C’era stato un tempo in cui esistevano le città e gli
uomini osservavano le stelle per raggiungerle.
Le critiche e i dubbi sul governo delle macchine
pensanti venivano espressi in ristretti cenacoli e ben di rado raggiungevano la
massa del genere umano che continuava a vivere in quella che sembrava la mitica
Età dell’Oro. D’altra parte, le voci di dissenso non avrebbero potuto valicare
le frontiere imposte dalle macchine pensanti che ormai erano il filtro di ogni
pensiero. Le macchine provvedevano a tutto: la guerra era un brutto ricordo del
passato, il lavoro non era più necessario e per combattere la noia che avrebbe
potuto generare interrogativi e dubbi, creare tensioni e patologie di massa,
vennero organizzati grandi spettacoli in cui gli uomini credevano di lavorare.
Immaginavano di essere nel fondo delle miniere a scavare la roccia, costruivano
manufatti che non esistevano, combattevano guerre che non uccidevano nessuno,
morivano anche, ma rinascevano subito dopo. Erano giochi che si svolgevano ogni
giorno e milioni di persone vi partecipavano, alla sera quando tornavano nelle
loro case credevano di essere stanchi e si addormentavano dopo aver programmato
i loro sogni. Fu in quel tempo che, clandestinamente, pochi pensatori e
scienziati iniziarono a organizzare visite presso i monumenti che erano stati
considerati importanti nella storia della Terra. Non furono in molti a voler
vedere con i loro occhi le piramidi o i grandi affreschi del Rinascimento,
quelle opere d’arte che tanto spesso avevano placato il dolore universale e di
cui forse si sentiva nuovamente il bisogno. Le macchine pensanti avevano
abolito il dolore e l’arte non era più necessaria per vincere la solitudine e
raggiungere l’irraggiungibile. Tra i tanti luoghi visitati da quel gruppo di
esploratori clandestini, ve ne fu uno che raggiunse i piedi di una grande
montagna che ancora aveva il nome di Monte Bianco. La montagna qualche secolo
prima era stata forata per collegare tra loro popoli e merci dell’antico
continente, quell’Europa in cui ora l’aria era pulita e i fiumi pieni di pesci.
I turisti clandestini entrarono e visitarono quel vecchio tunnel che nessuno
utilizzava più; il dottor Castrop li guidava e considerava il tunnel come una
reliquia. Il dottor Castrop aveva venticinque anni e si occupava di storia. Le
macchine pensanti scrivevano la storia come meglio credevano e i libri erano stati dimenticati. Il dottor
Castrop era un giovane studioso che cercava libri, li leggeva e li archiviava
in un sotterraneo di una grande casa di sua proprietà. Persone come il dottor
Castrop erano solo tollerati, venivano osservati con occhio attento dal Governo
Mondiale e di tanto in tanto le macchine pensanti fornivano dettagliate
informazioni sui loro movimenti e sulla vita che conducevano.
La visita all’interno del Tunnel avvenne pochi anni
prima che l’Età dell’Oro finisse in modo assi tragico.
Nessuno fu mai in grado di stabilire come e quando
avvenne, nessuno fu certo che fosse proprio quella la causa del disastro. Si
disse che un certo tipo di minerale estratto dalle macchine pensanti in una
miniera del pianeta Venere, fosse la causa della malattia incurabile che colpì
la civiltà cibernetica. Alcuni e il dottor Castrop fu uno di essi, pensarono
che fossero le macchine stesse a decidere che era venuto il tempo di smettere
di funzionare. Ma la verità non fu mai accertata. Del resto, non ci fu il tempo
di farlo.
La civiltà della Terra fu inghiottita da un vortice di
follia.
L’umanità, priva del sostegno delle macchine pensanti
che provvedevano a tutto, si ritrovò orfana e impotente di fronte alla natura,
ai bisogni materiali, agli eventi atmosferici, alle carestie che portarono
malattie e guerre. I libri che aveva ritrovato il dottor Castrop palavano di Quattro
Cavalieri che rappresentavano i flagelli: la peste, la fame, la guerra e la
morte.
I Cavalieri giunsero e i flagelli infuriarono. Armi
micidiali e dimenticate uscirono dai sotterranei: erano inutilizzabili, ma
vennero studiate e ricostruite. Missili e bombe vennero lanciati sulle città
nemiche e predicatori salirono su pulpiti e rovine per annunciare una nuova
epoca: quella della terra sacra, della stirpe e del sangue puro. A nulla era
servito, nei decenni che avevano preceduto il disastro, il ritorno sulla Terra
di un uomo chiamato Cristo e che le macchine avevano fatto risorgere per
popolare i sogni degli uomini.
E fu in questo modo che l’Età dell’Oro in breve tempo
regredì a un’epoca di barbarie, di deserti contaminati e di istinti. Pochi
uomini si salvarono in questo disastro e la Terra divenne nuovamente un pianeta in cui pochi
gruppi umani vivevano isolati e timorosi degli orizzonti inesplorati.
II
Passarono secoli, forse più di mille anni. Nessuno sarà
mai in grado di stabilire quanto tempo fu necessario ai superstiti per
sollevarsi dalla “Tragedia”, come venne definita la fine dell’epoca delle
macchine pensanti da coloro che avevano solo un vago ricordo degli avvenimenti
e tramandavano quella “Memoria” di padre in figlio, in segreto e sotto
giuramento di non rivelare al popolo mai niente del passato, pena l’ira degli
Dei sulla propria famiglia.
All’inizio furono poche migliaia di esseri umani che
riuscirono a riorganizzarsi e darsi forme di comunità primitive tipiche delle
tribù nomadi, erano i “Cercatori tra le rovine”. Ma colti da gravi e strane
malattie, presto i Cercatori si estinsero e i superstiti cercarono altre strade
per sopravvivere.
Gli uomini e le donne che nel corso dei secoli si
sparsero nuovamente nei quattro angoli della Terra, formarono comunità chiuse e
distanti le une dalle altre, timorose di affrontare i grandi spazi deserti e
malsani che si aprivano al di là di mura e palizzate che proteggevano i loro
piccoli villaggi. Tutto questo era già avvenuto nella notte dei tempi, millenni
prima della “Tragedia”, ma allora l’umanità era un bambino che cresceva, ora
somigliava a un cucciolo impaurito che si nasconde.
All’epoca in cui avvennero i fatti che stiamo per
raccontarvi, una piccola isola era abitata da un popolo dalla pelle scura.
Chiamavano la loro terra semplicemente Isola e non erano numerosi. Avevano eretto
mura e torri di avvistamento, ma nessun nemico era mai giunto dal mare. Gli
abitanti di Isola veneravano la
Dea della Notte e il Padre del Giorno.
