martedì 30 settembre 2014

Tunnel


C’era stato un tempo in cui esistevano le città e gli uomini osservavano le stelle per raggiungerle.
La Terra nel corso dei secoli era stata esplorata, popolata, catalogata sino a quando era iniziata l’epoca in cui piccole macchine regolavano e decidevano le sorti dell’umanità. La vita quotidiana degli abitanti della Terra era progettata dalle macchine pensanti. Qualcuno, verso la fine del secolo Ventunesimo, aveva messo in guardia l’umanità dal rischio di affidare tutto alle macchine, ma non fu ascoltato. Nel XXII secolo l’unificazione completa del mercato mondiale sotto un unico governo della Terra, mise fine ai conflitti ed eliminò le enormi differenze che nella seconda metà del Ventunesimo avevano portato l’umanità sull’orlo della guerra nucleare. Giunse allora un’epoca di pace in cui la cibernetica venne applicata a tutti i domini del sapere e consentì alle macchine pensanti di curare malattie sino ad allora ritenute incurabili. Il cancro venne definitivamente sconfitto e ogni uomo poté decidere l’ora della sua morte. Anche su questo le macchine pensanti ebbero un ruolo decisivo. Si disse che l’uomo aveva sconfitto mortali nemici, ma in realtà erano le macchine che avevano vinto e se qualcuno continuò a mettere in dubbio il potere delle macchine pensanti, le macchine stesse provvidero ad isolare le voci e i pensieri che turbavano la nuova epoca. Gli indici di nascita e di mortalità vennero programmati e l’umanità poté dedicarsi all’esplorazione sistematica dello spazio, in breve tempo vennero raggiunti tutti i pianeti del sistema solare, poi si cominciò a progettare un grande viaggio verso le stelle. Sui pianeti esplorati vennero trovate alcune forme primordiali di vita, ma fu l'importazione di minerali e  combustibili di tipo nuovo che sulla Terra diede risultati straordinari. Fu l’epoca in cui un grande sforzo di ricerca venne concentrato per stabilire un contatto con popoli e razze che abitavano i sistemi solari più vicini, ma non accadde nulla e qualcuno disse che le macchine in questo caso non avevano raggiunto l’obbiettivo stabilito.
Le critiche e i dubbi sul governo delle macchine pensanti venivano espressi in ristretti cenacoli e ben di rado raggiungevano la massa del genere umano che continuava a vivere in quella che sembrava la mitica Età dell’Oro. D’altra parte, le voci di dissenso non avrebbero potuto valicare le frontiere imposte dalle macchine pensanti che ormai erano il filtro di ogni pensiero. Le macchine provvedevano a tutto: la guerra era un brutto ricordo del passato, il lavoro non era più necessario e per combattere la noia che avrebbe potuto generare interrogativi e dubbi, creare tensioni e patologie di massa, vennero organizzati grandi spettacoli in cui gli uomini credevano di lavorare. Immaginavano di essere nel fondo delle miniere a scavare la roccia, costruivano manufatti che non esistevano, combattevano guerre che non uccidevano nessuno, morivano anche, ma rinascevano subito dopo. Erano giochi che si svolgevano ogni giorno e milioni di persone vi partecipavano, alla sera quando tornavano nelle loro case credevano di essere stanchi e si addormentavano dopo aver programmato i loro sogni. Fu in quel tempo che, clandestinamente, pochi pensatori e scienziati iniziarono a organizzare visite presso i monumenti che erano stati considerati importanti nella storia della Terra. Non furono in molti a voler vedere con i loro occhi le piramidi o i grandi affreschi del Rinascimento, quelle opere d’arte che tanto spesso avevano placato il dolore universale e di cui forse si sentiva nuovamente il bisogno. Le macchine pensanti avevano abolito il dolore e l’arte non era più necessaria per vincere la solitudine e raggiungere l’irraggiungibile. Tra i tanti luoghi visitati da quel gruppo di esploratori clandestini, ve ne fu uno che raggiunse i piedi di una grande montagna che ancora aveva il nome di Monte Bianco. La montagna qualche secolo prima era stata forata per collegare tra loro popoli e merci dell’antico continente, quell’Europa in cui ora l’aria era pulita e i fiumi pieni di pesci. I turisti clandestini entrarono e visitarono quel vecchio tunnel che nessuno utilizzava più; il dottor Castrop li guidava e considerava il tunnel come una reliquia. Il dottor Castrop aveva venticinque anni e si occupava di storia. Le macchine pensanti scrivevano la storia come meglio credevano  e i libri erano stati dimenticati. Il dottor Castrop era un giovane studioso che cercava libri, li leggeva e li archiviava in un sotterraneo di una grande casa di sua proprietà. Persone come il dottor Castrop erano solo tollerati, venivano osservati con occhio attento dal Governo Mondiale e di tanto in tanto le macchine pensanti fornivano dettagliate informazioni sui loro movimenti e sulla vita che conducevano.
La visita all’interno del Tunnel avvenne pochi anni prima che l’Età dell’Oro finisse in modo assi tragico.
Nessuno fu mai in grado di stabilire come e quando avvenne, nessuno fu certo che fosse proprio quella la causa del disastro. Si disse che un certo tipo di minerale estratto dalle macchine pensanti in una miniera del pianeta Venere, fosse la causa della malattia incurabile che colpì la civiltà cibernetica. Alcuni e il dottor Castrop fu uno di essi, pensarono che fossero le macchine stesse a decidere che era venuto il tempo di smettere di funzionare. Ma la verità non fu mai accertata. Del resto, non ci fu il tempo di farlo.
La civiltà della Terra fu inghiottita da un vortice di follia.
L’umanità, priva del sostegno delle macchine pensanti che provvedevano a tutto, si ritrovò orfana e impotente di fronte alla natura, ai bisogni materiali, agli eventi atmosferici, alle carestie che portarono malattie e guerre. I libri che aveva ritrovato il dottor Castrop palavano di Quattro Cavalieri che rappresentavano i flagelli: la peste, la fame, la guerra e la morte.
I Cavalieri giunsero e i flagelli infuriarono. Armi micidiali e dimenticate uscirono dai sotterranei: erano inutilizzabili, ma vennero studiate e ricostruite. Missili e bombe vennero lanciati sulle città nemiche e predicatori salirono su pulpiti e rovine per annunciare una nuova epoca: quella della terra sacra, della stirpe e del sangue puro. A nulla era servito, nei decenni che avevano preceduto il disastro, il ritorno sulla Terra di un uomo chiamato Cristo e che le macchine avevano fatto risorgere per popolare i sogni degli uomini.
E fu in questo modo che l’Età dell’Oro in breve tempo regredì a un’epoca di barbarie, di deserti contaminati e di istinti. Pochi uomini si salvarono in questo disastro e la Terra divenne nuovamente un pianeta in cui pochi gruppi umani vivevano isolati e timorosi degli orizzonti inesplorati.
