava le giustificazioni di Sibilla.
-Non parlare della Polonia. Tutto
il partito polacco è stato liquidato; i compagni polacchi, e di ebrei ce
n'erano tanti fra loro, che si erano
rifugiati in Russia sono stati consegnati ai nazisti nel trentanove. I compagni
hanno consegnato altri compagni ai fascisti, Sibilla. Ti rendi conto! E oggi ci
sorprende che in Polonia gli operai insorgano contro il partito e l'Armata
Rossa. Sono pagati dagli americani anche gli operai polacchi? Non facciamoli
diventare più forti di quello che sono, questi benedetti americani!-
Ma gli operai polacchi lo volevano il comunismo?
-Ne bastano dieci.-ora Sibilla
rispondeva-Il partito in Polonia oggi ha ripreso in mano la situazione. Stanno
cambiando...-
-Può darsi. Ma la sostanza? E'
saltato tutto. E' un sistema che va per aria. Il socialismo è o non è un modo
di vivere diverso e superiore alla democrazia borghese? Lo abbiamo detto, ripetuto
e scritto, quante volte? Ma oggi scopriamo che la democrazia borghese, che ci
fa schifo, garantisce il diritto di parola e la libertà di stampa...-
-Sino a quando non dai fastidio
sul serio.-
-Va bene. Ma ci sarà pure il modo
di trovare una diversa forma di democrazia che consenta a tutti, in una società
libera dal dominio di classe, di esprimere opinioni, punti di vista, idee
diverse e addirittura contrastanti fra loro? Altrimenti è una presa per il
culo! Al posto di una classe proprietaria ci sarà un'altra classe. Chiamali
come vuoi: tecnici, burocrati, funzionari di partito. E avrà nuovamente quel
potere economico espropriato alle vecchie classi dirigenti. La libertà è
inscindibile dal socialismo, parlo della libertà vera.-
Ecco l'individualismo dell'intellettuale borghese. Le sento già le voci di
chi mormora in terza fila, e poi il compagno che si alza e interviene per
criticare il vizio dell'ipercrititca.
Ma Sibilla non era un
funzionario, non possedeva quell'allenamento.
-Inscindibile! Ecco i paroloni.
Tu scrivi sui giornali, scrivi i libri, e allora vieni a scrivere di noi che
quest'anno abbiamo avuto la gelata. E quando gela, tutto va in malora. E quelli
ci stanno addosso, pronti a distruggere tutto il lavoro che abbiamo fatto in
questi anni. Il partito ha fatto bene a dire quello che ha detto.-
Giovanni guardò Vincenzo.
Non ci crede più. E io che debbo dire, a questo punto?
Giovanni tirò dalla sigaretta
appena accesa ed espulse con violenza il fumo, era anche questo un modo per
vincere quel sentirsi un escluso. Se gli altri litigavano non riusciva più a
imporre la sua voce e da quando erano iniziate le discussioni nel partito,
avvertiva qualcosa che lo portava lontano da quello che gli accadeva attorno.
Ricordava di aver letto le poesie di un giovane friulano che era venuto a Roma,
l'aveva conosciuto una sera in una vecchia trattoria di Testaccio e pochi
giorni dopo Vincenzo gli aveva mostrato un libro del poeta. Era una poesia
importante quella che aveva scritto Pasolini, così era sembrato a Giovanni. Una
passeggiata serale fra il Mattatoio e il vecchio cimitero, detto "degli
inglesi". Giovanni provò a ricordare i versi, ma la memoria non gli venne in aiuto. Ma perché, si
chiese, proprio ora, in quel luogo lontano da Testaccio e dalla tomba di
Antonio, con Sibilla e Vincenzo che litigavano sull'Ungheria, gli veniva in
mente la poesia?
Le ceneri di Gramsci. Questo è il titolo.
Guardò Sibilla, non era sua
moglie, soltanto la compagna che andava a trovare ogni quindici giorni. Come
faceva Sibilla a trasferirsi a Roma? I fratelli crescevano. I genitori anziani.
Il lavoro. La cooperativa. E lui, dopo la sua elezione in Parlamento, mai una
sera passata in casa. Una moglie?