La nostra storia inizia quando, come accadeva quasi ad
ogni passaggio di generazione, la
Dea della Notte, il grande volto bianco che sorge dal mare,
suo figlio e amante, si oscurò e tutto fu immerso in una notte che parve interminabile.
Grande fu il terrore tra gli abitanti di Isola, ma il
sommo Sacerdote del Fuoco interpretò quel segno celeste in maniera diversa dal
passato. Non era un annuncio di sventura, ma un invito.
Tang-har, moglie di Ang-hor, accolse con gioia il
ritorno del suo sposo e quella notte concepì un figlio maschio.
Ma Ang-hor aveva osservato le alte montagne e il
biancore che ricopriva le cime più alte e desiderava tornare laggiù per
penetrare tra le gole misteriose e scoprire i segreti che nascondevano. Le
terre che aveva visitato erano popolate da lupi, cavalli e greggi selvatiche,
c’erano anche strani buoi con tre gobbe che vagavano nelle praterie e
sguazzavano nelle paludi.
Ang-hor nelle notti di veglia pensava alle terre
disabitate e si diceva che era giusto prenderle e popolarle per innalzare
altari alla Dea della Notte e al Padre del Giorno. Ang-hor ottenne il permesso
dal sommo Sacerdote e partì alla volta delle montagne. Tang-har pianse. Tre
mesi dopo Ang-hor e i suoi compagni tornarono dalle terre orientali e fu di
nuovo gran festa su Isola. Al termine dei festeggiamenti il sommo Sacerdote del
Fuoco volle parlare con l’Esploratore, da solo.
Quando Ang-hor ebbe terminato il suo racconto il sommo Sacerdote
rimase in un lungo silenzio.
-Non è una cosa buona.-disse più tardi.
-Perché?-chiese l’Esploratore.
-E’ meglio che il nostro popolo non sappia.-
Il sommo Sacerdote era un uomo già avanti con gli anni
e godeva di grande rispetto per la sua saggezza.
-E’ la prima volta che…-disse Ang-hor.
Ma il sommo sollevò la mano destra, era il segno che il
colloquio era terminato. Ang-hor chinò il capo e si ritirò, era assai deluso e
se ne andò a pensare in cima alla scogliera. Al di là del mare c’era la terra
che aveva esplorato. Sentì sulla spalla il tocco di una mano leggera, era
Tang-har che veniva a trovarlo. Sedette accanto a lui.
-Cosa ti ha detto?-gli chiese.
-Il sommo ha paura.-rispose Ang-har-Sbaglia. Io conosco
i giovani: vogliono partire, Isola è diventata troppo piccola per tutti.-
-Ma perché il sommo ha paura, cos’hai visto di tanto
tragico laggiù?-
Abg-hor amava Tang-har e sapeva che di lei poteva
fidarsi.
-C’è freddo-disse-molto freddo laggiù. Eravamo
scoraggiati e decisi a tornare indietro, ma il tempo cambiò e si levarono venti
caldi, era il Padre del Giorno che ci veniva in aiuto. Provammo allora ad
esplorare le pendici di una montagna altissima da cui scende un gran fiume di
ghiaccio. Gli uomini avevano paura, si udivano lontani rumori simili al tuono
che viene dal Mare Sconosciuto. Decisi di andare da solo, sono io
l’Esploratore. Cominciai a salire e mi parve di vedere in cima a quel pendio
qualcosa che somigliava alle Rovine che si incontrano ai confini dei Deserti di
Pietra. Mi chiesi se prima della Tragedia anche lì abitassero gli uomini di cui
ignoriamo tutto. Continuai la mia ascensione solitaria. Forse furono i venti
caldi che si erano levati in nostro aiuto che sciolsero il ghiaccio e
scoprirono l’ingresso di una grotta che mi parve fatta della stessa materia
delle Rovine. Forse a causa di quel grande fiume di ghiaccio che si ritirava,
molte pietre erano scivolate lungo le pendici della montagna e ostruivano
l’ingresso di quella cosa. Provai a salire, smossi delle pietre e mi ritagliai
un passaggio, scesi e mi ritrovai in una caverna lunghissima che entrava nella
pancia della montagna. Tornai indietro e dissi ai compagni di attendermi, poi
andai di nuovo nella grotta, ma dovetti ricredermi. Non è una grotta, ma una
tomba. Alla luce della mia fiaccola vedevo strane capanne fatte di una materia
che non ho mai visto. Poggiavano, gli Dei mi perdonino, su cose che avevano la
forma della Dea della Notte e del Padre del Giorno. Dentro le capanne mi parve
di vedere teschi e ossa. Ebbi paura e pensai che potesse colpirmi un grande
maleficio, forse avevo troppo sfidato gli Dei. Camminavo dentro una grande
montagna e incontravo le case dei morti: ero nella città dei morti e mi accorsi
che sulle pareti di quella città sotterranea c’erano i volti di coloro che non
conosciamo. Erano uomini, bambini, donne…Non so spiegarti questo strano
prodigio, ma erano come dipinti su una sconosciuta corteccia. E tutti
sorridevano. Toccai quella corteccia e la sentii sottile alle mie dita, provai
a tirarne un pezzo e si sbriciolò nelle mie mani, divenne polvere. Ma loro
continuavano a sorridermi e se illuminavo più in fondo vedevo altri volti e strane
cose dipinte su quella corteccia: non le abbiamo mai viste e non le conosciamo.
Fu allora che compresi dov’ero e cos’era la caverna. Coloro che non conosciamo
erano venuti in quel luogo ad aspettare la chiamata degli Dei e la grande
montagna era il luogo prescelto affinché il loro spirito si mutasse in ghiaccio
e quindi in Acqua che il Padre del Giorno fa scorrere nei grandi fiumi che
raggiungono il Mare. E’ così che l’acqua incontra il figlio della Dea della
Notte. E’ dal loro amore che nasce la vita.-
-Fuggirono dalla Tragedia.-mormorò Tang-har.
-Si. Cercarono la montagna che trasformò il loro
spirito in acqua. La montagna è il bene. Nessun male può venirci dalla montagna
e noi dobbiamo tornare a interrogarla…Ci parlerà in nome degli Dei.-
-E le donne, com’erano?-
-Quelli che non conosciamo non erano come noi, le donne
avevano i capelli color del grano…Per volontà del Padre del Giorno essi sono
attorno a noi, vivono nell’acqua sciolta dal soffio caldo del Padre, sono nelle
sorgenti, nei fiumi, nel mare e anche nel cielo…Se vivono attorno a noi, sono
certo che vorranno aiutarci.-
-Andarono in fondo alla terra e attesero la morte con i
loro figli.-
Tang-har sentì nel ventre muoversi la creatura che
presto avrebbe visto la luce. Nel cielo erano comparse grandi nuvole scure e
s’era alzato il vento freddo.