II
Passarono secoli, forse più di mille anni. Nessuno sarà mai in grado di stabilire quanto tempo fu necessario ai superstiti per sollevarsi dalla “Tragedia”, come venne definita la fine dell’epoca delle macchine pensanti da coloro che avevano solo un vago ricordo degli avvenimenti e tramandavano quella “Memoria” di padre in figlio, in segreto e sotto giuramento di non rivelare al popolo mai niente del passato, pena l’ira degli Dei sulla propria famiglia.
All’inizio furono poche migliaia di esseri umani che riuscirono a riorganizzarsi e darsi forme di comunità primitive tipiche delle tribù nomadi, erano i “Cercatori tra le rovine”. Ma colti da gravi e strane malattie, presto i Cercatori si estinsero e i superstiti cercarono altre strade per sopravvivere.
Gli uomini e le donne che nel corso dei secoli si sparsero nuovamente nei quattro angoli della Terra, formarono comunità chiuse e distanti le une dalle altre, timorose di affrontare i grandi spazi deserti e malsani che si aprivano al di là di mura e palizzate che proteggevano i loro piccoli villaggi. Tutto questo era già avvenuto nella notte dei tempi, millenni prima della “Tragedia”, ma allora l’umanità era un bambino che cresceva, ora somigliava a un cucciolo impaurito che si nasconde.
All’epoca in cui avvennero i fatti che stiamo per raccontarvi, una piccola isola era abitata da un popolo dalla pelle scura. Chiamavano la loro terra semplicemente Isola e non erano numerosi. Avevano eretto mura e torri di avvistamento, ma nessun nemico era mai giunto dal mare. Gli abitanti di Isola veneravano la Dea della Notte e il Padre del Giorno.
La nostra storia inizia quando, come accadeva quasi ad ogni passaggio di generazione, la Dea della Notte, il grande volto bianco che sorge dal mare, suo figlio e amante, si oscurò e tutto fu immerso in una notte  che parve interminabile.
Grande fu il terrore tra gli abitanti di Isola, ma il sommo Sacerdote del Fuoco interpretò quel segno celeste in maniera diversa dal passato. Non era un annuncio di sventura, ma un invito.
La Dea, disse il saggio Sacerdote, aveva ordinato di attraversare il mare ed esplorare le terre che nei giorni di vento si vedevano all’orizzonte. Venti giovani furono scelti e fra essi Ang-hor, a cui fu conferito il titolo di Esploratore per la sua forza, la velocità della corsa e la destrezza nel tiro con l’arco. Partirono e tornarono dopo un mese, non avevano incontrato esseri umani su quelle terre, solo immense foreste e rovine. Hang-hor si era però tenuto lontano dai Deserti di Pietra, anch’essi invasi dalle foreste e dalle paludi. Gli erano sembrati infidi con le torri scheletriche che sembravano silenziosi segni di morte elevati al cielo. Ang-hor pensava che gli Dei le avessero lasciate per ammonire i viandanti. Al suo ritorno, Ang-hor raccontò di aver visto alte montagne, ma non c’era vita attorno alle montagne.
Tang-har, moglie di Ang-hor, accolse con gioia il ritorno del suo sposo e quella notte concepì un figlio maschio.
Ma Ang-hor aveva osservato le alte montagne e il biancore che ricopriva le cime più alte e desiderava tornare laggiù per penetrare tra le gole misteriose e scoprire i segreti che nascondevano. Le terre che aveva visitato erano popolate da lupi, cavalli e greggi selvatiche, c’erano anche strani buoi con tre gobbe che vagavano nelle praterie e sguazzavano nelle paludi.
Ang-hor nelle notti di veglia pensava alle terre disabitate e si diceva che era giusto prenderle e popolarle per innalzare altari alla Dea della Notte e al Padre del Giorno. Ang-hor ottenne il permesso dal sommo Sacerdote e partì alla volta delle montagne. Tang-har pianse. Tre mesi dopo Ang-hor e i suoi compagni tornarono dalle terre orientali e fu di nuovo gran festa su Isola. Al termine dei festeggiamenti il sommo Sacerdote del Fuoco volle parlare con l’Esploratore, da solo.
Quando Ang-hor ebbe terminato il suo racconto il sommo Sacerdote rimase in un lungo silenzio.
-Non è una cosa buona.-disse più tardi.
-Perché?-chiese l’Esploratore.
-E’ meglio che il nostro popolo non sappia.-
Il sommo Sacerdote era un uomo già avanti con gli anni e godeva di grande rispetto per la sua saggezza.
-E’ la prima volta che…-disse Ang-hor.
Ma il sommo sollevò la mano destra, era il segno che il colloquio era terminato. Ang-hor chinò il capo e si ritirò, era assai deluso e se ne andò a pensare in cima alla scogliera. Al di là del mare c’era la terra che aveva esplorato. Sentì sulla spalla il tocco di una mano leggera, era Tang-har che veniva a trovarlo. Sedette accanto a lui.
-Cosa ti ha detto?-gli chiese.
-Il sommo ha paura.-rispose Ang-har-Sbaglia. Io conosco i giovani: vogliono partire, Isola è diventata troppo piccola per tutti.-
-Ma perché il sommo ha paura, cos’hai visto di tanto tragico laggiù?-
Abg-hor amava Tang-har e sapeva che di lei poteva fidarsi.