Compagni e amanti. Siamo riusciti a non doverci sposare per forza. Siamo
stati bravi, però. Altri non ce l'hanno fatta.
La mamma di Sibilla sapeva bene a
cosa servivano le andate in città della figlia, quando arrivava Giovanni.
-Un giorno lo prendo di petto e
dovrà starmi a sentire.-aveva detto Giuseppina, ma tutto era continuato come
prima. E loro ci stavano attenti, perché un figlio...Allora sì. A quel punto
sarebbe stato inevitabile il matrimonio.
-Sei un intellettuale borghese!-
Altre volte Giovanni aveva udito
quell'insulto. Guardò la sua compagna e gli sembrò brutta.
Mi sembra una cosa stupida, che stiamo facendo oggi?
Sibilla si accorse dello sguardo
e lo scambiò per un rimprovero. Ora la sua rabbia si placava perché temeva
Giovanni.
E' questo, cos’è?
Giovanni provò ancora la
sensazione sgradevole di una Sibilla che per un momento diventava cattiva, brutta
ai suoi occhi.
Provò a dire qualcosa.
-Fa freddo qui. Io non sono
venuto per litigare.-
Giovanni s'era rivolto a Sibilla,
lei guardava altrove. La campagna, le siepi lontane, un casolare.
-Ha ragione Sibilla.-disse
Vincenzo-Me ne vado dal partito. Non ci sto alle mezze verità, non è il mio
modo di vivere.-
Giovanni frenò un moto di rabbia.
Allora pensi che ho scelto la menzogna?
Giovanni e Vincenzo si guardarono
negli occhi.
Chissà se è vera la storia degli occhi di Stalin?
A Sibilla, scossa dalla gravità
delle parole di Vincenzo, ora dispiaceva
di aver litigato con il migliore amico del suo compagno.
Non dice sul serio. L'ho fatto arrabbiare, che stupida.
E un'idea le passò per la testa.
Ma è possibile rompere il giuramento? Noi, è come se avessimo giurato. Si.
E' quello che abbiamo fatto. Nessuno lo dice, ma quando prendiamo la tessera
noi giuriamo. Come i corsari che mischiavano il sangue tra loro. E se qualcuno
rompe, tradisce? Se Vincenzo andrà via non si saluteranno più. Si. E' possibile
che diventino nemici. E' colpa mia. Dio mio! No. E che c'entra Dio? Lo so che
non esiste. Mamma ci crede.
E fu allora che Sibilla ebbe
paura. Non riusciva a dominarla. La sera era sempre più fredda, ma quella paura
le fece sudare le mani. Comprese che fra loro, fra Vincenzo e Giovanni che si
guardavano senza dir niente, fra lei e i due amici che potevano diventare
avversari, s'insinuava un fantasma. Era la morte. Non quella fisica. No,
nessuno sarebbe morto quella sera, ma tutti avrebbero avuto la gola stretta da
un nodo scorsoio immaginario che non li avrebbe lasciati dormire, mangiare,
amare, forse nemmeno parlare. Sibilla provò il bisogno di tenersi il capo fra
le mani e la vertigine le provocò quasi la
voglia di vomitare il cibo di molte ore
prima. Furono secondi che passarono. Un tempo impercettibile: il silenzio fra
Giovanni e Vincenzo. E tutto all'improvviso si trasformò in calma e voglia di
starsene lontana, per conto suo.
Oddio! Se fossero rimasti a Roma.
Sibilla ebbe voglia di respirare
il profumo della neve che forse sarebbe caduta fra qualche ora. Sola avrebbe
vagato per i campi. Vide la cucina della sua casa e la famiglia riunita, Matteo
che li osservava dalla fotografia.
Oggi Matteo sarebbe un uomo fatto, i suoi figli mi chiamerebbero zia
Sibilla. Li caricherei sulla canna della bici e li porterei con me, in giro per
i campi. Matteo ogni sera mi interroga. Mi chiede: hai svolto bene il tuo
compito? Teresa, Edvige hanno già i figli e la sera non trovano il tempo per
venire alle riunioni. Ci sei tu. Mi dicono così. Dobbiamo discutere della
scuola elementare, quella nuova, meno lontana dal borgo. E la vaccinazione per
i bambini, e poi la farmacia. E io parlo e mi chiedo perché la lettera di
Giovanni non arriva. Lo vedo insieme a un'altra. Una compagna più istruita di
me, camminano lungo quel fiume dove ci siamo parlati per la prima volta. Com'è
stato bello, Dio mio!