“Niente sarà come prima”
Tang-har voleva dire questo pensiero al suo uomo, ma
tacque. Sapeva che Ang-hor sarebbe partito, avrebbe preso di nuovo la via del
mare per andare ai piedi della grande montagna. Ang-hor avrebbe disobbedito al
sommo. E per la prima volta un brivido sconosciuto l’attraversò per tutto il
corpo.
III
Passarono cinquant’anni dal giorno in cui Ang-hor aveva
lasciato Isola per non farvi più ritorno. E con lui la migliore gioventù di
quel piccolo popolo s’era persa al di là del mare. Il figlio di Ang-hor aveva
generato molti figli e così avevano fatto i pochi maschi rimasti: questo aveva
ordinato la Dea
della Notte, oscurandosi ancora una volta. E negli anni seguenti nessuno aveva
preso il Mare per le Terre Orientali: i Sacerdoti del Fuoco avevano
riconosciuto sulle spiagge segni misteriosi, ma avevano taciuto. Il ricordo di
Ang-hor, l’Esploratore delle città dei morti e della montagna malvagia che
inghiottiva chi sfidava gli empi, tenne a freno chi era tentato dall’avventura.
Un giorno un Sacerdote del Fuoco raccontò di aver sognato l’Esploratore
soccombere in una lotta impari contro il Guardiano delle Montagne e venir
divorato dalle cento bocche del mostro.
-Così è morto Ang-hor. Così mi hanno raccontato gli
Spiriti della notte.-
Questo aveva detto il Sacerdote al popolo di Isola.
Fra i bambini che correvano sulle spiagge c’era Tim-ha,
discendeva in linea diretta da Ang-hor ed era un ragazzo più silenzioso degli
altri. Aveva conosciuto la sua bisnonna, Tang-har. Ricordava gli occhi della
vecchia che un giorno l’avevano scrutato a lungo. Da quel momento il bambino
aveva sentito una voce. Non sapeva chi, ma c’era qualcuno che lo chiamava. I
sacerdoti osservavano il ragazzo e parlavano fra loro. Un giorno decisero che
sarebbe entrato nel Tempio per imparare la grande arte della conoscenza che
comprendeva i segreti delle erbe e della radici, l’osservazione delle misteriose
vie tracciate nel cielo durante le purissime notti di Isola. Tim-ha avrebbe
tratto auspici dalla forma delle nubi e predetto la fortuna e la sfortuna
picchiando fra loro le grandi conchiglie sacre, mentre la sua bocca avrebbe
intonato la nenia segreta, figlia dell’infuso di erbe che faceva sognare ad
occhi aperti, spalancati sull’universo come quelli di un folle. Consacrato al
Padre del Giorno e alla Dea della Notte, Tim-ha sarebbe vissuto in castità e
contemplazione. Grande fu la gioia della madre, I-ha, quando i sacerdoti le
dissero ciò che avevano deciso. Ma nessuno conosceva il segreto che si
nascondeva nell’animo del ragazzo. Lui guardava il Mare e sentiva la voce che
lo chiamava. Nessuno si era accorto di quando, solitario, saliva sulle colline
e cercava di scorgere le Terre Orientali. Lassù, nei giorni di grande vento,
Tim-ha pensava ad Ang-hor.
“Ang-hor è tornato due volte, la terza è sparito nelle
Terre Orientali. Così raccontano le antiche storie. Se è tornato vuol dire che
è possibile. Perché non possiamo tentare ancora?”
Poi si voltava verso il Tempio e le basse case di
pietra che lo circondavano. Si udivano le grida dei suoi compagni e i richiami
dei pastori che la sera riportavano le greggi all’ovile.
Un pensiero attraversava la mente di Tim-ha.
“E’ piccolo. Tutto è troppo piccolo.”
Un giorno i suoi genitori gli comunicarono la decisione
dei Sacerdoti del Fuoco. Tim-ha sarebbe entrato nel Tempio, col tempo la sua
barba sarebbe cresciuta e gli abitanti
dell’Isola l’avrebbero baciata se l’avessero incontrato sul loro cammino.
Tim-ha era obbligato ad accettare la decisione dei
sacerdoti, per questo divenne ancor più solitario, i suoi compagni che
conoscevano il destino che gli era riservato si avvicinavano al ragazzo con
soggezione. Venne il tempo delle piogge e quell’anno furono intense e rovinose.
Il vento e la tempesta spazzarono la costa dell’Isola, il piccolo fiume
straripò e molte capanne furono distrutte. Grandi masse di fango invasero i
campi. Quando la tempesta si placò e furono compiuti i riti di ringraziamento
agli Dei per lo scampato pericolo, Tim-ha andò ad aiutare un vecchio
agricoltore quasi cieco: era un compito al quale un giovane non poteva
sottrarsi. Fu in un giorno di vento che la zappa di legno di Tim-ha urtò contro
qualcosa che sporgeva fuori dal terreno sconvolto dalle piogge recenti. Era un
oggetto dalla forma rotonda e che sembrava trasparente come l’acqua. Non era di
pietra, ma sembrava simile a quei calici antichissimi che erano custoditi nel
Tempio e recavano incise parole che nessuno aveva mai decifrato. B..RR…così era
scritto. Le altre lettere s’erano perse nel tempo e nessuno sapeva cosa volesse
dire B…RR…
Tim-ha raccolse l’oggetto rotondo e l’osservò, poi notò
qualcosa che impressionò Tim-ha tanto da
procurargli un brivido doloroso lungo la schiena. Dentro quell’oggetto
misterioso le sue dita si trasformavano, le unghie diventavano molto più grandi
e le tracce di fango attaccate alle falangi erano nitide e visibili come mai Tim-ha le aveva osservate.
A Tim-ha tutto questo ricordava l’acqua del torrente quando restava in certe
pozze di pietra levigate dal tempo. I sassolini caduti all’interno sembravano
più grandi, ma bastava prenderli in mano e tutto tornava come prima. Ma quella
non era acqua. Tim-ha provò a toccare la materia dura e trasparente che
lentamente lasciava cadere nel vento e nel sole, la terra sabbiosa che l’aveva custodita
per chissà quanti anni. No. Non era affatto acqua. E quel prodigio era racchiuso
in un cerchio rotondo di color chiaro e opaco, ma quando Tim-ha provò a
sfregarlo con le dita divenne lucente. E c’era uno strano meccanismo che teneva
insieme il cerchio e un bastoncino fatto di una materia che sembrava pietra, ma
non lo era. Tim-ha ne era certo.