-C’è freddo-disse-molto freddo laggiù. Eravamo scoraggiati e decisi a tornare indietro, ma il tempo cambiò e si levarono venti caldi, era il Padre del Giorno che ci veniva in aiuto. Provammo allora ad esplorare le pendici di una montagna altissima da cui scende un gran fiume di ghiaccio. Gli uomini avevano paura, si udivano lontani rumori simili al tuono che viene dal Mare Sconosciuto. Decisi di andare da solo, sono io l’Esploratore. Cominciai a salire e mi parve di vedere in cima a quel pendio qualcosa che somigliava alle Rovine che si incontrano ai confini dei Deserti di Pietra. Mi chiesi se prima della Tragedia anche lì abitassero gli uomini di cui ignoriamo tutto. Continuai la mia ascensione solitaria. Forse furono i venti caldi che si erano levati in nostro aiuto che sciolsero il ghiaccio e scoprirono l’ingresso di una grotta che mi parve fatta della stessa materia delle Rovine. Forse a causa di quel grande fiume di ghiaccio che si ritirava, molte pietre erano scivolate lungo le pendici della montagna e ostruivano l’ingresso di quella cosa. Provai a salire, smossi delle pietre e mi ritagliai un passaggio, scesi e mi ritrovai in una caverna lunghissima che entrava nella pancia della montagna. Tornai indietro e dissi ai compagni di attendermi, poi andai di nuovo nella grotta, ma dovetti ricredermi. Non è una grotta, ma una tomba. Alla luce della mia fiaccola vedevo strane capanne fatte di una materia che non ho mai visto. Poggiavano, gli Dei mi perdonino, su cose che avevano la forma della Dea della Notte e del Padre del Giorno. Dentro le capanne mi parve di vedere teschi e ossa. Ebbi paura e pensai che potesse colpirmi un grande maleficio, forse avevo troppo sfidato gli Dei. Camminavo dentro una grande montagna e incontravo le case dei morti: ero nella città dei morti e mi accorsi che sulle pareti di quella città sotterranea c’erano i volti di coloro che non conosciamo. Erano uomini, bambini, donne…Non so spiegarti questo strano prodigio, ma erano come dipinti su una sconosciuta corteccia. E tutti sorridevano. Toccai quella corteccia e la sentii sottile alle mie dita, provai a tirarne un pezzo e si sbriciolò nelle mie mani, divenne polvere. Ma loro continuavano a sorridermi e se illuminavo più in fondo vedevo altri volti e strane cose dipinte su quella corteccia: non le abbiamo mai viste e non le conosciamo. Fu allora che compresi dov’ero e cos’era la caverna. Coloro che non conosciamo erano venuti in quel luogo ad aspettare la chiamata degli Dei e la grande montagna era il luogo prescelto affinché il loro spirito si mutasse in ghiaccio e quindi in Acqua che il Padre del Giorno fa scorrere nei grandi fiumi che raggiungono il Mare. E’ così che l’acqua incontra il figlio della Dea della Notte. E’ dal loro amore che nasce la vita.-
-Fuggirono dalla Tragedia.-mormorò Tang-har.
-Si. Cercarono la montagna che trasformò il loro spirito in acqua. La montagna è il bene. Nessun male può venirci dalla montagna e noi dobbiamo tornare a interrogarla…Ci parlerà in nome degli Dei.-
-E le donne, com’erano?-
-Quelli che non conosciamo non erano come noi, le donne avevano i capelli color del grano…Per volontà del Padre del Giorno essi sono attorno a noi, vivono nell’acqua sciolta dal soffio caldo del Padre, sono nelle sorgenti, nei fiumi, nel mare e anche nel cielo…Se vivono attorno a noi, sono certo che vorranno aiutarci.-
-Andarono in fondo alla terra e attesero la morte con i loro figli.-
Tang-har sentì nel ventre muoversi la creatura che presto avrebbe visto la luce. Nel cielo erano comparse grandi nuvole scure e s’era alzato il vento freddo.
“Niente sarà come prima”
Tang-har voleva dire questo pensiero al suo uomo, ma tacque. Sapeva che Ang-hor sarebbe partito, avrebbe preso di nuovo la via del mare per andare ai piedi della grande montagna. Ang-hor avrebbe disobbedito al sommo. E per la prima volta un brivido sconosciuto l’attraversò per tutto il corpo.
III
Passarono cinquant’anni dal giorno in cui Ang-hor aveva lasciato Isola per non farvi più ritorno. E con lui la migliore gioventù di quel piccolo popolo s’era persa al di là del mare. Il figlio di Ang-hor aveva generato molti figli e così avevano fatto i pochi maschi rimasti: questo aveva ordinato la Dea della Notte, oscurandosi ancora una volta. E negli anni seguenti nessuno aveva preso il Mare per le Terre Orientali: i Sacerdoti del Fuoco avevano riconosciuto sulle spiagge segni misteriosi, ma avevano taciuto. Il ricordo di Ang-hor, l’Esploratore delle città dei morti e della montagna malvagia che inghiottiva chi sfidava gli empi, tenne a freno chi era tentato dall’avventura. Un giorno un Sacerdote del Fuoco raccontò di aver sognato l’Esploratore soccombere in una lotta impari contro il Guardiano delle Montagne e venir divorato dalle cento bocche del mostro.
-Così è morto Ang-hor. Così mi hanno raccontato gli Spiriti della notte.-
Questo aveva detto il Sacerdote al popolo di Isola.          
Fra i bambini che correvano sulle spiagge c’era Tim-ha, discendeva in linea diretta da Ang-hor ed era un ragazzo più silenzioso degli altri. Aveva conosciuto la sua bisnonna, Tang-har. Ricordava gli occhi della vecchia che un giorno l’avevano scrutato a lungo. Da quel momento il bambino aveva sentito una voce. Non sapeva chi, ma c’era qualcuno che lo chiamava. I sacerdoti osservavano il ragazzo e parlavano fra loro. Un giorno decisero che sarebbe entrato nel Tempio per imparare la grande arte della conoscenza che comprendeva i segreti delle erbe e della radici, l’osservazione delle misteriose vie tracciate nel cielo durante le purissime notti di Isola. Tim-ha avrebbe tratto auspici dalla forma delle nubi e predetto la fortuna e la sfortuna picchiando fra loro le grandi conchiglie sacre, mentre la sua bocca avrebbe intonato la nenia segreta, figlia dell’infuso di erbe che faceva sognare ad occhi aperti, spalancati sull’universo come quelli di un folle. Consacrato al Padre del Giorno e alla Dea della Notte, Tim-ha sarebbe vissuto in castità e contemplazione. Grande fu la gioia della madre, I-ha, quando i sacerdoti le dissero ciò che avevano deciso. Ma nessuno conosceva il segreto che si nascondeva nell’animo del ragazzo. Lui guardava il Mare e sentiva la voce che lo chiamava. Nessuno si era accorto di quando, solitario, saliva sulle colline e cercava di scorgere le Terre Orientali. Lassù, nei giorni di grande vento, Tim-ha pensava ad Ang-hor.
“Ang-hor è tornato due volte, la terza è sparito nelle Terre Orientali. Così raccontano le antiche storie. Se è tornato vuol dire che è possibile. Perché non possiamo tentare ancora?”
Poi si voltava verso il Tempio e le basse case di pietra che lo circondavano. Si udivano le grida dei suoi compagni e i richiami dei pastori che la sera riportavano le greggi all’ovile.
Un pensiero attraversava la mente di Tim-ha.
“E’ piccolo. Tutto è troppo piccolo.”
Un giorno i suoi genitori gli comunicarono la decisione dei Sacerdoti del Fuoco. Tim-ha sarebbe entrato nel Tempio, col tempo la sua barba sarebbe cresciuta  e gli abitanti dell’Isola l’avrebbero baciata se l’avessero incontrato sul loro cammino.