Udì Vincenzo che diceva qualcosa
della sua vita e parlava anche di Carlo Marx e di un comunismo senza i vincoli
soffocanti...
Marx?
E la voce di Giovanni che
interrompeva Vincenzo.
-...per me sarebbe
impossibile...-
Giovanni appariva teso nello
sforzo di respingere le idee di Vincenzo e spiegare il suo pensiero.
-Lo capisco. Per te è
impossibile...-diceva Vincenzo.
-Non si tratta della mia storia
personale...-rispondeva Giovanni.-Se rimarremo uniti avremo la possibilità
concreta di tentare ancora...una via nostra. Capisci Vincenzo?-
-Ci sono troppi morti...troppi
cadaveri di mezzo. E'il metodo che porta alla rovina: dobbiamo dirlo alla
classe operaia. Alla storia dell'unità a tutti i costi non ci credo più.-
La risposta di Vincenzo era
netta. Fra Giovanni e Sibilla con uno sguardo si stabilì un'intesa. Vincenzo
rimaneva un amico, ma il sottile e particolare legame si spezzava, diventava
già un ricordo.
Fu Sibilla a parlare, come se non
fosse accaduto niente di irreparabile.
-Muoviamoci, fa freddo e non
voglio ammalarmi per voi due.-
E fu come se all'improvviso tutto
tornasse come prima.
-Saremmo noi quelli che
litigano?-la punzecchiò Vincenzo.
-Ho detto solo come la
penso.-rispose lei, fingendosi ancora leggermente offesa.
Vincenzo rispose qualcosa, ma
Sibilla non lo ascoltò. Guardava Giovanni che le faceva paura. Il volto del suo
uomo era teso, ma al tempo stesso spento. Le sembrò d'un tratto quello di un
vecchio.
Presero la strada sterrata che si
allontanava dai campi, costeggiava il vecchio cimitero e portava sino alla
nazionale. Ora tacevano, Sibilla e Vincenzo camminavano un poco avanti a
Giovanni.
Vai pure Vincenzo. Vai! Sono certo che tornerai e non ci crederò, anche se
qualcuno lo dirà, che stai seduto al tavolo per consumare il banchetto, quello
vero, succulento e grasso che imbandiranno quando non ci saremo più noi.
Giovanni respirò l'odore della
terra.
Il tavolo...il banchetto...saremo finiti...Ma che cazzo vai a pensare?
Sentì il braccio di Sibilla
attorno al suo, era un modo per
ricordargli la sua presenza.
Fra poco accenderanno la radio, laggiù, nelle case accanto a quella di
Sibilla. Gente come Luigi e Giuseppina scuoteranno il capo e diranno che sono
le bugie della radio dei democristiani. Altri rimarranno in silenzio e ci sarà
chi prenderà il cappello per andare in sezione e sapere cosa dice il partito,
come bisogna parlare in fabbrica. Domani.
Vincenzo s'era spinto un poco più
avanti a loro: si volse e li attese. Giovanni si chinò a baciare Sibilla sulla
fronte.
Hanno bisogno di me.
Anche Sibilla voleva qualcosa da
lui, Giovanni lo sapeva.
Non vi abbandono.
Sentiva Sibilla che accelerava il
passo per raggiungere Vincenzo. Appena furono vicini, lei afferrò un braccio di
Vincenzo e lo tirò forte a se. Come altre volte, camminarono insieme lungo la
strada del cimitero. In altre occasioni Vincenzo aveva provato a spaventare
Sibilla con storie di fantasmi, ma ora stava zitto e calcolava il tempo
necessario, pensava alle giustificazioni con i suoi amici. Si chiedeva quale
treno avrebbe potuto prendere per giungere al più presto a Roma.
Nessun commento:
Posta un commento