Forse erano ossa di animale? Si chiese Tim-ha mentre
avvertiva il calore che una piccola luce provocava sul palmo della sua mano. Spostò
l’oggetto e la luce si mosse. Allora sollevò gli occhi al cielo, il Padre del
Giorno lo sovrastava, il bagliore era talmente forte che Tim-ha dovette
chiudere gli occhi e nelle narici sentì odore di fumo. Si guardò intorno e
s’accorse che da un piccolo groviglio di sterpi secchi si sollevava un filo di
fumo. Era l’oggetto trasparente che generava il fuoco? Tim-ha vide le fiamme e
corse verso il pozzo, prese una ciotola d’acqua e spense l’incendio mentre il
cuore sembrava scoppiargli nel petto. Si guardò intorno: era solo,
assolutamente solo e nessuno aveva visto quel prodigio. Ora Tim-ha conosceva un
segreto che gli Dei avevano rivelato solo a lui. Nascose la cosa strana che
generava il fuoco e, timoroso di quella forza, decise di attendere il sonno del
Padre per osservarla meglio. Sapeva di commettere un grande peccato di
superbia, ma tra se pensava a quello che raccontavano i Sacerdoti del Fuoco.
“Dicono che siamo gli unici ad aver popolato Isola
perché coloro che perirono nella Tragedia non l’avevano mai visitata. Isola è
pura e ci mette al riparo dai mostri che vivono nelle Terre Orientali. E se
invece questo Segno che cattura il soffio del Padre del Giorno e crea il Fuoco
fosse un altro segno…Cosa debbo fare?”
Il terrore che quel piccolo tesoro gli fosse tolto lo
sconvolgeva, attese che il sonno scendesse su tutta la sua famiglia e nella
notte uscì all’aperto. La Dea
della Notte era nel cielo con il suo grande viso bianco e lo osservava,
splendeva come mai era accaduto. Tim-ha tirò fuori il Segno e provò a osservare
il palmo della sua mano, anche la
Dea della Notte gli inviava una piccola luce che non
bruciava.
“Gli Dei vogliono dirmi qualcosa. I Sacerdoti sbagliano
e Ang-hor aveva ragione, lui non è tornato, ma io ho gli Dei dalla mia parte e
con il loro aiuto sconfiggerò i Guardiani delle Montagne e scoprirò il segreto
di coloro che vissero qui prima di noi."
Tim-ha nascose con cura il dono degli Dei e fece
ritorno al suo giaciglio, provò a dormire, ma non riuscì a prendere sonno.
Quando il Signore del Giorno iniziò il suo risveglio, Tim-ha aveva preso una
decisione.
“Sono ancora troppo giovane per partire, ma quando sarò
forte andrò lontano. Partirò solo e tornerò per dire al popolo che i Sacerdoti
sbagliano. Io non mi chiuderò mai nel tempio.”
IV
Il grido selvaggio di Tim-ha risuonò per tutta la valle
e si perse fra le alte figure bianche che il ghiacciaio lasciava dietro di se
nel suo lento arretrare verso l’altissima montagna. Tim-ha sollevò in alto lo
scudo e pose il piede destro sul capo del nemico. Un-hch era disteso ai sui
piedi in un lago di sangue, la spada di ferro dell’Esploratore gli aveva quasi
staccato la testa dal tronco. Il Padrone del Passo era morto, la valle liberata
e i suoi abitanti avrebbero potuto scendere a cacciare nelle grandi praterie
d’occidente senza l’obbligo di celebrare sacrifici umani in onore del Dio
Animale.
Tim-ha aveva risalito il fiume come il suo predecessore
e antenato Ang-hor, ma invece di proseguire diritto verso la grande montagna si
era diretto a sinistra. Lassù, in una valle stretta, aveva incontrato gli
abitanti di quei luoghi: i primi esseri umani che vedeva da quando aveva lasciato
Isola. I primitivi lo avevano avvisato: anche lui avrebbe dovuto celebrare un
sacrificio in onore del Dio Animale e pagare un prezzo per attraversare il
passo. Ma Tim-ha aveva proseguito il suo cammino e quando aveva incontrato il
gigantesco guerriero gli aveva intimato di inchinarsi davanti al Padre del
Giorno.
Un-hch aveva risposto:
-Ti ucciderò in nome del Dio Animale!-
-Il tuo Dio è suddito del grande Padre del Giorno e
della Signora della Notte.-aveva risposto Tim-ha senza arretrare di un passo o
dare segni di paura. Poi s’erano lanciati l’uno contro l’altro e la giovinezza
aveva prevalso sulla ferocia e la forza di Un-hch.
I prigionieri di Un-hch videro Tim-ha che sollevava la
testa mozzata e la offriva al Padre del Giorno. Allora si avvicinarono per
prostrarsi.
-No!-disse Tim-ha-Il tiranno è morto, ora tutti
potranno vivere, cacciare e avere figli secondo la benevolenza del Signore del
Giorno e della Signora della Notte.
Quelli l’osservavano timorosi, ma Tim-ha volgeva lo
sguardo alle Rovine. Cos’erano’, si chiese, forse un tempio innalzato prima
della Tragedia?
Il pianoro erboso dove era avvenuto il duello era
dominato a occidente da una torre costruita con la pietra che non è la pietra,
a Tim-ha ricordava più l’opera di Coloro Che Erano Venuti Prima. Era una
materia simile a quella dei Deserti di Pietra e la torre gli ricordava i
racconti uditi su Isola a proposito dei grandi scheletri che sfidavano il
cielo. Il sangue d’un colpo gli si gelò nelle vene, il Segno che catturava il
soffio degli Dei era andato perso nella lotta? No, il Segno era al suo posto
nella bisaccia, ben protetta dalla tunica pesante rinforzata con gusci di tartaruga.
-Tu ci hai liberato, diventa il nostro re!-gridò
l’anziano del villaggio.
-Debbo proseguire nel mio cammino, il mio compito non
finisce qui. Troverò, ve lo prometto, il tempio de Dio Animale e farò sacrifici
per distogliere la sua collera dalle vostre teste.-
E per la prima volta l’attenzione di Tim-ha fu attratta
dallo scudo di Un-hch che aveva
un’insegna. Era l’immagine dipinta in rosso di un animale che Tim-ha non aveva
mai visto. Sembrava un grande animale dalle orecchie grandi e per naso una
lunga protuberanza, le zanne ricurve lo facevano sembrare assai temibile. Mai Tim-ha aveva incontrato
un essere simile nelle Terre Orientali.