Tim-ha era obbligato ad accettare la decisione dei sacerdoti, per questo divenne ancor più solitario, i suoi compagni che conoscevano il destino che gli era riservato si avvicinavano al ragazzo con soggezione. Venne il tempo delle piogge e quell’anno furono intense e rovinose. Il vento e la tempesta spazzarono la costa dell’Isola, il piccolo fiume straripò e molte capanne furono distrutte. Grandi masse di fango invasero i campi. Quando la tempesta si placò e furono compiuti i riti di ringraziamento agli Dei per lo scampato pericolo, Tim-ha andò ad aiutare un vecchio agricoltore quasi cieco: era un compito al quale un giovane non poteva sottrarsi. Fu in un giorno di vento che la zappa di legno di Tim-ha urtò contro qualcosa che sporgeva fuori dal terreno sconvolto dalle piogge recenti. Era un oggetto dalla forma rotonda e che sembrava trasparente come l’acqua. Non era di pietra, ma sembrava simile a quei calici antichissimi che erano custoditi nel Tempio e recavano incise parole che nessuno aveva mai decifrato. B..RR…così era scritto. Le altre lettere s’erano perse nel tempo e nessuno sapeva cosa volesse dire B…RR…
Tim-ha raccolse l’oggetto rotondo e l’osservò, poi notò qualcosa che impressionò Tim-ha tanto da  procurargli un brivido doloroso lungo la schiena. Dentro quell’oggetto misterioso le sue dita si trasformavano, le unghie diventavano molto più grandi e le tracce di fango attaccate alle falangi erano nitide e visibili come mai Tim-ha le aveva osservate. A Tim-ha tutto questo ricordava l’acqua del torrente quando restava in certe pozze di pietra levigate dal tempo. I sassolini caduti all’interno sembravano più grandi, ma bastava prenderli in mano e tutto tornava come prima. Ma quella non era acqua. Tim-ha provò a toccare la materia dura e trasparente che lentamente lasciava cadere nel vento e nel sole, la terra sabbiosa che l’aveva custodita per chissà quanti anni. No. Non era affatto acqua. E quel prodigio era racchiuso in un cerchio rotondo di color chiaro e opaco, ma quando Tim-ha provò a sfregarlo con le dita divenne lucente. E c’era uno strano meccanismo che teneva insieme il cerchio e un bastoncino fatto di una materia che sembrava pietra, ma non lo era. Tim-ha ne era certo.
Forse erano ossa di animale? Si chiese Tim-ha mentre avvertiva il calore che una piccola luce provocava sul palmo della sua mano. Spostò l’oggetto e la luce si mosse. Allora sollevò gli occhi al cielo, il Padre del Giorno lo sovrastava, il bagliore era talmente forte che Tim-ha dovette chiudere gli occhi e nelle narici sentì odore di fumo. Si guardò intorno e s’accorse che da un piccolo groviglio di sterpi secchi si sollevava un filo di fumo. Era l’oggetto trasparente che generava il fuoco? Tim-ha vide le fiamme e corse verso il pozzo, prese una ciotola d’acqua e spense l’incendio mentre il cuore sembrava scoppiargli nel petto. Si guardò intorno: era solo, assolutamente solo e nessuno aveva visto quel prodigio. Ora Tim-ha conosceva un segreto che gli Dei avevano rivelato solo a lui. Nascose la cosa strana che generava il fuoco e, timoroso di quella forza, decise di attendere il sonno del Padre per osservarla meglio. Sapeva di commettere un grande peccato di superbia, ma tra se pensava a quello che raccontavano i Sacerdoti del Fuoco.
“Dicono che siamo gli unici ad aver popolato Isola perché coloro che perirono nella Tragedia non l’avevano mai visitata. Isola è pura e ci mette al riparo dai mostri che vivono nelle Terre Orientali. E se invece questo Segno che cattura il soffio del Padre del Giorno e crea il Fuoco fosse un altro segno…Cosa debbo fare?”
Il terrore che quel piccolo tesoro gli fosse tolto lo sconvolgeva, attese che il sonno scendesse su tutta la sua famiglia e nella notte uscì all’aperto. La Dea della Notte era nel cielo con il suo grande viso bianco e lo osservava, splendeva come mai era accaduto. Tim-ha tirò fuori il Segno e provò a osservare il palmo della sua mano, anche la Dea della Notte gli inviava una piccola luce che non bruciava.
“Gli Dei vogliono dirmi qualcosa. I Sacerdoti sbagliano e Ang-hor aveva ragione, lui non è tornato, ma io ho gli Dei dalla mia parte e con il loro aiuto sconfiggerò i Guardiani delle Montagne e scoprirò il segreto di coloro che vissero qui prima di noi."
Tim-ha nascose con cura il dono degli Dei e fece ritorno al suo giaciglio, provò a dormire, ma non riuscì a prendere sonno. Quando il Signore del Giorno iniziò il suo risveglio, Tim-ha aveva preso una decisione.
“Sono ancora troppo giovane per partire, ma quando sarò forte andrò lontano. Partirò solo e tornerò per dire al popolo che i Sacerdoti sbagliano. Io non mi chiuderò mai nel tempio.”
IV
Il grido selvaggio di Tim-ha risuonò per tutta la valle e si perse fra le alte figure bianche che il ghiacciaio lasciava dietro di se nel suo lento arretrare verso l’altissima montagna. Tim-ha sollevò in alto lo scudo e pose il piede destro sul capo del nemico. Un-hch era disteso ai sui piedi in un lago di sangue, la spada di ferro dell’Esploratore gli aveva quasi staccato la testa dal tronco. Il Padrone del Passo era morto, la valle liberata e i suoi abitanti avrebbero potuto scendere a cacciare nelle grandi praterie d’occidente senza l’obbligo di celebrare sacrifici umani in onore del Dio Animale.
Tim-ha aveva risalito il fiume come il suo predecessore e antenato Ang-hor, ma invece di proseguire diritto verso la grande montagna si era diretto a sinistra. Lassù, in una valle stretta, aveva incontrato gli abitanti di quei luoghi: i primi esseri umani che vedeva da quando aveva lasciato Isola. I primitivi lo avevano avvisato: anche lui avrebbe dovuto celebrare un sacrificio in onore del Dio Animale e pagare un prezzo per attraversare il passo. Ma Tim-ha aveva proseguito il suo cammino e quando aveva incontrato il gigantesco guerriero gli aveva intimato di inchinarsi davanti al Padre del Giorno.
Un-hch aveva risposto:
-Ti ucciderò in nome del Dio Animale!-
-Il tuo Dio è suddito del grande Padre del Giorno e della Signora della Notte.-aveva risposto Tim-ha senza arretrare di un passo o dare segni di paura. Poi s’erano lanciati l’uno contro l’altro e la giovinezza aveva prevalso sulla ferocia e la forza di Un-hch.
I prigionieri di Un-hch videro Tim-ha che sollevava la testa mozzata e la offriva al Padre del Giorno. Allora si avvicinarono per prostrarsi.
-No!-disse Tim-ha-Il tiranno è morto, ora tutti potranno vivere, cacciare e avere figli secondo la benevolenza del Signore del Giorno e della Signora della Notte.