Quella sera al villaggio ci fu gran festa e si
celebrarono riti propiziatori agli dei di Tim-ha che subito divennero anche
quelli dei primitivi abitanti della valle.
Tim-ha interrogò l’anziano del villaggio.
-Cosa si racconta del Dio Animale fra queste montagne?-
-Gli antenati raccontavano che il Dio Animale vivesse
molto lontano dalle montagne, su una terra irraggiungibile. Ma un giorno il Dio
inviò un segno muto: è quello che fu dipinto sullo scudo e che tu hai
conquistato a Un-hch.-
“Il Padre del Giorno è più forte del Dio Animale e il
segno che mi ha inviato crea il fuoco. Il segno di una bestia è debole perché
le bestie hanno paura del fuoco.”
Poi Tim-ha ebbe un’idea.
-Un Dio che si affida a uno stupido come Un-hch non è
un grande Dio. Io troverò il Dio Animale e gli dirò che il Padre del Giorno e la Signora della Notte mi
hanno inviato per farlo riflettere sull’errore. D’ora in avanti io metto sulle
miei insegne quella del Dio Animale e m’impegno a difenderlo dalle ingiurie e a
cancellare la cattiva fama che gente come Un-hch gli ha procurato. Ma come farò
a trovare il segno?-
-Gli antenati dicevano che bisogna seguire il Fiume
Nero per trovare il segno muto del Dio Animale.-
-Cos’è il Fiume Nero?-
-Nessuno saprà dirti cosa sia il Fiume Nero, forse era
proprio un gran fiume d’acqua prima che avvenisse la grande battaglia che voi
chiamate Tragedia. Il Fiume Nero non è fatto d’acqua e tu puoi camminarci
sopra. E’ come se fosse fatto di pietra, ma è diversa dalla pietra che non è
pietra. Si racconta che sgorghi dall’erba delle praterie e s’inabissi davanti
al Segno Muto del Dio Animale. Io però non l’ho mai visto. Qualcuno dice anche
di aver visto il Fiume Nero in terre molto lontane da quella in cui sorge il
Segno Muto, ma io non ci credo. La gente di queste parti crede a tutte le
frottole che raccontano gli stranieri.-
Tim-ha partì dopo tre giorni dalla valle e si diresse
verso le praterie, giunse dinnanzi a quel grande mare d’erba quando il Padre
del Giorno affidava il compito di vegliare su tutte le cose alla Signora della
Notte. Si chiedeva come avrebbe trovato il Fiume Nero mente avanzava nell’erba
e udiva attorno a se suoni e rumori che annunciavano la notte.
L’anziano del villaggio gli aveva detto:
-Ascolta la voce degli Dei, ti guideranno.-
V
Tim-ha osservava la Signora della Notte che era apparsa superando i
picchi delle alte montagne, lontane e misteriose. Estrasse il Segno dalla
bisaccia e lo rivolse alla Dea, era salito su una collinetta per riposarsi e dominare la prateria, temeva
lupi e altri animali feroci. Il Segno catturò il soffio e nel buio della notte il palmo della mano del Nuovo Esploratore si
illuminò ancora una volta e Tim-ha cercò tra le pieghe e i solchi della sua
carne la direzione da prendere. Si rivolgeva alla Signora della Notte e
invocava il suo aiuto.
Stava per riporre il Segno al sicuro, ma si accorse che
il debole soffio della Dea cadeva su qualcosa che emergeva dall’erba, ma il
soffio era troppo debole e la
Signora lontana. Tim-ha non poteva capire di cosa si
trattasse, si chinò e toccò quella cosa che gli parve pietra che non è pietra.
Lontano si udì il grido di un uccello notturno, un altro grido rispose. Tim-ha
non aveva mai avuto paura da quando s’era inoltrato nelle sconosciute Terre
Orientali, ma ora sentiva il timore per qualche presenza sconosciuta che si
agitava attorno a lui. E se pensava ai compiti che lo attendevano ne era atterrito.
Cos’era il Fiume Nero? Era un altro Segno del Dio Animale, un segno Muto?
E si ricordò di una sensazione provata in un tempo
lontano.
Era quando la sua bisnonna, Tang-hor, lo aveva guardato
in quel modo. Cosa aveva voluto dirgli l’anziana moglie di Ang-hor? E questa
domanda si fuse con quelle più grandi che si agitavano nella mente di Tim-ha da
quando aveva scoperto che i Sacerdoti del Fuoco praticavano l’ignoranza.
Cos’era la “Tragedia” e perché Coloro Che Erano Venuti Prima e di cui niente si
conosceva erano scomparsi in quella che il vecchio della valle chiamava la Battaglia fra gli Dei? E
Tim-ha si sentiva schiacciato dalla piccolezza del suo essere davanti agli Dei
del Cielo e dai segni misteriosi che punteggiavano i campi, le paludi, le
montagne. Cos’erano stati i Deserti di Pietra? E lui stesso, chi era? Da quale
terra provenivano i suoi più remoti discendenti?
“Se l’Isola fu popolata da Coloro Che Erano Venuti
Prima, nei tempi che precedettero la Tragedia allora anche noi e quelli che ho liberato
dalla tirannia di Un-hch e tutti coloro che incontrerò nel mio cammino sono
figli di chi combatté a fianco degli Dei nella Grande Battaglia.”
Tim-ha interrogò la Signora della Notte. Pallida lo osservava dal
cielo. Muta. Tim-ha chinò il capo sulle ginocchia, tutto per lui era diverso in
quella notte.
Improvvisamente udì l’urlo di una voce umana e gli
ululati distinti e vicini.
Balzò in piedi e cercò di forare l’oscurità con gli
occhi. Vide un bagliore e si lanciò in quella direzione. I lupi, forse tre o
quattro, circondavano due viandanti. Uno di essi proteggeva l’altro, brandiva
la torcia cercando di tener lontane le bestie feroci, ma non avrebbero
resistito a lungo. Tim-ha afferrò la sua spada e si lanciò sui lupi, colpì con
precisione e ferocia: quando la lotta terminò tre lupi giacevano a terra, un
quarto era fuggito. Tim-ha sanguinava dal braccio sinistro, lì dove si erano
conficcate le unghie dell’ultima bestia uccisa e nella lotta non aveva nemmeno
fatto in tempo a vedere chi stava salvando. Le due figure si tenevano l’una
accanto all’altra e alla luce della torcia che ormai si spegnava distinse il
volto di una fanciulla e quello di un vecchio.
VI
Lin masticò l’impasto di radici e terre rosse poi lo
spalmò sul braccio ferito di Tim-ha. L’esploratore aveva perso sangue e quando
era giunto sulla collinetta s’era lasciato cadere nell’erba. I due sconosciuti
s’erano seduti accanto a lui e Lin l’aveva curato.
Tim-ha si svegliò quando il Padre del Giorno sorse nel
cielo e pur con una grande stanchezza in tutto il corpo, si levò in piedi e si guardò attorno. Si accorse di un blocco
di pietra che non era pietra, era perfettamente squadrato e a forma di freccia. Tim-ha ne estrasse una
dalla faretra e la paragonò a quella più grande chiedendosi se anche Coloro Che
Erano Venuti Prima usassero le frecce per combattere e procurarsi il cibo.
-Noi ti ringraziamo straniero.-
Tutto preso da quel nuovo Segno Muto, Tim-ha si era
completamente dimenticato del Vecchio e della fanciulla. Il Vecchio indossava
una tunica bianca simile a quelle che le donne tessevano su Isola, ma
certamente di miglior fattura. La ragazza aveva i capelli color del grano e il
viso chiaro come quello della Signora della Notte, anche lei indossava una
tunica uguale a quella del Vecchio, ma di un colore diverso che Tim-ha non
conosceva e che sembrava simile alle foglie degli alberi. Al collo, alle
orecchie e ai polsi portava monili ornati di pietre che a Tim-ha parvero fatti
della stessa materia lucente che serrava il Segno che genera il Fuoco.
A Tim-ha, Lin parve bellissima.
-Noi andiamo verso la montagna.-disse il Vecchio
Mit-sun.
-Perché la montagna?-chiese il Nuovo Esploratore.
-Gli Dei del Cielo me l’hanno ordinato. Lin mi
accompagna in queste terre selvagge.-
-E cosa chiederai alla montagna?-
-Gli Dei mi vennero in sogno. Dissero: vai alla
montagna, cerca la più grande di tutte, la più alta. Essa ti parlerà.-
Tim-ha si toccò il braccio ferito, non bruciava più e
l’impasto di radici era seccato. I suoi occhi incontrarono quelli di Lin.
-Tu hai fatto questo? Ti ringrazio, noi non conosciamo
quest’arte di guarire le offese degli uomini e delle bestie.-
-Siamo noi che dobbiamo ringraziare te, straniero dalla
pelle scura. A quest’ora saremmo nella pancia dei lupi.-rispose Lin.
-Da dove venite?-chiese Tim-ha.
Lin si volse e indicò l’orizzonte.
-La nostra città ti accoglierà con grande festa, se
vorrai onorarci della tua visita. Tu ci hai salvato.-
E Tim-ha fu sconvolto dal sommarsi di un altro mistero
a quelli che già si affollavano nella sua mente.
“Perché uomini e donne che vivono così lontani e
isolati tra loro, quando parlano riescono a comprendersi?”
Si volse a guardare il Padre del Giorno che al suo
risveglio non ferisce gli occhi con la sua potenza.
-Cosa mediti?-gli chiese Lin. Era una fanciulla dallo
sguardo penetrante e dal corpo snello, i suoi occhi erano azzurri e i capelli
color del grano.
-Anch’io vado per il mondo. Mi pongo mille domande alle
quali vorrei una risposta. Cerco…Ecco tutto…-
A quelle parole il vecchio parve animarsi, la sua
domanda tradiva l’emozione.
-Da dove vieni?-
L’Esploratore indicò il Segno a forma di freccia.
-Ne avete già incontrati?-
-Si-rispose Lin-Indicano qualcosa che non riusciamo a
capire.-
-Da dove vieni?-chiese ancora Mit-sun.
-Da una terra circondata dalle grandi acque e che noi
chiamiamo Isola. Sono fuggito dalla mia gente perché voglio comprendere i
misteri che ci circondano e tornerò sulla mia terra per svelare al popolo che i
Sacerdoti sbagliano nel tenerci isolati dalle altre terre. Solo Hang-hor…-
-Tu parli di Hang-hor!-
Gli occhi del vecchio brillavano.
-Hang-hor è il mio antenato. Vide la grande montagna e
fu divorato dal Guardiano. Ma tu conosci il suo nome…-
-Conobbi Hang-hor quando ero un ragazzo. Venne nelle
nostre terre in pace, disse che voleva ritrovare la Grotta dei Morti. Disse che
era penetrato nel ventre della montagna e aveva visto coloro che vennero dal
cielo e popolarono queste terre prima…-
-Prima di cosa, vecchio?-
Tim-ha sentì la mano di Lin che prendeva la sua destra
mentre tendeva l’altra mano a Mit-sun che l’afferrrava. Ora Tim-ha era parte di
un cerchio. Udì le parole di Lin.
-Colui che fa crescere il grano e ogni giorno nasce e
muore ci ha fatto incontrare e ora unisce le nostre forze per chiedere alla Montagna
di parlarci.-
La fanciulla sorrideva e i suoi capelli erano color
dell’oro.
-Cosa accadde ad Hang-hor?-chiese Tim-ha.
-Nessuno può dirlo.-disse Mit-sun-Un giorno partì, i
suoi uomini ormai vivevano nella nostra città, avevano mogli e figli.
L’incontro tra i guerrieri del tuo avo e i nostri non era stato sanguinoso, li
aveva uniti la lotta comune contro un’orda di predatori che venne sterminata.
Ma Hang-hor era un uomo inquieto, parlava della sua Isola e della Caverna dei
Morti che non riusciva più a trovare. Aveva di nuovo esplorato la Montagna, ma
non era più riuscito a ritrovare l’ingresso del Regno dei Morti. Diceva che la
montagna è il bene perché trasforma lo spirito di coloro che vanno a riposare
nel suo ventre in vita. E un giorno partì, ma non è più ritornato. Tu, vuoi
accompagnarci?-
-Debbo placare il Dio Animale, ho ucciso il feroce
Guardiano del Passo e gli ho tolto le insegne.-
Tim-ha mostrò lo scudo, Mit-sun e Lin osservarono la
bestia sconosciuta con stupore.
-Non ho mai visto niente di simile.-disse Lin.
-E’ possibile che la collera del Dio Animale ora
colpisca anche voi che siete miei amici. Siamo animati dagli stessi desideri,
ma contro la volontà degli Dei non riusciremo a far nulla, per questo vi chiedo
di unirvi a me nella ricerca del Dio Animale. Quando lo avremo placato, ci
dirigeremo verso la
Montagna.-
Il vecchio e la fanciulla accettarono.