Quelli l’osservavano timorosi, ma Tim-ha volgeva lo sguardo alle Rovine. Cos’erano’, si chiese, forse un tempio innalzato prima della Tragedia?
Il pianoro erboso dove era avvenuto il duello era dominato a occidente da una torre costruita con la pietra che non è la pietra, a Tim-ha ricordava più l’opera di Coloro Che Erano Venuti Prima. Era una materia simile a quella dei Deserti di Pietra e la torre gli ricordava i racconti uditi su Isola a proposito dei grandi scheletri che sfidavano il cielo. Il sangue d’un colpo gli si gelò nelle vene, il Segno che catturava il soffio degli Dei era andato perso nella lotta? No, il Segno era al suo posto nella bisaccia, ben protetta dalla tunica pesante rinforzata con gusci di tartaruga.
-Tu ci hai liberato, diventa il nostro re!-gridò l’anziano del villaggio.
-Debbo proseguire nel mio cammino, il mio compito non finisce qui. Troverò, ve lo prometto, il tempio de Dio Animale e farò sacrifici per distogliere la sua collera dalle vostre teste.-
E per la prima volta l’attenzione di Tim-ha fu attratta dallo scudo di Un-hch  che aveva un’insegna. Era l’immagine dipinta in rosso di un animale che Tim-ha non aveva mai visto. Sembrava un grande animale dalle orecchie grandi e per naso una lunga protuberanza, le zanne ricurve lo facevano sembrare assai temibile. Mai Tim-ha aveva incontrato un essere simile nelle Terre Orientali.
Quella sera al villaggio ci fu gran festa e si celebrarono riti propiziatori agli dei di Tim-ha che subito divennero anche quelli dei primitivi abitanti della valle.
Tim-ha interrogò l’anziano del villaggio.
-Cosa si racconta del Dio Animale fra queste montagne?-
-Gli antenati raccontavano che il Dio Animale vivesse molto lontano dalle montagne, su una terra irraggiungibile. Ma un giorno il Dio inviò un segno muto: è quello che fu dipinto sullo scudo e che tu hai conquistato a Un-hch.-
“Il Padre del Giorno è più forte del Dio Animale e il segno che mi ha inviato crea il fuoco. Il segno di una bestia è debole perché le bestie hanno paura del fuoco.”
Poi Tim-ha ebbe un’idea.
-Un Dio che si affida a uno stupido come Un-hch non è un grande Dio. Io troverò il Dio Animale e gli dirò che il Padre del Giorno e la Signora della Notte mi hanno inviato per farlo riflettere sull’errore. D’ora in avanti io metto sulle miei insegne quella del Dio Animale e m’impegno a difenderlo dalle ingiurie e a cancellare la cattiva fama che gente come Un-hch gli ha procurato. Ma come farò a trovare il segno?-
-Gli antenati dicevano che bisogna seguire il Fiume Nero per trovare il segno muto del Dio Animale.-
-Cos’è il Fiume Nero?-
-Nessuno saprà dirti cosa sia il Fiume Nero, forse era proprio un gran fiume d’acqua prima che avvenisse la grande battaglia che voi chiamate Tragedia. Il Fiume Nero non è fatto d’acqua e tu puoi camminarci sopra. E’ come se fosse fatto di pietra, ma è diversa dalla pietra che non è pietra. Si racconta che sgorghi dall’erba delle praterie e s’inabissi davanti al Segno Muto del Dio Animale. Io però non l’ho mai visto. Qualcuno dice anche di aver visto il Fiume Nero in terre molto lontane da quella in cui sorge il Segno Muto, ma io non ci credo. La gente di queste parti crede a tutte le frottole che raccontano gli stranieri.-
Tim-ha partì dopo tre giorni dalla valle e si diresse verso le praterie, giunse dinnanzi a quel grande mare d’erba quando il Padre del Giorno affidava il compito di vegliare su tutte le cose alla Signora della Notte. Si chiedeva come avrebbe trovato il Fiume Nero mente avanzava nell’erba e udiva attorno a se suoni e rumori che annunciavano la notte.
L’anziano del villaggio gli aveva detto:
-Ascolta la voce degli Dei, ti guideranno.-
V
Tim-ha osservava la Signora della Notte che era apparsa superando i picchi delle alte montagne, lontane e misteriose. Estrasse il Segno dalla bisaccia e lo rivolse alla Dea, era salito su una collinetta  per riposarsi e dominare la prateria, temeva lupi e altri animali feroci. Il Segno catturò il soffio e nel buio della notte  il palmo della mano del Nuovo Esploratore si illuminò ancora una volta e Tim-ha cercò tra le pieghe e i solchi della sua carne la direzione da prendere. Si rivolgeva alla Signora della Notte e invocava il suo aiuto.
Stava per riporre il Segno al sicuro, ma si accorse che il debole soffio della Dea cadeva su qualcosa che emergeva dall’erba, ma il soffio era troppo debole e la Signora lontana. Tim-ha non poteva capire di cosa si trattasse, si chinò e toccò quella cosa che gli parve pietra che non è pietra. Lontano si udì il grido di un uccello notturno, un altro grido rispose. Tim-ha non aveva mai avuto paura da quando s’era inoltrato nelle sconosciute Terre Orientali, ma ora sentiva il timore per qualche presenza sconosciuta che si agitava attorno a lui. E se pensava ai compiti che lo attendevano ne era atterrito. Cos’era il Fiume Nero? Era un altro Segno del Dio Animale, un segno Muto?
E si ricordò di una sensazione provata in un tempo lontano.
Era quando la sua bisnonna, Tang-hor, lo aveva guardato in quel modo. Cosa aveva voluto dirgli l’anziana moglie di Ang-hor? E questa domanda si fuse con quelle più grandi che si agitavano nella mente di Tim-ha da quando aveva scoperto che i Sacerdoti del Fuoco praticavano l’ignoranza. Cos’era la “Tragedia” e perché Coloro Che Erano Venuti Prima e di cui niente si conosceva erano scomparsi in quella che il vecchio della valle chiamava la Battaglia fra gli Dei? E Tim-ha si sentiva schiacciato dalla piccolezza del suo essere davanti agli Dei del Cielo e dai segni misteriosi che punteggiavano i campi, le paludi, le montagne. Cos’erano stati i Deserti di Pietra? E lui stesso, chi era? Da quale terra provenivano i suoi più remoti discendenti?
“Se l’Isola fu popolata da Coloro Che Erano Venuti Prima, nei tempi che precedettero la Tragedia allora anche noi e quelli che ho liberato dalla tirannia di Un-hch e tutti coloro che incontrerò nel mio cammino sono figli di chi combatté a fianco degli Dei nella Grande Battaglia.”
Tim-ha interrogò la Signora della Notte. Pallida lo osservava dal cielo. Muta. Tim-ha chinò il capo sulle ginocchia, tutto per lui era diverso in quella notte.
Improvvisamente udì l’urlo di una voce umana e gli ululati distinti e vicini.
Balzò in piedi e cercò di forare l’oscurità con gli occhi. Vide un bagliore e si lanciò in quella direzione. I lupi, forse tre o quattro, circondavano due viandanti. Uno di essi proteggeva l’altro, brandiva la torcia cercando di tener lontane le bestie feroci, ma non avrebbero resistito a lungo. Tim-ha afferrò la sua spada e si lanciò sui lupi, colpì con precisione e ferocia: quando la lotta terminò tre lupi giacevano a terra, un quarto era fuggito. Tim-ha sanguinava dal braccio sinistro, lì dove si erano conficcate le unghie dell’ultima bestia uccisa e nella lotta non aveva nemmeno fatto in tempo a vedere chi stava salvando. Le due figure si tenevano l’una accanto all’altra e alla luce della torcia che ormai si spegnava distinse il volto di una fanciulla e quello di un vecchio.
VI
Lin masticò l’impasto di radici e terre rosse poi lo spalmò sul braccio ferito di Tim-ha. L’esploratore aveva perso sangue e quando era giunto sulla collinetta s’era lasciato cadere nell’erba. I due sconosciuti s’erano seduti accanto a lui e Lin l’aveva curato.
Tim-ha si svegliò quando il Padre del Giorno sorse nel cielo e pur con una grande stanchezza in tutto il corpo, si levò in piedi  e si guardò attorno. Si accorse di un blocco di pietra che non era pietra, era perfettamente squadrato e  a forma di freccia. Tim-ha ne estrasse una dalla faretra e la paragonò a quella più grande chiedendosi se anche Coloro Che Erano Venuti Prima usassero le frecce per combattere e procurarsi il cibo.
-Noi ti ringraziamo straniero.-
Tutto preso da quel nuovo Segno Muto, Tim-ha si era completamente dimenticato del Vecchio e della fanciulla. Il Vecchio indossava una tunica bianca simile a quelle che le donne tessevano su Isola, ma certamente di miglior fattura. La ragazza aveva i capelli color del grano e il viso chiaro come quello della Signora della Notte, anche lei indossava una tunica uguale a quella del Vecchio, ma di un colore diverso che Tim-ha non conosceva e che sembrava simile alle foglie degli alberi. Al collo, alle orecchie e ai polsi portava monili ornati di pietre che a Tim-ha parvero fatti della stessa materia lucente che serrava il Segno che genera il Fuoco.
A Tim-ha, Lin parve bellissima.
-Noi andiamo verso la montagna.-disse il Vecchio Mit-sun.
-Perché la montagna?-chiese il Nuovo Esploratore.
-Gli Dei del Cielo me l’hanno ordinato. Lin mi accompagna in queste terre selvagge.-
-E cosa chiederai alla montagna?-
-Gli Dei mi vennero in sogno. Dissero: vai alla montagna, cerca la più grande di tutte, la più alta. Essa ti parlerà.-
Tim-ha si toccò il braccio ferito, non bruciava più e l’impasto di radici era seccato. I suoi occhi incontrarono quelli di Lin.
-Tu hai fatto questo? Ti ringrazio, noi non conosciamo quest’arte di guarire le offese degli uomini e delle bestie.-
-Siamo noi che dobbiamo ringraziare te, straniero dalla pelle scura. A quest’ora saremmo nella pancia dei lupi.-rispose Lin.
-Da dove venite?-chiese Tim-ha.
Lin si volse e indicò l’orizzonte.
-La nostra città ti accoglierà con grande festa, se vorrai onorarci della tua visita. Tu ci hai salvato.-
E Tim-ha fu sconvolto dal sommarsi di un altro mistero a quelli che già si affollavano nella sua mente.
“Perché uomini e donne che vivono così lontani e isolati tra loro, quando parlano riescono a comprendersi?”
Si volse a guardare il Padre del Giorno che al suo risveglio non ferisce gli occhi con la sua potenza.
-Cosa mediti?-gli chiese Lin. Era una fanciulla dallo sguardo penetrante e dal corpo snello, i suoi occhi erano azzurri e i capelli color del grano.
-Anch’io vado per il mondo. Mi pongo mille domande alle quali vorrei una risposta. Cerco…Ecco tutto…-
A quelle parole il vecchio parve animarsi, la sua domanda tradiva l’emozione.
-Da dove vieni?-
L’Esploratore indicò il Segno a forma di freccia.
-Ne avete già incontrati?-
-Si-rispose Lin-Indicano qualcosa che non riusciamo a capire.-
-Da dove vieni?-chiese ancora Mit-sun.
-Da una terra circondata dalle grandi acque e che noi chiamiamo Isola. Sono fuggito dalla mia gente perché voglio comprendere i misteri che ci circondano e tornerò sulla mia terra per svelare al popolo che i Sacerdoti sbagliano nel tenerci isolati dalle altre terre. Solo Hang-hor…-
-Tu parli di Hang-hor!-
Gli occhi del vecchio brillavano.
-Hang-hor è il mio antenato. Vide la grande montagna e fu divorato dal Guardiano. Ma tu conosci il suo nome…-
-Conobbi Hang-hor quando ero un ragazzo. Venne nelle nostre terre in pace, disse che voleva ritrovare la Grotta dei Morti. Disse che era penetrato nel ventre della montagna e aveva visto coloro che vennero dal cielo e popolarono queste terre prima…-
-Prima di cosa, vecchio?-
Tim-ha sentì la mano di Lin che prendeva la sua destra mentre tendeva l’altra mano a Mit-sun che l’afferrrava. Ora Tim-ha era parte di un cerchio. Udì le parole di Lin.
-Colui che fa crescere il grano e ogni giorno nasce e muore ci ha fatto incontrare e ora unisce le nostre forze per chiedere alla Montagna di parlarci.-
La fanciulla sorrideva e i suoi capelli erano color dell’oro.
-Cosa accadde ad Hang-hor?-chiese Tim-ha.
-Nessuno può dirlo.-disse Mit-sun-Un giorno partì, i suoi uomini ormai vivevano nella nostra città, avevano mogli e figli. L’incontro tra i guerrieri del tuo avo e i nostri non era stato sanguinoso, li aveva uniti la lotta comune contro un’orda di predatori che venne sterminata. Ma Hang-hor era un uomo inquieto, parlava della sua Isola e della Caverna dei Morti che non riusciva più a trovare. Aveva di nuovo esplorato la Montagna, ma non era più riuscito a ritrovare l’ingresso del Regno dei Morti. Diceva che la montagna è il bene perché trasforma lo spirito di coloro che vanno a riposare nel suo ventre in vita. E un giorno partì, ma non è più ritornato. Tu, vuoi accompagnarci?-
-Debbo placare il Dio Animale, ho ucciso il feroce Guardiano del Passo e gli ho tolto le insegne.-
Tim-ha mostrò lo scudo, Mit-sun e Lin osservarono la bestia sconosciuta con stupore.