VII
Camminarono per tre giorni nella prateria e
incontrarono altre frecce di pietra che non era pietra. Cercavano piccole
colline per trascorrere la notte, Tim-ha accendeva fuochi e teneva a distanza i
lupi. Ai suoi amici non aveva ancora mostrato il Segno che catturava il soffio
degli Dei. Lin coglieva fiori, erbe, radici preparava infusi e decotti che
rendevano gradevole il cibo e più allegre le serate. Il vecchio raccontava
storie, osservava i giovani e si convinceva che presto avrebbe benedetto una nuova
famiglia. Non avevano incontrato viandanti
e cacciatori. Tim-ha aveva parlato del Fiume Nero e il mattino del
quarto giorno incontrarono l’ultima freccia, poi avanzarono nell’erba alta e si
accorsero che la terra non era più terra, s’era trasformata in una striscia
lunghissima e scura, solida come la pietra che non è pietra, che interrompeva i
prati d’erba e puntava verso l’orizzonte.
-Questo è il Fiume Nero.-disse Tim-ha.
Fu allora che si udì un grido provenire da in mezzo
alle erbe alte e secche per il gran calore di quella stagione. Era un urlo
ostile e minaccioso. Lin si strinse a Tim-ha, il vecchio aguzzava la vista. Lentamente
dall’erba si sollevarono tre guerrieri con sugli scudi l’insegna del Dio
Animale.
-Chi siete e dove andate?-chiese quello che stava al
centro e sembrava il capo per le pitture che aveva sul volto.
-Andiamo a rendere omaggio al Dio Animale e a
chiedergli di sottomettersi alla volontà del Signore del Giorno e della Dea
della Notte che mi aiutarono a liberare il Passo dal feroce Un-hch, predone e
assassino.-rispose Tim-ha.
-Un-hch era nostro fratello. Se vuoi passare dovrai
combattere, noi ti uccideremo e sfogheremo le nostre voglie di maschi solitari
sulla donna dai capelli di grano. E ora combatti, straniero!-urlò il guerriero.
Era alto e robusto. Tim-ha non aveva paura, ma sentiva
che le sue forze non erano sufficienti per vincere. S’era levato un vento
leggero da occidente che diventava sempre più forte. Tim-ha si guardò intorno:
l’erba era secca e i tre guerrieri ancora lontani. Calcolò la distanza e il
tempo a disposizione mentre un’idea folle gli attraversava la mente. Sotto gli
occhi stupiti di Lin e del vecchio estrasse il Segno e lo volse al Signore del
Giorno puntandolo contro l’erba secca. I tre nemici avanzavano cauti, ma sempre
più vicini. Il fumo si levò all’improvviso e il vento tirava più forte. In un
momento l’erba secca della prateria prese fuoco e tutto divenne un turbine di
fumo. Tutti, meno Tim-ha, erano atterriti e i tre fratelli di Un-hch saltavano
terrorizzati mente il fuoco sbarrava loro il passo, anzi li circondava e li
costringeva a fuggire tutti in direzioni diverse. Tim-ha con un balzo scavalcò
la linea del fuoco e li affrontò separatamente, poi tutto fu coperto dal fumo e
dalle fiamme. Il vento spostava le fiamme più lontano, Lin e il vecchio si
guardavano attorno smarriti, certi di aver perso il loro amico e protettore.
Poi una figura avanzò nella nebbia, era Tim-ha che teneva per i capelli le
teste dei nemici uccisi, le sollevò verso il Signore del Giorno e pregò.
-Padre del Giorno, tu mi hai dato un’arma invincibile.
Dammi ora la forza di affrontare altre prove e difendere la donna che amo e
questo Vecchio che onoro come un padre, che conobbe Hang-hor e ne fu amico.
Hang-hor, il mio antenato che hai accolto nella caverna dei morti.-
Lasciandosi alle spalle i corpi dei vinti e l’incendio
che ormai si esingueva, Tim-ha, Lin e il Vecchio cominciarono a percorrere il
Fiume Nero. Camminarono più di un giorno e il Fiume Nero sembrava che non
finisse mai. Ora nel cielo si addensavano grandi nuvole di pioggia e questo
fatto voleva dire che gli Dei stavano discutendo fra loro: se la discussione si
fosse trasformata in una lite le frecce di fuoco sarebbero cadute sulla terra.
Tim-ha temeva di aver troppo peccato in superbia e di aver approfittato della
benevolenza degli Dei.
Fu allora, dopo aver superato un tratto del Fiume Nero
che saliva ad un altezza assai elevata, che apparve ai loro occhi il Segno Muto
del Dio Animale. Lin saltava per la gioia e il Vecchio, che era molto stanco
cercava acqua intorno a se. “Non è bello” pensava “presentarsi agli Dei senza
purificarsi.”
Tim-ha disse:
-Venite, il Dio Animale ci attende.-
Vedeva già le prime frecce cadere sulla terra e si
affrettava, lasciava indietro gli altri, correva con tutte le sue forze perché
voleva raggiungere il Dio Animale prima che l’ira degli Dei si scatenasse in
tutta la sua forza. Ma ci volle tempo per raggiungere l’enorme Segno Muto.
Tutto diventava buio e il rombo della lite fra gli Dei era sulle loro teste.
La stessa figura che Un-hch aveva dipinto sullo scudo
emergeva dal mare d’erba e sembrava fatta della pietra che non è pietra, e
questa sembrava pietra ancora diversa da quella che loro avevano da sempre
conosciuto. La collera degli Dei finalmente si riversò dal cielo, mentre la
gioia di Lin per la meta raggiunta si trasformava in sacro terrore davanti al
mistero del Dio che veniva dal passato. Cercava di trattenere Tim-ha che invece
voleva avvicinarsi al Dio Animale, temeva che il suo uomo potesse scomparire a
causa di tremendo castigo che gli Dei avevano decretato per punirlo della sua
superbia.
Tim-ha vide sul fianco destro del Dio, altri segni a
lui assolutamente sconosciuti.
-Cosa vuol dire?- chiese rivolgendosi a Lin, sentiva
che le sue conoscenze non bastavano più per spiegare quel nuovo mistero.
-Ho visto…-il Vecchio rispose al posto di Lin che
scuoteva il capo e sentiva dentro di se un avvicendarsi di paura e attrazione
per la forma animale dritta e solenne nella campagna sferzata dalla pioggia.
Erano giunti, si diceva il Vecchio, al termine di un percorso sacro. Il grande
fiume, nella notte dei tempi, per qualche ragione sconosciuta si era
trasformato in pietra che non è pietra e ora, proprio ai piedi del Dio
s’inabissava nella terra per tornare a scorrere nelle sue viscere.
-Vicino ai deserti di pietra…-disse ancora il Vecchio.
Le frecce cadevano dal cielo e le lacrime degli Dei
erano un torrente, Tim-ha, annichilito, guardava il Dio Animale. Era certo che
la collera celeste l’avrebbe schiacciato. Una freccia cadde accanto al Dio, e
poi un’altra e un’altra ancora. Sembrava che il Dio Animale fosse il vero
bersaglio dell’ira celeste…
E accadde il grande prodigio. Contro le nubi nere del
cielo, il Dio divenne di fuoco. Per un tempo brevissimo, ma sufficiente
affinché potesse imprimersi per sempre nella memoria dei tre viandanti. Una
forte luce parve ardere sulla pelle del Dio e un grido risuonò nella prateria e
sul mondo intero.
MAMMOUTH. MAMMOUTH. MAMMOUTH…
Un forte boato ferì le orecchie di Tim-ha, della sua
donna e del Vecchio.
Il Segno Muto aveva parlato. Tim-ha, Lin e il Vecchio
erano caduti nel fango e tenevano gli occhi chiusi nel timore di restare per
sempre accecati. Poi quando ebbero il coraggio di guardare videro che al posto
del Dio Animale c’era solo fumo nero che il vento portava lontano. Il Dio non
esisteva più, era stato distrutto, era solo una massa informe accartocciata su
se stessa che friggeva nell’erba sotto la sferza delle lacrime degli Dei.
VIII
-Signori! Signori! Un momento di attenzione…-
Il Decano dell’Archeologia si accarezzò la barbetta
bianca e sollevò il foglio.
-L’Archeologia conferisce il premio speciale la Professor Ult-alt -Unt
per le sue ricerche sull’origine della civiltà sul questo pianeta, e in
particolare per quelle concernenti il bacino di esplorazione compreso tra le
montagne di Mammouth e le Isole. Prego, Professor Ult-alt-Unt. Come suo vecchio
insegnante, questo è per me un giorno di grande gioia e soddisfazione.-
Mentre un giovane dalla pelle scura si avvicinava al
tavolo della presidenza, la sala rimbombava di applausi di una platea composta
da tutti gli scienziati delle Terre Conosciute. Il decano e il professor
Ult-alt-Unt si strinsero calorosamente la mano, poi il giovane archeologo
iniziò a leggere la sua relazione. Il Decano ascoltava e il suo pensiero andava
alla giovinezza ormai lontana, al tempo in cui di Quello che era avvenuto prima
si ignorava quasi tutto. Ult-alt-Unt parlava delle montagne e del grande Buco
che era stato scoperto cinquant’anni prima e rendeva omaggio all’eccezionale
generazione degli archeologi che avevano consentito di iniziare il lavoro di
ricerca grazie ad un’opera di attenta analisi delle leggende fiorite dopo il
lento risollevarsi dell’umanità. Ma era allo studio e alle interpretazioni del
Libro dei Tre, sosteneva Ult-alt-Unt, che si doveva la determinazione corretta
di quei percorsi difficili che avevano portato alla ricostruzione della civiltà
antica.
-Quegli uomini e quelle donne che vissero molto vicino
al luogo dove noi ci troviamo, erano animati dalla stessa sete di conoscenza
che oggi ci spinge a dissotterrare e portare alla luce rovine che sembrano
appartenere a città più vaste e complesse delle nostre. La popolazione del
pianeta, prima della “Tragedia”, doveva essere molto numerosa. Il nostro pianeta
era certamente più popolato e al posto dei grandi deserti dovevano esserci pianure
e mari interni, un sottosuolo che forse nasconde segreti che ci auguriamo di
svelare in un prossimo futuro. Cosa avvenne di preciso? Non possiamo formulare
che ipotesi, ma le ricerche e i ritrovamenti avvenuti negli ultimi mesi
all’interno della Montagna di Mammouth provano che esisteva una sorta di
intelligenza che l’umanità si era costruita per soddisfare i suoi bisogni, dai
più elementari a quelli più complessi, e che all’improvviso s’inceppò, forse si
esaurì per mancanza di energia. Questo fatto spiegherebbe il rapidissimo
regresso a forme molto primitive di organizzazione sociale e ad un universo
culturale ancor più arcaico rispetto a quello della civiltà precedente la
“Tragedia”…-
“Il libro dei Tre”
Il Decano tornava col pensiero alla sua giovinezza e
alle lotte che scrittori, poeti e scienziati avevano sostenuto contro il
Consiglio dei Popoli Uniti. C’erano stata anche sommosse…
“Sommosse provocate dall’Archeologia…Giorni
indimenticabili…E l’emozione di quando entrammo nel grande Buco e la sorpresa a
scoprire che non eravamo i primi a violare il segreto della grotta
artificiale…TUNNEL…Ci volle un mese prima di riportare alla luce quella targa gigantesca.
Ma qualcuno ci aveva preceduti. Si. Altri erano stati laggiù e in epoche più
antiche. Forse s’erano persi tra i ghiacci…”
Il professor Ult-alt-Unt aveva terminato il suo
intervento, ancora applausi e strette di mano per una promessa dell’Archeologia.
Poi tutto ebbe termine e il Decano fece ritorno nel suo studio. Era un luogo
semplice dove si rifugiava da quando era scomparsa l’insostituibile Sin-i-la
che l’aveva lasciato dopo una crudele malattia. Il Decano sedette e sospirò,
diventava triste quando assisteva alla gioia degli altri. Non era invidia, ma
piena coscienza della sua solitudine. In quei momenti sapeva con certezza che
anche la sua vita stava per finire e che presto avrebbe raggiunto Sin-i-la nel
regno dei morti. Sollevò gli occhi e lo sguardo cadde su una copia del Libro
dei Tre, l’originale veniva conservato in un urna ben protetta all’interno
della Casa della Vita. Chi erano i tre? Le leggende orali raccolte in quel
libro antichissimo parlavano di un giovane che aveva liberato un popolo da un
crudele tiranno e di una fanciulla che sapeva interpretare il volo degli
uccelli. Il terzo era un vecchio che era stato fratello del Capostitipe. E chi
era il Capostitipe?
“Largo ai giovani. Le mie ossa dolgono e non potrei più
scendere ad esplorare una tomba.”
Il Decano abbandonò la sua scrivania e s’avvicinò
all’ampia vetrata, dalla torre poteva osservare il Lago e più in fondo le
montagne e al centro quella più alta: Mammouth. Il pensiero tornò ancora una
volta alla sua giovinezza e all’emozione di quando aveva compreso che si
trattava solo di una lente d’ingrandimento, lo strano oggetto posato accanto
allo scheletro di un guerriero senza nome, vissuto alle pendici di Mammouth e
sepolto con gli onori dovuti a un re.
14-6-1998
29-7-2011
1-10-2014
Stefano Viaggio
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