-Non ho mai visto niente di simile.-disse Lin.
-E’ possibile che la collera del Dio Animale ora colpisca anche voi che siete miei amici. Siamo animati dagli stessi desideri, ma contro la volontà degli Dei non riusciremo a far nulla, per questo vi chiedo di unirvi a me nella ricerca del Dio Animale. Quando lo avremo placato, ci dirigeremo verso la Montagna.-
Il vecchio e la fanciulla accettarono.
VII
Camminarono per tre giorni nella prateria e incontrarono altre frecce di pietra che non era pietra. Cercavano piccole colline per trascorrere la notte, Tim-ha accendeva fuochi e teneva a distanza i lupi. Ai suoi amici non aveva ancora mostrato il Segno che catturava il soffio degli Dei. Lin coglieva fiori, erbe, radici preparava infusi e decotti che rendevano gradevole il cibo e più allegre le serate. Il vecchio raccontava storie, osservava i giovani e si convinceva che presto avrebbe benedetto una nuova famiglia. Non avevano incontrato viandanti  e cacciatori. Tim-ha aveva parlato del Fiume Nero e il mattino del quarto giorno incontrarono l’ultima freccia, poi avanzarono nell’erba alta e si accorsero che la terra non era più terra, s’era trasformata in una striscia lunghissima e scura, solida come la pietra che non è pietra, che interrompeva i prati d’erba e puntava verso l’orizzonte.
-Questo è il Fiume Nero.-disse Tim-ha.
Fu allora che si udì un grido provenire da in mezzo alle erbe alte e secche per il gran calore di quella stagione. Era un urlo ostile e minaccioso. Lin si strinse a Tim-ha, il vecchio aguzzava la vista. Lentamente dall’erba si sollevarono tre guerrieri con sugli scudi l’insegna del Dio Animale.
-Chi siete e dove andate?-chiese quello che stava al centro e sembrava il capo per le pitture che aveva sul volto.
-Andiamo a rendere omaggio al Dio Animale e a chiedergli di sottomettersi alla volontà del Signore del Giorno e della Dea della Notte che mi aiutarono a liberare il Passo dal feroce Un-hch, predone e assassino.-rispose Tim-ha.
-Un-hch era nostro fratello. Se vuoi passare dovrai combattere, noi ti uccideremo e sfogheremo le nostre voglie di maschi solitari sulla donna dai capelli di grano. E ora combatti, straniero!-urlò il guerriero.
Era alto e robusto. Tim-ha non aveva paura, ma sentiva che le sue forze non erano sufficienti per vincere. S’era levato un vento leggero da occidente che diventava sempre più forte. Tim-ha si guardò intorno: l’erba era secca e i tre guerrieri ancora lontani. Calcolò la distanza e il tempo a disposizione mentre un’idea folle gli attraversava la mente. Sotto gli occhi stupiti di Lin e del vecchio estrasse il Segno e lo volse al Signore del Giorno puntandolo contro l’erba secca. I tre nemici avanzavano cauti, ma sempre più vicini. Il fumo si levò all’improvviso e il vento tirava più forte. In un momento l’erba secca della prateria prese fuoco e tutto divenne un turbine di fumo. Tutti, meno Tim-ha, erano atterriti e i tre fratelli di Un-hch saltavano terrorizzati mente il fuoco sbarrava loro il passo, anzi li circondava e li costringeva a fuggire tutti in direzioni diverse. Tim-ha con un balzo scavalcò la linea del fuoco e li affrontò separatamente, poi tutto fu coperto dal fumo e dalle fiamme. Il vento spostava le fiamme più lontano, Lin e il vecchio si guardavano attorno smarriti, certi di aver perso il loro amico e protettore. Poi una figura avanzò nella nebbia, era Tim-ha che teneva per i capelli le teste dei nemici uccisi, le sollevò verso il Signore del Giorno e pregò.
-Padre del Giorno, tu mi hai dato un’arma invincibile. Dammi ora la forza di affrontare altre prove e difendere la donna che amo e questo Vecchio che onoro come un padre, che conobbe Hang-hor e ne fu amico. Hang-hor, il mio antenato che hai accolto nella caverna dei morti.-
Lasciandosi alle spalle i corpi dei vinti e l’incendio che ormai si esingueva, Tim-ha, Lin e il Vecchio cominciarono a percorrere il Fiume Nero. Camminarono più di un giorno e il Fiume Nero sembrava che non finisse mai. Ora nel cielo si addensavano grandi nuvole di pioggia e questo fatto voleva dire che gli Dei stavano discutendo fra loro: se la discussione si fosse trasformata in una lite le frecce di fuoco sarebbero cadute sulla terra. Tim-ha temeva di aver troppo peccato in superbia e di aver approfittato della benevolenza degli Dei.
Fu allora, dopo aver superato un tratto del Fiume Nero che saliva ad un altezza assai elevata, che apparve ai loro occhi il Segno Muto del Dio Animale. Lin saltava per la gioia e il Vecchio, che era molto stanco cercava acqua intorno a se. “Non è bello” pensava “presentarsi agli Dei senza purificarsi.”
Tim-ha disse:
-Venite, il Dio Animale ci attende.-
Vedeva già le prime frecce cadere sulla terra e si affrettava, lasciava indietro gli altri, correva con tutte le sue forze perché voleva raggiungere il Dio Animale prima che l’ira degli Dei si scatenasse in tutta la sua forza. Ma ci volle tempo per raggiungere l’enorme Segno Muto. Tutto diventava buio e il rombo della lite fra gli Dei era sulle loro teste.
La stessa figura che Un-hch aveva dipinto sullo scudo emergeva dal mare d’erba e sembrava fatta della pietra che non è pietra, e questa sembrava pietra ancora diversa da quella che loro avevano da sempre conosciuto. La collera degli Dei finalmente si riversò dal cielo, mentre la gioia di Lin per la meta raggiunta si trasformava in sacro terrore davanti al mistero del Dio che veniva dal passato. Cercava di trattenere Tim-ha che invece voleva avvicinarsi al Dio Animale, temeva che il suo uomo potesse scomparire a causa di tremendo castigo che gli Dei avevano decretato per punirlo della sua superbia.
Tim-ha vide sul fianco destro del Dio, altri segni a lui assolutamente sconosciuti.
-Cosa vuol dire?- chiese rivolgendosi a Lin, sentiva che le sue conoscenze non bastavano più per spiegare quel nuovo mistero.
-Ho visto…-il Vecchio rispose al posto di Lin che scuoteva il capo e sentiva dentro di se un avvicendarsi di paura e attrazione per la forma animale dritta e solenne nella campagna sferzata dalla pioggia. Erano giunti, si diceva il Vecchio, al termine di un percorso sacro. Il grande fiume, nella notte dei tempi, per qualche ragione sconosciuta si era trasformato in pietra che non è pietra e ora, proprio ai piedi del Dio s’inabissava nella terra per tornare a scorrere nelle sue viscere.
-Vicino ai deserti di pietra…-disse ancora il Vecchio.
Le frecce cadevano dal cielo e le lacrime degli Dei erano un torrente, Tim-ha, annichilito, guardava il Dio Animale. Era certo che la collera celeste l’avrebbe schiacciato. Una freccia cadde accanto al Dio, e poi un’altra e un’altra ancora. Sembrava che il Dio Animale fosse il vero bersaglio dell’ira celeste…
E accadde il grande prodigio. Contro le nubi nere del cielo, il Dio divenne di fuoco. Per un tempo brevissimo, ma sufficiente affinché potesse imprimersi per sempre nella memoria dei tre viandanti. Una forte luce parve ardere sulla pelle del Dio e un grido risuonò nella prateria e sul mondo intero.
MAMMOUTH. MAMMOUTH. MAMMOUTH…
Un forte boato ferì le orecchie di Tim-ha, della sua donna e del Vecchio.
Il Segno Muto aveva parlato. Tim-ha, Lin e il Vecchio erano caduti nel fango e tenevano gli occhi chiusi nel timore di restare per sempre accecati. Poi quando ebbero il coraggio di guardare videro che al posto del Dio Animale c’era solo fumo nero che il vento portava lontano. Il Dio non esisteva più, era stato distrutto, era solo una massa informe accartocciata su se stessa che friggeva nell’erba sotto la sferza delle lacrime degli Dei.
VIII
-Signori! Signori! Un momento di attenzione…-
Il Decano dell’Archeologia si accarezzò la barbetta bianca e sollevò il foglio.
-L’Archeologia conferisce il premio speciale la Professor Ult-alt-Unt per le sue ricerche sull’origine della civiltà sul questo pianeta, e in particolare per quelle concernenti il bacino di esplorazione compreso tra le montagne di Mammouth e le Isole. Prego, Professor Ult-alt-Unt. Come suo vecchio insegnante, questo è per me un giorno di grande gioia e soddisfazione.-
Mentre un giovane dalla pelle scura si avvicinava al tavolo della presidenza, la sala rimbombava di applausi di una platea composta da tutti gli scienziati delle Terre Conosciute. Il decano e il professor Ult-alt-Unt si strinsero calorosamente la mano, poi il giovane archeologo iniziò a leggere la sua relazione. Il Decano ascoltava e il suo pensiero andava alla giovinezza ormai lontana, al tempo in cui di Quello che era avvenuto prima si ignorava quasi tutto. Ult-alt-Unt parlava delle montagne e del grande Buco che era stato scoperto cinquant’anni prima e rendeva omaggio all’eccezionale generazione degli archeologi che avevano consentito di iniziare il lavoro di ricerca grazie ad un’opera di attenta analisi delle leggende fiorite dopo il lento risollevarsi dell’umanità. Ma era allo studio e alle interpretazioni del Libro dei Tre, sosteneva Ult-alt-Unt, che si doveva la determinazione corretta di quei percorsi difficili che avevano portato alla ricostruzione della civiltà antica.
-Quegli uomini e quelle donne che vissero molto vicino al luogo dove noi ci troviamo, erano animati dalla stessa sete di conoscenza che oggi ci spinge a dissotterrare e portare alla luce rovine che sembrano appartenere a città più vaste e complesse delle nostre. La popolazione del pianeta, prima della “Tragedia”, doveva essere molto numerosa. Il nostro pianeta era certamente più popolato e al posto dei grandi deserti dovevano esserci pianure e mari interni, un sottosuolo che forse nasconde segreti che ci auguriamo di svelare in un prossimo futuro. Cosa avvenne di preciso? Non possiamo formulare che ipotesi, ma le ricerche e i ritrovamenti avvenuti negli ultimi mesi all’interno della Montagna di Mammouth provano che esisteva una sorta di intelligenza che l’umanità si era costruita per soddisfare i suoi bisogni, dai più elementari a quelli più complessi, e che all’improvviso s’inceppò, forse si esaurì per mancanza di energia. Questo fatto spiegherebbe il rapidissimo regresso a forme molto primitive di organizzazione sociale e ad un universo culturale ancor più arcaico rispetto a quello della civiltà precedente la “Tragedia”…-
“Il libro dei Tre”
Il Decano tornava col pensiero alla sua giovinezza e alle lotte che scrittori, poeti e scienziati avevano sostenuto contro il Consiglio dei Popoli Uniti. C’erano stata anche sommosse…
“Sommosse provocate dall’Archeologia…Giorni indimenticabili…E l’emozione di quando entrammo nel grande Buco e la sorpresa a scoprire che non eravamo i primi a violare il segreto della grotta artificiale…TUNNEL…Ci volle un mese prima di riportare alla luce quella targa gigantesca. Ma qualcuno ci aveva preceduti. Si. Altri erano stati laggiù e in epoche più antiche. Forse s’erano persi tra i ghiacci…”
Il professor Ult-alt-Unt aveva terminato il suo intervento, ancora applausi e strette di mano per una promessa dell’Archeologia. Poi tutto ebbe termine e il Decano fece ritorno nel suo studio. Era un luogo semplice dove si rifugiava da quando era scomparsa l’insostituibile Sin-i-la che l’aveva lasciato dopo una crudele malattia. Il Decano sedette e sospirò, diventava triste quando assisteva alla gioia degli altri. Non era invidia, ma piena coscienza della sua solitudine. In quei momenti sapeva con certezza che anche la sua vita stava per finire e che presto avrebbe raggiunto Sin-i-la nel regno dei morti. Sollevò gli occhi e lo sguardo cadde su una copia del Libro dei Tre, l’originale veniva conservato in un urna ben protetta all’interno della Casa della Vita. Chi erano i tre? Le leggende orali raccolte in quel libro antichissimo parlavano di un giovane che aveva liberato un popolo da un crudele tiranno e di una fanciulla che sapeva interpretare il volo degli uccelli. Il terzo era un vecchio che era stato fratello del Capostitipe. E chi era il Capostitipe?
“Largo ai giovani. Le mie ossa dolgono e non potrei più scendere ad esplorare una tomba.”
Il Decano abbandonò la sua scrivania e s’avvicinò all’ampia vetrata, dalla torre poteva osservare il Lago e più in fondo le montagne e al centro quella più alta: Mammouth. Il pensiero tornò ancora una volta alla sua giovinezza e all’emozione di quando aveva compreso che si trattava solo di una lente d’ingrandimento, lo strano oggetto posato accanto allo scheletro di un guerriero senza nome, vissuto alle pendici di Mammouth e sepolto con gli onori dovuti a un re.
14-6-1998
29-7-2011
1-10-2014

Stefano Viaggio 

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